12

Quando Nancy era arrivata a Metcalfe Hall, Laurence vi aveva appena fatto ritorno. Era disperato. Sembrava che non vi fosse nulla che potesse fare, se non continuare a cercare la figlioletta alla cieca.

Nancy era senza fiato. Aveva corso per tutto il tragitto e le ci vollero alcuni momenti prima di potersi esprimere in modo coerente. Alla fine riuscì ad articolare un discorso e raccontò tutto.

Laurence ascoltò quel fiume di parole. Margaret, accanto a lui, stentava a credervi. Tuttavia, se era la verità, ecco un primo barlume di speranza dal momento della sparizione di Christina. Ma Lucinda? Cosa ne era stato di lei? Perché non era con Nancy?

Laurence allungò le mani e, afferrata la cameriera per le spalle, le diede uno scrollone. «Dov’è Lucinda? Perché non è qui con voi?»

«L’ho... l’ho lasciata a Walmgate» balbettò Nancy.

«Cosa!? Siete tornata indietro senza di lei?»

Le lacrime cominciarono a scendere copiose dagli occhi di Nancy. «Ho dovuto. Non volevo, ma lei mi ha costretto» spiegò tra i singhiozzi.

«Avete detto che l’uomo ha salito le scale di un edificio a Walmgate?» tagliò corto Laurence.

Nancy assentì. «Sì. Miss Lucinda ha detto che avrebbe aspettato fuori, dove l’ho lasciata. Sarebbe entrata soltanto se vi fosse stata costretta.»

«Buon Dio» mormorò Laurence. «Prego il cielo che non abbia commesso un gesto sconsiderato.»

Sapeva benissimo di quale genere di uomini fossero i due mandati da don Felipe a rapire la nipote. Non avrebbero esitato un istante a uccidere Lucinda, se lei si fosse messa a intralciare i loro progetti.

Una volta che l’avesse riportata a casa, si ripromise, non le avrebbe più permesso di allontanarsi senza di lui. Perché l’amava, l’amava con tutto il cuore, e la sola idea che potesse capitarle qualcosa di brutto gli toglieva il senno.

«Bene, adesso mi porterete nel luogo dove avete lasciato Lucinda» intimò a Nancy. «Qui fuori ci sono due guardie che verranno con noi.»

Senza Nancy a indicargli la strada, Laurence non l’avrebbe mai trovata da solo.

Giunsero nel luogo in cui la cameriera aveva lasciato Lucinda, ma non la scorsero da nessuna parte. All’improvviso videro aprirsi la porta in cima alla scala e udirono un grido di donna.

Laurence corse su per gli scalini appena in tempo per vedere, attraverso la porta, Lucinda che cadeva sul pavimento e giaceva immobile.

Pazzo di rabbia e paura, si scagliò contro lo spagnolo proprio mentre costui afferrava da terra un coltello e gli si avventava addosso. Posseduto da una tale furia che nulla avrebbe potuto fermarlo, afferrò con forza il polso dell’uomo e lo strinse finché l’arma non cadde al suolo. Poi prese a pugni l’avversario, che barcollò sotto la violenza dei colpi e precipitò a terra.

Quando Alonso cercò di rialzarsi e dirigersi verso la porta, Laurence gli balzò addosso e lo sbatté contro lo stipite. Intanto al suo fianco erano comparse le guardie, che immobilizzarono anche l’altro rapitore.

Mentre le guardie prendevano in consegna anche Maria, Laurence si precipitò da Lucinda, che ancora non si muoveva.

Le si inginocchiò accanto. Era priva di conoscenza, ma ancora viva. Un rivolo di sangue le scivolava tra i capelli, un altro le scorreva su un fianco. La gola stretta da una morsa di angoscia, Laurence la sollevò, tenendola come se non pesasse nulla, e la portò giù nel cortile.

Nancy, che aveva in braccio Christina, guardò con ansia Lucinda, che sembrava una bambola di pezza nelle mani di Lord Rainborough. «Si riprenderà?» chiese con voce tremante.

«Non lo so. È peggio di quanto pensassi. Dev’essere subito curata. Sta perdendo molto sangue. Fateci strada» ordinò a una delle guardie.

