di Enrico Berti
L’Accademia è fondata da Platone come scuola per la formazione dei politici ed è caratterizzata dallo studio delle matematiche e dall’esercizio della dialettica, mediante dibattiti a cui partecipano lo stesso Platone, scienziati come Eudosso e discepoli come Speusippo, Senocrate, Eraclide e Aristotele. I più famosi sono il dibattito sui movimenti dei pianeti, quello sulla realtà delle idee, quello sulla natura dei principi e quello sul rapporto tra il piacere e il bene. Notevole è anche l’impegno politico dimostrato dagli accademici, a Siracusa, ad Atene e in altre città della Grecia, nonché nei rapporti col regno di Macedonia.
La scuola di Platone
L’Accademia è la scuola che Platone fonda all’interno del ginnasio dedicato all’eroe Academo (o Ecademo) e che da questo prende il nome; nel tempo il termine “accademia” viene utilizzato per indicare le più grandi istituzioni pubbliche di studi superiori. Platone fonda la scuola di ritorno dai viaggi intrapresi dopo la morte di Socrate, in particolare di ritorno da Siracusa, città che ha visitato nel 388-387 a.C. tentando invano di persuadere il tiranno Dionisio il Vecchio a governare secondo giustizia, e da dove è stato scacciato e venduto come uno schiavo. Possiamo collocarne dunque l’origine intorno al 387 a.C. e ritenere che Platone l’abbia fondata allo scopo di formare degli uomini politici attraverso la pratica della filosofia, come risulta dal programma da lui delineato nella Repubblica. Il ginnasio in cui la scuola ha sede si trova fuori dalle mura di Atene, a circa 1500 metri dalla porta del Dipylon, dalla quale ha inizio il percorso delle Panatenee verso l’acropoli. Il luogo è ancora visibile oggi, al termine della Odòs Akademías, che attraversa l’antico cimitero del Ceramico.
L’elenco delle persone che frequentano l’Accademia è trasmesso in un papiro di Ercolano, contenente una storia dei filosofi redatta da Filodemo di Gadara (110 ca. - 35 a.C. ca.) e comprende 19 nomi, di cui i più famosi sono Speusippo, nipote di Platone e suo successore alla guida della scuola, Senocrate di Calcedonia, successore di Speusippo, Eraclide Pontico, Aristotele, Dione di Siracusa, cognato di Dionisio il Vecchio, Ermodoro, il pitagorico Archita di Taranto, nonché due donne e un Caldeo. Altre fonti menzionano Eudosso di Cnido, famoso matematico e astronomo, Filippo di Opunte, “segretario” di Platone e redattore del suo ultimo dialogo (Leggi), Teofrasto di Ereso, che diventerà allievo e successore di Aristotele, Ermia di Atarneo, di cui Aristotele sposerà la nipote, e un medico siciliano (forse Filistione), oltre a personaggi destinati a divenire oratori, strateghi, legislatori e governanti in Atene e in altre città greche.
Il comico Epicrate, in un frammento di un’opera perduta, rappresenta Platone, Speusippo e altri accademici intenti a dividere una zucca, con allusione ironica alle pratiche di classificazione di piante e animali che dovevano essere compiute nella scuola.
Ma le attività più importanti di questa dovevano essere lo studio delle matematiche, che secondo la Repubblica introducono all’esercizio della dialettica, cioè della filosofia, e i dibattiti dialettici che dovevano svolgersi intorno a problemi scientifici e filosofici. Mentre è del tutto inaffidabile la tradizione secondo cui sull’ingresso dell’Accademia sarebbe stato scritto “vietato entrare a chi è ignorante di geometria”, non c’è dubbio che all’attività dell’Accademia si riferiscono le parole della Lettera VII attribuita a Platone, secondo cui la conoscenza della verità si raggiunge attraverso una vita vissuta in comune e dedicata a “confutazioni amichevoli e domande e risposte fatte senza ostilità” (344 b-c), come pure le parole dell’Etica Nicomachea di Aristotele, secondo cui la felicità consiste nel fare insieme con gli amici la cosa per cui più si desidera vivere, che nel caso dei filosofi è il “filosofare insieme” (1172 a 1-7).
