Le bambine trattennero il fiato mentre gli uomini finivano di raccogliere le loro cose. Quando poi sentirono chiudersi la porta, aspettarono un altro istante per essere sicure che se ne fossero andati. Dopodiché si affrettarono a lasciare la dimora del Cacciatore per tornare a casa.
«Ci serve un’attrezzatura» disse Rosarossa in tono agitato. Camminava svelta sulla via del ritorno. «Ci serve la bussola per sapere dov’è l’est. Ci servono coperte, cibo...»
«Quanto staremo fuori a cercare?» chiese Biancaneve, preoccupata.
«Non sei obbligata a venire se non vuoi» replicò la sorella. «Puoi restare a casa.»
«Ma... cosa facciamo se lo troviamo?» insisté l’altra.
«Non lo so proprio» rispose Rosarossa.
«Vengo anch’io» decise Biancaneve. La calma di sua sorella si era infranta, e lei vedeva chiaramente cosa si nascondeva sotto. Non poteva lasciarla andare da sola.
«Cerchiamo finché non cala il sole» suggerì Rosarossa. «Nel caso, possiamo sempre accamparci.»
Quando arrivarono alla casetta, radunarono il necessario. Biancaneve diede da mangiare ai gatti, Rosarossa rovistò tra scaffali e credenze, riempiendo la tracolla con una borraccia d’acqua, un po’ di cibo, il suo quaderno, la bussola, il coltello del padre e le pietre scoppiettanti.
«Per ogni eventualità» disse Rosarossa, porgendo una lanterna alla sorella. Biancaneve se la appese al braccio brontolando. Poi Rosarossa arrotolò due coperte. Biancaneve le fissò insospettita, ma lei ripeté: «Per ogni eventualità». Gliene tese una, e tutte e due si gettarono il fagotto sulla spalla. Infine si misero in cammino, dirette a est.
Nella foresta faceva un caldo insolito, e adesso le bambine erano costrette a procedere più adagio. Seguirono l’ago della bussola, addentrandosi nei boschi a est più di quanto avessero mai fatto. Camminavano fianco a fianco, i raggi del sole che risplendevano dietro gli alberi in boccio.
Rosarossa, con la bussola in mano, guidava entrambe, spronata dalla determinazione. Si sentiva euforica mentre zigzagavano tra quegli alberi che non conoscevano. In effetti, erano giunte in una zona ignota della foresta. Di tanto in tanto, Rosarossa si fermava per annotare un punto di riferimento: una grande roccia simile a una mano gigante puntata verso il cielo, o una radura fiorita di viole selvatiche. Biancaneve la seguiva disciplinatamente, appesantita dalle provviste. Ogni nuova curva inesplorata conteneva in sé la speranza di rintracciare l’orso. Si spinsero sempre più lontano, in cerca di un segno qualsiasi. Trovarono un fiore che somigliava a una scarpetta da ballo, un piccolo osso, una piuma azzurro intenso lunga quanto il braccio di Biancaneve, ma nessuna traccia di lui.
Gli alberi si aprivano davanti alle due bambine, facendo loro cenno di proseguire con rami primaverili ancora nudi, allontanandole dai terreni accidentati e dai fossi nascosti. Rosarossa prese nota di una zona paludosa mentre ne aggiravano il tanfo malsano e il pantano nero. Per fortuna, non incrociarono banditi. Per sfortuna, non incrociarono orsi.
Quando il sole cominciò a calare nel cielo, Biancaneve e Rosarossa si fermarono a riposare nel punto in cui l’acqua di una cascatella formava una piccola pozza limpida e fredda prima di scomparire in un torrente sotterraneo. Si slacciarono gli stivaletti per appoggiare i piedi sulla terra fresca. Rosarossa tirò fuori dalla borsa il coltello del padre e tagliò in due una mela, offrendone una metà alla sorella. Si sedettero a mangiare sulle pietre coperte di muschio che si innalzavano tutto intorno alla pozza.
Biancaneve posò la lanterna e il fagotto vicino al proprio sasso, alla base di un vecchio ceppo, senza immaginare che fosse abitato. Fu allora che lei e Rosarossa sentirono un ronzio crescente. Si guardarono intorno. E all’improvviso apparvero le api, un nugolo che usciva a ondate dal ceppo come fumo inferocito.
«Accidenti!» strillò Biancaneve, balzando in piedi e buttandosi in acqua, coi vestiti e tutto il resto.
