La questione dell’assenza di senso mi porta a chiudere il cerchio con la definizione dalla quale sono partito: la psicoterapia esistenziale è un approccio dinamico alla terapia che si focalizza sulle preoccupazioni radicate nell’esistenza dell’individuo. Ciascuno di noi brama l’idea del perdurare, dell’avere fondamento, della comunità e del senso; e tuttavia dobbiamo tutti fronteggiare la morte, l’assenza di fondamento, l’isolamento e l’assenza di senso. La terapia esistenziale si basa su un modello di psicopatologia secondo il quale l’angoscia e le sue conseguenze maladattive sono delle risposte a queste quattro preoccupazioni ultime.
Sebbene sia stato necessario discutere separatamente ciascuna preoccupazione ultima, in vivo esse si rivelano inestricabilmente intrecciate e costituiscono l’autentico sottotesto della terapia. Nel dialogo tra paziente e terapeuta procurano tanto il contenuto quanto il processo. Il confronto del paziente con la morte, la libertà, l’isolamento e l’assenza di senso offre al terapeuta un contenuto interpretativo esplicito. Persino quando tali temi non sorgono apertamente nella terapia, forniscono comunque un modus operandi. Fenomeni psichici quali la volontà, l’assunzione della responsabilità, la relazione con il terapeuta e l’impegno nella vita sono processi chiave del cambiamento terapeutico. Nel quadro di molti sistemi terapeutici, sono precisamente queste attività cruciali a essere troppo spesso considerate non più di “aggiunte” prive di importanza.
La terapia esistenziale sofferma l’attenzione su ciò che è saldamente piantato nel sostrato ontologico, nelle strutture più profonde dell’esistenza umana. È così coinvolgente anche perché ha un fondamento umanistico e, unica tra i tanti paradigmi terapeutici, è completamente in accordo con la natura intensamente personale dell’impresa terapeutica. Inoltre, il paradigma esistenziale ha una portata assai ampia: riunisce e raccoglie le intuizioni di molti filosofi, artisti e terapeuti a proposito delle conseguenze dolorose e redimenti di un confronto con le preoccupazioni ultime.
Tuttavia si tratta di un paradigma, di un costrutto psicologico che può essere giustificato soltanto dalla sua utilità clinica. Come per tutti i costrutti, alla fine sarà seguito da un ulteriore costrutto con un potere esplicativo maggiore. Ogni paradigma clinico, che non sia stato prematuramente inciso nella pietra da un qualche istituto ufficiale, è organico; oppure, offrendo una prospettiva nuova, permette l’emergere di dati in precedenza oscuri. Questi nuovi dati a loro volta modificano il paradigma attuale. Io considero questo paradigma esistenziale una formula basata su osservazioni cliniche che sono necessariamente limitate quanto a fonte, portata e numero. La mia speranza è che questo paradigma si sviluppi in modo organico e che non solo si riveli utile per i clinici nella sua forma presente, ma che stimoli anche il discorso necessario per modificarlo e arricchirlo.