Il dibattito sui movimenti dei pianeti
Un problema astronomico, quindi matematico, posto da Platone ai suoi collaboratori dell’Accademia, è quello di “salvare i fenomeni”, cioè di spiegare i movimenti apparentemente irregolari dei pianeti, riconducendoli a movimenti regolari, cioè circolari intorno alla Terra, come lo stesso Platone nel Timeo ha sostenuto che debbano essere i movimenti dei corpi celesti. La soluzione più geniale del problema è la teoria delle sfere omocentriche, formulata da Eudosso, secondo la quale i moti dei pianeti sono la risultante dei moti di gruppi di sfere aventi tutte come centro la Terra, collegate tra loro per i poli, ma ruotanti intorno ad assi diversi. Il numero delle sfere ammesse da Eudosso (27), è corretto dal suo allievo Callippo (34) e poi da Aristotele (55), che concepisce le sfere come formate di etere.
Eraclide Pontico propone una soluzione diversa, cioè immagina che la Terra, pur restando al centro dell’universo, ruoti su se stessa, e in tal modo cerca di spiegare il fatto che il Sole e la Luna in momenti diversi appaiono più lontani o più vicini alla Terra. Secondo alcune fonti antiche egli avrebbe anche ammesso che i pianeti Venere e Mercurio ruotino non intorno alla Terra, bensì intorno al Sole, anticipando in tal modo la tesi dell’astronomo moderno Tycho Brahe (1546-1601), ma questa attribuzione è priva di fondamento.
Secondo altre fonti lo stesso Platone alla fine della sua vita avrebbe cambiato opinione e ammesso che i pianeti ruotino non intorno alla Terra, ma intorno ad un altro corpo, situato al centro dell’universo (il “fuoco centrale” ammesso dai pitagorici). Nelle Leggi Platone sostiene che i corpi celesti siano animati e della stessa opinione è l’autore dell’Epinomis, appendice alle Leggi redatta probabilmente da Filippo di Opunte.
Il dibattito sulle idee
Un problema specificamente filosofico, cioè dialettico nel senso platonico del termine, è quello del tipo di realtà da attribuire alle idee. Queste sono state introdotte da Platone come modelli eterni e universali delle cose sensibili, necessari a spiegare le caratteristiche di queste e la loro stessa esistenza. Lo stesso Platone tuttavia nel Parmenide avanza dubbi sulla separazione delle idee dalle cose sensibili, aprendo in tal modo un dibattito all’interno dell’Accademia su questo argomento, dibattito riferito da Aristotele nel suo trattato giovanile Sulle idee, di cui sono conservati alcuni frammenti.
Secondo Aristotele, sarebbe intervenuto nel dibattito anzitutto Eudosso, il quale, pur non essendo propriamente allievo di Platone, soggiorna per qualche tempo nell’Accademia. Questi avrebbe sostenuto una sorta di “mescolanza” (mixis) tra le idee e le cose. Sempre secondo Aristotele, lo stesso Platone avrebbe identificato, o ricondotto, le idee a numeri ideali, cioè unici ciascuno nella sua specie e non sommabili tra loro, e avrebbe ammesso come realtà intermedie tra le idee e le cose sensibili gli oggetti della matematica.
Poi sarebbe intervenuto nel dibattito Speusippo, il quale, per superare le difficoltà create dalle idee, ne avrebbe proposto l’abbandono ed avrebbe collocato al posto di esse, come realtà separate dal mondo sensibile, i numeri matematici e le figure geometriche. Invece Senocrate avrebbe cercato di conciliare la posizione di Speusippo con quella di Platone, identificando le idee, cioè i numeri ideali, con i numeri matematici. Infine lo stesso Aristotele avrebbe conservato le idee, concependole però come forme immanenti alle cose sensibili, non “mescolate”, perché non materiali. Questo dibattito mostra come fossero diverse le posizioni dei filosofi all’interno dell’Accademia e come nella scuola regnasse la più grande libertà di pensiero e di ricerca.