Rosarossa si arrampicò su un masso che sporgeva dalla pozza. Vide lo sciame librarsi su Biancaneve, che fece un respiro profondo e si immerse. Le api cominciarono a disperdersi, ma Biancaneve non riaffiorò. Mentre scrutava la superficie in cerca della sorella, Rosarossa avvertì una puntura. Diede una manata all’aria e... sentì la borsa scivolare via.
Cercò di afferrare al volo la cinghia di pelle, ma proprio in quel momento la tracolla urtò la roccia.
E si aprì, rovesciando nell’acqua ciò che conteneva: il pane incartato, le pietre scoppiettanti e, per ultima, la bussola. Precipitandosi verso il torrente nascosto, la corrente trascinò via tutto.
Nel frattempo, la testa di Biancaneve riemerse. Ancora boccheggiante, la bambina si mosse a fatica nell’acqua che le arrivava alla vita, agitando le mani nel frenetico tentativo di ripescare la bussola. Ci riuscì, ma lo strumento era inzuppato. L’ago non puntava più da nessuna parte.
Con una certa difficoltà, le bambine tornarono rabbrividendo sulla sponda della pozza, Biancaneve con i vestiti bagnati incollati addosso. Tremante, porse alla sorella la bussola rotta, e Rosarossa notò che le mancava qualcosa.
Biancaneve seguì lo sguardo di Rosarossa. Portò la mano al collo e si rese conto di aver perso la collana.
Gli occhi le si riempirono di lacrime, ma il pianto venne subito sostituito da un’occhiata torva. «Voglio andare a casa» disse. «Lo sapevo che era una pessima idea.»
«Oh, Biancaneve... mi dispiace» mormorò Rosarossa. Si sentì invadere dal senso di colpa mentre la avvolgeva in una coperta asciutta. Pensò alla perla, in qualche punto sott’acqua, perduta per sempre. «E... e l’orso?»
«E noi?» la rimbeccò Biancaneve.
Rosarossa si mise gli stivaletti senza parlare.
«Qualunque cosa abbia preso Ivo può prendere anche noi» proseguì Biancaneve, sfilandosi le calze bagnate.
Rosarossa volse lo sguardo sulla foresta interminabile. La luce cominciava a declinare. Non c’era niente che sembrasse familiare o sicuro. La preoccupazione per l’orso aveva riempito così tanto spazio nella sua mente che non aveva pensato di preoccuparsi per loro stesse. Non fino a quel momento.
«Voglio andare a casa» ripeté Biancaneve. Poi, alzando gli occhi e vedendo la faccia di Rosarossa, sospirò e scosse la testa. «Credi davvero che possiamo salvarlo?»
Rosarossa porse gli stivaletti alla sorella. «Siamo le uniche che vogliono salvarlo.»
Attraversarono una macchia di sottili betulle bianche, ma la loro ricerca fu lenta e carica di tensione. Biancaneve brontolava, rabbrividendo nei vestiti bagnati. Rosarossa aveva paura di spingersi ancora più lontano senza la bussola. Sentiva lo stomaco brontolare più forte di Biancaneve e le facevano male i piedi.
Quando cominciò a scendere la notte, trovarono una radura. Biancaneve parlò a malapena mentre stendevano le coperte e mettevano la lanterna tra di loro. Partì in cerca di un po’ di ramoscelli per accendere un fuoco, poi tornò all’accampamento. «Pietre scoppiettanti» chiese, in tono basso e piatto.
«Sono...» fece per rispondere Rosarossa, ma la voce le si smorzò in gola.
«Sono cadute in acqua anche quelle» terminò per lei Biancaneve. Gettò a terra la legna. «Perciò geliamo.»
Rosarossa ripescò dalla borsa un pezzetto di formaggio e un unico panino umido. Prese il coltello del padre dalla tasca interna e preparò due miseri sandwich. Ne offrì uno alla sorella.
Biancaneve mangiò in silenzio, senza mai alzare lo sguardo. La sua carnagione candida brillava nella penombra. «Domattina torniamo indietro, spero che tu lo sappia.»
«Mi dispiace per la collana» disse Rosarossa, consapevole che le parole potevano fare ben poco. Sospirò e sollevò gli occhi, cercando la luna nascosta. «Pensavo solo...» Incurvò le spalle, avvilita. «Papà non abbiamo potuto salvarlo.»
Biancaneve non aprì bocca.
