Il volumetto I fascisti invecchiano venne pubblicato presso Longanesi & C., Roma-Milano 1946, quarto titolo della collana «La Fronda» (non compare una data di stampa, ma da una lettera di Brancati alla moglie Anna Proclemer del 16 maggio si ricava che a quella data il libro era già pubblicato: «Grazie, cara, per quanto mi dici sul mio libro! Immagina che fremito avranno avuto le mie pagine nel sentirsi leggere da te. Felici loro! Hai ragione per il titolo. Longanesi lo ha messo lui, senza domandarmi il permesso»; Lettere da un matrimonio).
Le pagine che compongono il volume vennero quasi tutte anticipate negli anni 1945-46 in due giornali: «La Città Libera» e il «Risorgimento Liberale». Su «La Città Libera» («Settimanale di Politica e Cultura» iniziatosi il 15 febbraio 1945, a cui parteciparono importanti intellettuali quali Guido Carli, Benedetto Croce e Luigi Einaudi e poi Sandro De Feo, Ennio Flaiano, Alberto Moravia, Guido Piovene) Brancati tra l’altro (ad esempio nel numero del 15 marzo, vol. I, n. 5, stampò l’articolo I piaceri della terribilità) tenne per diversi numeri una rubrica intitolata «Cronachette del 1945», all’interno della quale pubblicò molte delle pagine che compongono I fascisti invecchiano.
Molte altre pagine poi raccolte nei Fascisti invecchiano derivano da una scelta degli scritti stampati in un’altra rubrica, «Il diavolo nel cassetto», che Brancati tenne tra il 1945 e il ’46 nel giornale «Risorgimento Liberale», organo del Partito Liberale diretto da Mario Pannunzio, nel quale scrissero tra gli altri Antonio Baldini, Arrigo Debenedetti, Giovanni Comisso, Benedetto Croce, Sandro De Feo, Enrico Falqui (il quale, nella sua rubrica di critica letteraria, il 24 ottobre 1945 recensì positivamente proprio Il vecchio con gli stivali di Brancati, pubblicato in volume dalla casa editrice L’Acquario di Roma in quello stesso anno), Ennio Flaiano, Luigi Einaudi, Paolo Monelli (alcune delle puntate della rubrica non vennero poi riprese nei Fascisti invecchiano: ad esempio il pezzo pubblicato col titolo Ritorna la polemica sul «Tempo nostro» il 9 gennaio 1946, e il pezzo pubblicato col titolo Questa è, dunque, la vita? il 20 febbraio 1946).
Come è prassi consueta di Brancati, fortissimi sono i legami tra le pagine saggistiche e quelle narrative: abbiamo già notato nelle precedenti Notizie le numerose tematiche che I fascisti invecchiano condividono ad esempio con i romanzi Paolo il Caldo e, soprattutto, Il bell’Antonio (in quest’ultimo i recuperi riguardano in particolare il capitolo Il ladro Dottore).
Ma la vicinanza con la produzione narrativa non è certo il pregio maggiore del libro I fascisti invecchiano: l’impietosa analisi e – ciò che più conta – autoanalisi brancatiana degli anni della dittatura, contenuta nel volume (si veda lo straordinario scritto Istinto e intuizione, a proposito dei propri trascorsi fascisti), rappresenta uno dei punti più alti della riflessione intorno a questi argomenti, non solo brancatiana, ma italiana (Giulio Ferroni ha scritto: «Non solo va riconosciuta tutta l’intensità e il fascino della sua invenzione […] ma occorre anche avvertire che Brancati “aveva ragione”, che tante cose dell’Italia e del mondo egli le aveva capite molto meglio di tanti pontificatori ideologici e intellettuali “a tempo pieno” […]. Brancati aveva saputo trovare, partendo dall’autocritica spietata della propria giovinezza fascista, in forza della sua intelligenza, della sua passione per la letteratura e per la vita concreta, del suo saper guardare anche alle più minute incongruità dei comportamenti sociali, quella che forse è la “giusta” posizione per lo scrittore e la “giusta” posizione davanti alla politica»; Vitaliano Brancati, in Passioni del Novecento).
E davvero lucida e, vorremmo dire, profetica è l’individuazione così precoce dei tratti del nostro carattere nazionale che si sarebbero sì trasformati, ma senza realmente mutare di segno, negli anni che separano la fine della dittatura e i giorni nostri.
Si può senz’altro attribuire anche agli scritti raccolti nei Fascisti invecchiano il giudizio che lo stesso Brancati darà della produzione culturale italiana degli anni 1945-46 nel pamphlet del 1952 Ritorno alla censura, un testo che proprio nei Fascisti invecchiano affonda le sue radici:
Bisogna conservare la libertà in ogni caso, «anche se intorno a noi crolli il mondo, e noi dobbiamo venir sepolti dalle rovine»? Anche se le ville delle nostre amanti debbano esser vendute, e i gioielli scompaiano dalle nostre case? Questa è dunque la cultura? questa forza che ci costringe a non levare mai la mano nemmeno quando i nostri simili, che vivono nelle grotte e si nutrono d’erba, reclamano che noi e loro abbiamo cibi, case, scuole e ospedali simili?
La cultura diventa subito odiosa. In Italia venne sopportata fra il ’45 e il ’46, l’unico periodo in cui si ragionò civilmente. La nostra società si sottopose a un duro esame, fu vivace, curiosa, drammatica, moderna. Quanto di peggio c’era in Italia, responsabile di quanto di peggio fosse accaduto all’Italia, stava rannicchiato nel fondo e taceva. La parola venne data per due anni a quanto di meglio avesse il nostro Paese. Se si leggono i libri, i giornali, le riviste di quel tempo, se si ricorda la libertà degli spettacoli teatrali e dei discorsi politici, si rimane ammirati di come un Paese, uscito dalla sconfitta, avesse tanta vitalità e civiltà.
Ma questo sentimento di ammirazione corrisponde, nella classe dirigente, a un sentimento di orrore. Essa si domanda con raccapriccio come abbia potuto sopportare un predominio così aperto della critica e della moralità. […]
Ma presto passarono alla riscossa.
E che il problema della civiltà e della giustizia fosse vissuto da Brancati non retoricamente ma nel profondo della propria intimità, è dimostrato da una lettera inviata ad Anna Proclemer il 15 ottobre 1945, in cui annuncia di aver composto uno degli scritti che poi saranno raccolti nei Fascisti invecchiano (Filadelfo Rapisardi):
Ieri, finalmente, sono riuscito a scrivere alcune righe, in difesa di un mio povero amico, amantissimo della libertà e prigioniero da quattro anni: mi sono accorto che il solo sentimento che riesca a insinuare nel mio petto qualche battito di cuore, fra i tanti che ha unicamente per te, è il sentimento della pietà e della ribellione in difesa dei maltrattati. Le sole persone, che contino veramente nel mondo di oggi, e dalle quali si può sperare l’avvenire per noi e per gli altri, sono alcuni disgraziati coperti di sputi e di fango dai potenti di ieri e da quelli di oggi» (Lettere da un matrimonio).
La nostra edizione riproduce il testo del volume del 1946, sanando alcuni refusi.