Il dibattito sui principi
Oltre che sulle idee, un dibattito filosofico ancora più importante che si svolge all’interno dell’Accademia è quello sui principi, cioè sulle realtà supreme a cui le stesse idee devono essere ricondotte. Dalla relazione che ne fa Aristotele risulta che Platone, dopo avere ricondotto le idee ai numeri ideali, avrebbe ricondotto questi ultimi a due principi, l’Uno, da lui identificato col Bene e con l’Essere e concepito come causa formale, cioè causa di unità, di determinatezza, di stabilità e di ordine, e la Diade indefinita, o Grande-piccolo, da lui concepita come causa materiale, cioè causa di molteplicità e, a livello sensibile, di indeterminatezza, di mobilità e di disordine. Platone avrebbe esposto questa dottrina in una conferenza “sul bene”, tenuta fuori dall’Accademia, ma ne avrebbe parlato anche all’interno di questa, sia pure presentandola come “dottrina non scritta” (ágrapha dógmata), e su di essa avrebbe aperto il dibattito.
In questo sarebbe intervenuto, di nuovo, Speusippo, il quale avrebbe ammesso come principio dei numeri (soltanto matematici) l’Uno, ma si sarebbe rifiutato di identificarlo col Bene e con l’Essere, concependolo come superiore a questi. Speusippo inoltre avrebbe ammesso come secondo principio dei numeri i Molti (plêthos), mentre per le figure geometriche e le cose sensibili avrebbe ammesso principi diversi, anche se analoghi a quelli dei numeri. Senocrate dal canto suo avrebbe ammesso gli stessi principi di Platone, cioè l’Uno-Bene e la Diade indefinita, ma li avrebbe concepiti come due divinità tra loro opposte, ossia rispettivamente Zeus, padre degli dèi, e una divinità femminile, madre degli dèi.
Anche Aristotele partecipa al dibattito, sul quale scrive una relazione dal titolo Sul bene, di cui sono conservati frammenti. Egli mantiene la dottrina platonica secondo cui alla base di tutto ci sono due principi, la forma e la materia, ma li concepisce come immanenti alle cose sensibili, caratterizzate dal divenire. Inoltre concepisce la forma anche come causa finale del divenire di ciascuna cosa e, per spiegare tale divenire, afferma la necessità di una causa motrice o efficiente. In tal modo egli porta a quattro i tipi di causa, o di principio, formale, materiale, finale ed efficiente, ma soprattutto moltiplica il numero dei principi, ammettendo che ciascuna cosa ha i suoi, identici a quelli delle altre cose solo per analogia. L’unico principio comune a tutte le cose da lui ammesso è il primo motore immobile, concepito anche come Bene supremo, in quanto causa dell’ordine dell’universo. In tal modo in seno all’Accademia platonica si prospettano tutti i modelli possibili di scienza dei principi, cioè di quella che poi sarebbe stata chiamata metafisica.
Il dibattito sul piacere
Connesso al dibattito sui principi, cioè sul bene, è un altro dibattito interno all’Accademia, avente per oggetto il piacere, che è possibile ricostruire ancora una volta sulla base delle testimonianze fornite da Aristotele nell’Etica Nicomachea. Esso è suscitato probabilmente da Eudosso, il quale, durante il suo soggiorno nell’Accademia, sostiene che il piacere, in quanto desiderato da tutti i viventi, è il bene supremo. Una posizione del tutto opposta, secondo la testimonianza di Aristotele, è assunta da Speusippo, il quale sostiene che il piacere non è mai un bene. È probabile che nel dibattito sia intervenuto lo stesso Platone con il Filebo, dialogo in cui si sostiene che la vita migliore non coincide né col solo piacere né con la sola saggezza, ma è una vita mista di piacere e di saggezza, per cui non sempre il piacere è un bene, ma lo è solo quando si associa alla saggezza.
È probabile che nel dibattito sia intervenuto anche Aristotele, di cui si sa che scrive un dialogo Sul piacere, andato perduto e risalente, come quasi tutti i suoi dialoghi perduti, al periodo da lui trascorso nell’Accademia, ma le cui dottrine sono riprese, come nel caso degli altri dialoghi, nei trattati conservati, in questo caso nell’Etica Nicomachea. La tesi di Aristotele è che il piacere di per sé è sempre un bene, ma non è il bene supremo, cioè la felicità, la quale consiste nell’esercizio di tutte le virtù, soprattutto di quelle dianoetiche (saggezza e sapienza). Il piacere è una specie di risonanza soggettiva della realizzazione della perfezione, cioè è il segno che si sta compiendo un’attività perfetta, vale a dire fine a se stessa, nella quale consiste appunto il bene supremo realizzabile dall’uomo (questa non è, ovviamente, l’attività del motore immobile, ma le assomiglia).