Il calore della giornata se n’era andato insieme al sole, e la sera si stava facendo fredda. Rosarossa tacque un istante, cercando il modo giusto di esprimersi. «Pensavo che avremmo potuto salvare... qualcun altro.»
«Papà tornerà» replicò Biancaneve. «Io ne sono sicura.»
Rosarossa fece un respiro profondo e scosse la testa. Le parole le uscirono all’improvviso, così in fretta che non riuscì a fermarle. «È morto, Biancaneve! E non tornerà più.»
Seguì un terribile silenzio, durante il quale Rosarossa desiderò rimangiarsi quello che aveva detto. Ma rimangiarselo non lo avrebbe reso meno vero.
Biancaneve la fissò, sbalordita. Poi tornò a distogliere lo sguardo.
La notte trascorse nel più totale silenzio, rotto solo dai versi dei gufi e degli uccelli notturni e dal batter d’ali dei pipistrelli che affollavano il cielo.
«Te l’ho detto che non puoi farlo accadere» brontolò il vecchio.
«Ma si sono perdute» protestò il giovane.
«Se deve accadere, accadrà» disse il vecchio con una voce che fece tremare ogni ramo di ogni albero.
«E io posso aiutarle a ritrovare la strada» insisté il giovane.
«Ti ho detto...» Ma prima che il vecchio potesse concludere la frase, il giovane era già sparito.
La mattina, tutto quello che circondava le bambine aveva un’aria ancor meno familiare. Come i boschi in movimento del sogno di Rosarossa, le barriere di alberi tutto intorno sembravano essersi spostate mentre loro dormivano.
«Credo che sia da questa parte» disse Rosarossa, avviandosi pian piano in una direzione. Biancaneve la seguì, ma a un certo punto Rosarossa si fermò. Aveva le guance in fiamme per la vergogna. Solo il giorno prima era stata un’autentica esploratrice. Aveva veleggiato seguendo il vento della sua sicurezza e della sua determinazione, ma adesso, nel gelo del mattino, con quella sicurezza e quella determinazione era andata a schiantarsi contro gli scogli.
«Possono servirti a qualcosa, quegli appunti che hai preso?» chiese Biancaneve. Le brontolava lo stomaco.
«Non lo so» rispose la sorella. Si erano spinte troppo lontano. I dubbi le confondevano la mente. Girò e rigirò le pagine del suo quaderno, guardando i disegni della mano gigante di pietra, della macchia di viole selvatiche e dei sentieri che pensava avessero preso. Ma senza la bussola, quegli schizzi non valevano niente. Si figurò le splendide mappe del suo libro preferito e accartocciò i pochi inutili fogli nel pugno.
Biancaneve si mise a sedere per terra e cominciò a piangere. «È tutta colpa tua» le rinfacciò. «Muoio di fame... La mia collana... E ci siamo perdute sul serio!»
Rosarossa gettò uno sguardo alla foresta sconfinata e sollevò il viso verso le chiazze di cielo ritagliate dai rami neri.
«Non eri costretta a venire» borbottò. Ma sapeva che senza Biancaneve non sarebbe partita. Perché aveva bisogno di lei. E perché lei era Rosarossa, “cuor di coniglio”.
«Qualcuno può aiutarci, per favore?!» gridò Biancaneve, rivolta al nulla. L’unico a risponderle fu il vento, che agitò le felci e le aggrovigliò ancora di più i capelli.
«Troverò la strada» dichiarò Rosarossa, tentando di apparire sicura. «Forza, alzati.»
«Ho freddo.» Biancaneve tirò su col naso e se lo asciugò con la manica.
«Puoi mettere il mio maglione» suggerì Rosarossa.
«È comunque tutta colpa tua» brontolò la sorella.
Si fecero strada fino a una macchia di basse felci verdeazzurro. Centinaia di piccoli insetti dalle ali bianche si levarono intorno a loro. Lo spettacolo era così bello che Biancaneve e Rosarossa non poterono fare a meno di fermarsi ad ammirarlo, stupite.
Gli insetti non erano api né farfalle. La luce del sole che filtrava verso il basso in raggi splendenti li faceva brillare mentre ondeggiavano e danzavano intorno alle spalle delle bambine.
«Sembrano fate» disse Biancaneve a bassa voce.
Improvvisamente gli insetti si riunirono in un’unica creatura scintillante, un piccolo essere illuminato dall’interno che dispiegava un paio d’ali sulla schiena. Poi una creatura più grande e altrettanto luccicante volò fuori dagli alberi. Raggiunse la compagna più piccola e insieme a lei volteggiò sopra le felci, battendo ali traslucide venate d’oro, fragili come carta.
