Il 4 aprile 2017, Elena capì di non poter più parlare con la sua mamma. Prese la decisione sull’autobus da Marganec a Dnipro. Due volte alla settimana affrontava quel viaggio scomodo ed economicamente svantaggioso, perché viveva a Marganec, dove con il suo lavoro non riusciva a guadagnare abbastanza.
A Dnipro lavorava come aiutante del cuoco in un ristorante, secondo lei molto caro, dove la pagavano così generosamente che il costo del viaggio si ammortizzava e le restavano i soldi per comprarsi qualcosa di carino. Aveva anche cominciato a leggere riviste che insistevano nel raccomandare alle lettrici di imparare a viziarsi un po’. Elena sull’autobus rifletteva su come ci si potesse viziare un po’. Poteva per esempio andare in un istituto di bellezza a Dnipro, o comprarsi quel cappotto rosso e arancio che finora non si era nemmeno decisa a provare, oppure avrebbe potuto risparmiare piano piano e ristrutturare la sua casa a Marganec, o trasferirsi a Dnipro. Ma quale trasferimento, se la sua mamma viveva a Marganec e non aveva nessuna intenzione di andarsene?
Elena ricominciò a pensare a sua mamma. Ebbe paura di non assomigliarle abbastanza. La mamma aveva lavorato nella fabbrica di nastri, la più grande d’Europa, la leggenda cittadina. «La nostra fabbrica produceva migliaia di nastri» diceva la mamma. Era molto brava a distinguerne ogni tipologia, sapeva riconoscere la differenza tra i nastri per le rifiniture e i nastri moirés. Conosceva ogni sfumatura di colore e a quale utilizzo erano destinati i diversi tipi di nastro. Fin da piccola Elena sognava di diventare come la mamma, anzi più di lei, magari tessitrice, cucitrice o designer di nastri. Che cosa c’era di meglio di un nastro? Un nastro così lungo che lo si poteva girare intorno a tutta la Terra. La Terra sarebbe stata come un pacchetto regalo e la si sarebbe potuta offrire in dono a qualcuno di più attento e premuroso.
Quando Elena si sedeva sull’autobus prendeva subito il piccolo telefonino nero e premeva i tasti a comporre il solito numero.
«Sì, mamma, sono sull’autobus, sì ho trovato posto, l’autobus non è in ritardo, l’autista è simpatico, non è ubriaco, anche gli altri passeggeri sono gentili. Sto bene.»
All’arrivo a Dnipro, Elena telefonava di nuovo alla mamma.
«Mamma, sono già a Dnipro, tutto bene, vado al lavoro, oggi farò tardi. Dobbiamo infornare delle torte per una festa di lusso. È venuto un tipo, spiritoso, elegante e le ha ordinate. Figurati che sopra dobbiamo scrivere frasi come “favola d’estate” “mio sogno”, “mia bambina mia regina”. A Dnipro ci sono persone che spendono, fanno regali, e che regali! Da noi non è così.»
Quando arrivava al lavoro doveva telefonare di nuovo alla mamma, o era la mamma che telefonava a lei.
«Ciao, mamma! Fa caldissimo al lavoro e c’è chiasso. Sì, perché non sono sola nel reparto. C’è un profumo di zucchero che ti piacerebbe molto. Sì, è venuto l’uomo delle torte, le ha ritirate, gliele ho consegnate io. Mi ha detto che sono come “un fiorellino tenero”, o una cosa così, comunque parole molto belle. No, mamma, non penso a lui, no, non gli ho lasciato il numero di telefono. Mi comporto come mi hai insegnato. Penso solo al lavoro, ma mi ha fatto piacere. È perché ho una bella mamma che mi ha fatto i complimenti. Ti sono riuscita bene. Ciao, mamma. Tra poco torno a casa. Tra cinque ore.»
E così Elena telefonava continuamente alla mamma e cercava nella vita di somigliarle in tutto. Pensava a lei ed era sicura che non potesse esistere al mondo una donna migliore. Ma improvvisamente, proprio il 4 aprile 2017, Elena cominciò a pensare che non avrebbe più potuto telefonare così spesso a Marganec, non avrebbe più potuto ascoltare così spesso la voce della mamma. Le sembrava di amarla così tanto da non poter reggere una conversazione con lei. Anche la più corta delle telefonate sarebbe stata insostenibile.
Il nastrificio ormai era un luogo di rovine affascinanti, dove a loro due piaceva passeggiare insieme.
Nessuno in città era più in grado di produrre nastri. Avevano disimparato in fretta e solo la mamma di Elena ricordava il suo mestiere, riguardava i registri e i piani di produzione.
Elena non avrebbe potuto continuare il lavoro della mamma. Le persone lì intorno cambiavano in fretta. Le amiche più care della mamma, che una volta lavoravano nella fabbrica, adesso non volevano nemmeno sentirne parlare. Si erano trovate tutte un altro lavoro, o si erano trasferite da Marganec a Dnipro, o addirittura a Zaporož’e.
Elena sentiva che la terra le sfuggiva da sotto i piedi. Perché non riusciva più nemmeno a parlare come le aveva insegnato la mamma. Ogni nuova persona che incontrava le insegnava a parlare diversamente, a pronunciare la “g” dura, mentre alla mamma piaceva di più la “g” morbida, un po’ aspirata, ucraina.
Quanto si poteva resistere? La vita vola via. Ogni nuova conoscenza occupa tutti i nostri pensieri e esclude dalla coscienza le persone che amiamo. Ogni nuovo giorno irride il precedente. E allora va bene, lasciamo che sia così!
Forse Elena era così devota alla sua mamma, e amava così tanto la sua città da non poter resistere alla semplice ma insostenibile realtà che la voce della sua mamma potesse essere dimenticata, bastava lasciare Marganec anche solo un giorno, e anche restando a Marganec non c’era più nessuno che avesse voglia di ricordi.
Anche il suo nome, molto più bello di lei che lo portava, a detta sua, apparteneva alla mamma. La mamma e le sue amiche chiamavano così il nastro blu scuro che era entrato nella produzione al principio degli anni Ottanta.
Per colpa di tutti questi pensieri, Elena non riusciva più a fare tutto come prima. La sua capacità di sopportazione si era spezzata. Il 4 aprile del 2017 aveva buttato il telefono in una fontana, aveva passato la notte nel locale dietro la cucina del ristorante, e il giorno dopo aveva chiesto di poter lavorare sette giorni su sette. Si era proposta senza fare richieste economiche, ma loro le avevano subito offerto un ottimo stipendio; era pronta ad andare a dormire alla stazione, ma loro le avevano dato gratuitamente, per il primo mese, un appartamento che si era appena liberato, di proprietà del contabile.
Così Elena andò a vivere a Dnipro.