Di che cosa non si può fare a meno?
Di una matita.
Di una città.
Di una via.
Di te.
Che cosa non si può misurare?
Il mio sorriso.
La tua sollecitudine.
Le nostre reciproche incomprensioni.
A che cosa credo?
Credo che credere davvero a qualcosa sia impossibile. Non ha nemmeno senso provare. In realtà, tutti fanno solo finta di credere.
Quando la protagonista di un mio progetto fotografico realizzato nell’Ucraina orientale tra il 2016 e il 2018 – una donna che era allo stesso tempo partecipante e coautrice del progetto – diede inizio a questo gioco di domande, mi dissi che nessuna foto l’avrebbe rappresentata meglio del gioco medesimo. Separato dalle immagini e messo per iscritto, una riga dopo l’altra, il gioco è testimonianza, e invito.
Questi testi che avete tra le mani hanno un tratto in comune con la fotografia: anche qui gli avvenimenti, gli incontri, le conversazioni, le storie in qualche modo sfuggono al controllo dell’autore. Pur occupandomi di fotografia, il mio obiettivo non è mai stato quello di creare immagini per mezzo della tecnologia, secondo la definizione utilizzata da Vilèm Flusser. Piuttosto mi interessa lavorare con la memoria, con la capacità che le immagini fotografiche hanno di creare ricordi che, benché dichiarino la loro autenticità, restano un’invenzione soggettiva, una messinscena teatrale radicata nella quotidianità.
Tutti i miei precedenti progetti basati su un’alternanza di foto e testi tentavano di fissare su carta i diversi volti del continente ucraino che, malgrado la sua grandezza e importanza, rimaneva confinato nell’ombra, invisibile.
Le linee narrative di questo libro – due delle quali costituite da fotografie – non riguardano episodi cruciali della storia attuale, bensì – come si comprende anche a un’occhiata superficiale – i suoi aspetti più marginali. O, più precisamente, mostrano come una realtà storica traumatica possa penetrare in profondità nelle fantasie e nelle esperienze di tutti i giorni.
Alcuni dei temi (almeno tre), indirettamente connessi con la guerra in corso nell’Ucraina orientale, affrontano non il conflitto in quanto tale, bensì la possibilità di superarlo dialetticamente grazie alla fantasmagoria, al racconto, alla conversazione, analizzando situazioni particolari.
La mia attenzione si concentra su ciò che è insignificante, minuscolo, accidentale, superfluo, represso, perché questi dettagli non diventeranno mai i trofei che Walter Benjamin menziona nel suo saggio Sul concetto di storia; quei trofei che i vincitori dal presente portano con sé nel futuro e che, utilizzati come tanti mattoncini, danno forma alla narrazione storica dominante.
Tocca al lettore decidere se i documenti raccolti qui (relativi a tempi, circostanze, emozioni e visioni del mondo) intacchino quel linguaggio fittizio che, oggi come ieri, semplifica la realtà e le si contrappone.
In queste pagine riecheggiano le voci dissonanti di vari individui, ma non solo; anche le fotografie collidono con i testi, incapaci come sono di chiarire o illustrare il significato di questi ultimi. Coesistono senza che un’idea o una voce – men che meno quelle dell’autrice – assuma una posizione dominante.
Una delle due serie fotografiche porta avanti in bianco e nero il progetto che, per diversi anni, ho condotto nelle miniere tuttora in funzione nell’est, nella “zona grigia” delle operazioni belliche. Ma in realtà questo nuovo breve ciclo è stato realizzato nella pacifica città di Novovolyns’k, nell’Ucraina occidentale, non lontano dal confine polacco. Qui vive e prospera una cultura industriale simile a quella del Donbass; la sua storia attuale affiora in questo libro attraverso immagini riferite a fatti che trapelano di tanto in tanto e che tuttavia rimangono non detti.
Con queste serie fotografiche e questi racconti vorrei dimostrare come una collisione di contesti differenti possa contagiare e trasformare una narrazione, portando in ultima istanza a rinunciare a qualsiasi certezza.
La protagonista del mio progetto, colei che con le sue parole ha aperto questa prefazione, è destinata a comparire più avanti. Ma riconoscerla sarà pressoché impossibile, perché il modo di parlare da lei escogitato ormai è alla base del mio.