Biancaneve si portò di scatto la mano alla bocca. Guardò la sorella. «Te l’ho detto» sussurrò. «Sono fate.»
Gli occhi di Rosarossa erano illuminati dal bagliore delle magiche creature che svolazzavano davanti a lei su ali dorate, leggiadre, impossibili.
Le creature fecero cenno alle bambine. E dal momento che si erano già perdute, Biancaneve e Rosarossa le seguirono. Le fate le guidarono attraverso i boschi e, cammina cammina, le due sorelle cominciarono a trovare più familiare quello che le circondava.
Superarono il folto di betulle bianche, oltrepassarono la cascata, aggirarono la zona paludosa, si lasciarono alle spalle la radura tappezzata di viole, e passarono davanti alla mano di pietra. Per mezzogiorno erano arrivate al ruscello dove avevano combattuto contro il pesce mostruoso e salvato il Piccolo Uomo. Biancaneve e Rosarossa gettarono a terra le loro cose e si precipitarono a bere un sorso d’acqua.
Quando si girarono, videro il luccichio delle fate farsi sempre più piccolo e svanire tra gli alberi. Se ne stavano andando.
Biancaneve si rivolse alla sorella. «Te l’ho detto che avevo visto una fata a casa di Ivo. Mi credi, adesso?»
Rosarossa era sul punto di rispondere, ma fu interrotta da un fruscio.
Dagli alberi, dalle foglie stesse uscì il Piccolo Uomo. Non aveva artigli o denti affilati o frecce o pugnali, eppure trasmetteva una sensazione di minaccia.
Le bambine si avvicinarono lentamente l’una all’altra.
«To’!» sogghignò lui. «Le macellaie di barbe. Siete venute a massacrarmi di nuovo?»
«Non devi temere che ti salviamo un’altra volta, se è questo che intendi» lo rimbeccò Biancaneve.
«Non vi avevo detto che se mai ci fossimo incrociati ancora ve ne sareste pentite, e molto anche?» chiese il Piccolo Uomo.
«Scappiamo» mormorò Rosarossa. La sua mano corse alla collana, e le dita cominciarono a tormentare la catenina.
Gli occhi del Piccolo Uomo lampeggiarono nello scorgere la catena d’oro, e ciò che fece subito dopo fu di una rapidità incredibile. Afferrò il gioiello e lo strappò dal collo di Rosarossa.
L’ometto sollevò la fragile catenina per vederla, poi se la portò alle orecchie per ascoltarla. «Oh, che bell’oro incantevole e di buon gusto.» I suoi piedi accennarono un balletto. «Devono assolutamente darmelo.» I suoi occhi scintillarono. «Un regalo per me.»
Le bambine lo fissavano, sconvolte.
Poi girò sui tacchi e sfrecciò via, veloce come il ladro che era. Biancaneve si lanciò all’inseguimento.
«Che se la tenga, la collana!» gridò Rosarossa. Percepiva il pericolo che il Piccolo Uomo aveva lasciato dietro di sé.
Ma Biancaneve correva con l’incoscienza di chi ha già perso troppo. Voltò la testa e urlò: «Non possiamo perderle tutte e due!».
Rosarossa raccolse la sua borsa da terra, lasciò le altre cose dov’erano e le corse dietro.
Il Piccolo Uomo procedeva a grandi balzi sulle gambe piegate all’indietro, con Biancaneve alle calcagna, uno spettro bianco scintillante tra gli alberi. Rosarossa inseguiva la sorella, i capelli neri che ondeggiavano dietro di lei, simili alla notte che insegue il giorno.
Faticò per non perdere di vista Biancaneve e il Piccolo Uomo. Attraverso gli alberi, li vide raggiungere l’imbocco di una caverna che sporgeva minacciosa dal terreno. Poi Biancaneve seguì il Piccolo Uomo nell’oscurità.
Rosarossa arrivò giusto in tempo per sentire la voce dell’ometto gracchiare sei parole prima che l’entrata della grotta si chiudesse.
Si fermò nel silenzio improvviso. Non sapeva bene se quelle parole erano destinate a lei o a Biancaneve, sapeva solo che sembravano riecheggiare sulle rocce che adesso le si paravano davanti.
«Sei la figlia di tuo padre.»