L’impegno politico degli accademici
Platone concepisce la formazione degli uomini politici come costituita essenzialmente dalla filosofia, cioè dalla dialettica: da ciò nascono i dibattiti sopra menzionati, che devono formare l’attività principale della scuola. Ma i membri dell’Accademia non rifuggono da impegni politici concreti. Il primo a darne l’esempio è lo stesso Platone, che dopo il fallimento del primo viaggio a Siracusa, in cui tenta di convincere Dionisio il Vecchio a governare con giustizia, ne intraprende un secondo, nel 367 a.C., su richiesta del suo amico Dione, per compiere lo stesso tentativo con Dionisio il Giovane, figlio del tiranno e a lui succeduto. Anche questo tentativo fallisce, per la presunzione di Dionisio, ma ciò non impedisce a Platone di compierne un terzo, recandosi a Siracusa di nuovo con vari altri accademici, tra cui Speusippo e Senocrate, nel 361 a.C., con lo stesso esito disastroso. Tuttavia Dione nel 357 a.C. parte per Siracusa con altri accademici, tra cui Callippo di Atene, e la conquista, ma tre anni dopo viene ucciso dallo stesso Callippo in una insurrezione, nella quale muore anche un altro accademico, Eudemo di Cipro, amico di Aristotele, che in sua memoria scrive il dialogo omonimo sull’immortalità dell’anima.
Un altro esempio di impegno politico dell’Accademia è il tentativo, compiuto da Aristotele a nome dell’intera scuola, di convertire alla filosofia di Platone un principe di una città di Cipro, un certo Temisone, tentativo costituito dal Protreptico, opera perduta dello stesso Aristotele, di cui si conservano frammenti. Già l’oratore Isocrate, che ha fondato ad Atene una scuola per formare i politici attraverso la retorica, ha cercato di influire sulla politica di Cipro indirizzando varie orazioni a una dinastia di regnanti dell’isola, Evagora e Nicocle. Aristotele scrive il Protreptico proprio in concorrenza con Isocrate, che reagisce con un discorso intitolato Antidosis (lo “scambio” dei beni, 353 a.C.). Secondo il Protreptico la vera formazione alla politica non è la retorica, ma la dialettica, cioè la filosofia. Lo stesso Aristotele tiene dei corsi di retorica nell’Accademia, esordendo con il detto: “è turpe tacere e lasciar parlare Isocrate”.
Infine ci sono numerose testimonianze antiche sull’impegno politico degli Accademici, alcuni dei quali (Pitone e Eraclide) liberano città da tiranni, altri (Cabria e Focione) divengono strateghi ad Atene, altri (Aristonimo, Formione, Menedemo) scrivono leggi per varie città, altri ancora ne prendono il governo (Eufreo, Eveone, Timolao, Cherone). Notevoli infine devono essere i rapporti col regno di Macedonia, sia prima che dopo la morte di Platone. C’è, ad esempio, una lettera di Speusippo a Filippo II, da cui risulta che l’Accademia, ancora una volta in concorrenza con Isocrate, propone un proprio membro quale precettore di Alessandro, proposta che poi è accolta nella persona di Aristotele, il quale a sua volta deve procurare qualche beneficio ad Atene, poiché gli Ateniesi gli dedicano una stele (anche se alla morte di Alessandro lo costringono a fuggire).
Tutto ciò si riferisce all’Accademia detta “antica”, la quale segue l’insegnamento di Platone con gli scolarchi Speusippo, Senocrate, Polemone, Crantore e Cratete, mentre a partire dallo scolarcato di Arcesilao (315 ca. - 241 a.C.) ha inizio l’Accademia detta “media”, caratterizzata da un orientamento scettico-probabilistico, che continua con Carneade (214-129 a.C.) e, infine, con Filone di Larissa (II-I sec.) e Antioco di Ascalona (140? - 67 a.C. ca.), si sviluppa l’Accademia detta “nuova”, caratterizzata da un orientamento eclettico.
Vedi anche
Il figlio di Zeus: Alessandro e l’impero universale
Alessandro III figlio di Filippo: una successione complicata
L’ascesa della Macedonia: Filippo II
Scetticismo antico
Aristotele
Platone
L’oratoria
La matematica e le matematiche
Platone e l’Accademia
Il mondo vivente: le piante, gli animali e gli uomini