Quando Laurence tornò a Metcalfe Hall, Margaret pianse per la gioia di vedere Christina sana e salva, ma non appena scorse Lucinda pianse ancora più forte per la paura e l’angoscia.

Fortunatamente la ferita al fianco era soltanto superficiale e il coltello aveva mancato organi vitali. Fu pulita e medicata, ma Lucinda non mostrò il minimo segno di ripresa. A causa del colpo alla testa?, si domandava Laurence con angoscia crescente.

Soltanto il tempo avrebbe potuto dare la risposta.

Nei giorni seguenti, Lucinda visse in uno stato di semincoscienza. Nei rari momenti di lucidità percepiva solo dolore e senso di morte. Laurence rimase costantemente al suo fianco, anche se lei non se ne rese conto.

Nel pomeriggio del terzo giorno, la coscienza finalmente le tornò. Laurence, che stava al suo capezzale, trasse un sospiro di sollievo quando la vide aprire gli occhi.

«Finalmente» mormorò in un tono che avrebbe voluto essere disinvolto, ma suonò soprattutto commosso. «Stavo cominciando a chiedermi quando vi sareste svegliata.»

Lucinda lo guardò per un lungo istante cercando di raccogliere i pensieri. Perché si trovava in quel letto, con Laurence accanto? Provò una fitta al fianco e un forte dolore alla testa e ricordò. Rivide il coltello, gli occhi cattivi dell’aggressore, quelli atterriti di Christina. Ricordò la lotta furibonda che aveva ingaggiato, l’alta figura di Laurence che si stagliava sulla soglia... «Da quanto tempo?» chiese con un filo di voce.

«Tre giorni.»

«Come sta Christina?»

«Bene, grazie a voi. Senza di voi, non l’avremmo mai trovata» rispose Laurence.

«Mi... mi riprenderò?» domandò lei. «Ricordo così poco di tutto quello che è accaduto.»

«Ora siete fuori pericolo. Dovrete riposare finché non vi saranno tornate le forze.»

Lucinda cercò di sorridere. «Sembrate stanco. Spero di non avervi causato troppo fastidio.»

Lui le prese una mano. «Vi ringrazio con tutto il cuore per avermi restituito mia figlia e ringrazio Dio per avervi salvato. Non avrei potuto sopportarlo, se vi fosse successo qualcosa.»

«C’è stato un momento in cui ero certa che sarei morta» sussurrò lei. «Quando ho visto il coltello in mano ad Alonso.»

«Sarebbe morta anche una parte di me, allora. Vi amo. Mai una donna mi ha ispirato tali emozioni. Ho passato le pene dell’inferno, in questi giorni, e dovete promettermi che non vi esporrete mai più al pericolo.»

Lucinda lo osservò, incredula. Era possibile che quello che le stava dicendo fosse vero? Oppure si trattava di un sogno frutto dell’incoscienza? «Allora siete convinto che vi sposerò?» non rinunciò tuttavia a ribattere in tono vagamente provocatorio.

«Sì. Anche perché non vi permetterò assolutamente di rifiutare.»

«E io che pensavo che mi voleste sposare per i miei soldi!»

Laurence si corrucciò e replicò in tono serio: «Non nego che la vostra dote aiuterà Rainborough a tornare agli antichi splendori e che Christina avrà finalmente una madre e stabilità nella vita. Ma questi sono aspetti secondari rispetto al più importante: sarete mia moglie perché vi amo e non potrei desiderare nessun’altra. La prima volta che vi ho visto a York ho capito che eravate diversa da ogni altra donna che avessi mai incontrato. Vi ho desiderato fin da allora, anche se non conoscevo ancora la vostra identità. Mi sono sentito sollevato allorché Henrietta ha deciso di non sposarmi, perché avevo già capito che eravate voi quella che volevo. Desidero che siate mia per sempre. Anche se non avessi un soldo, vi sposerei e vivrei tutta la vita in povertà essendo lo stesso l’uomo più felice del mondo».

Calde lacrime cominciarono a rigare il volto di Lucinda. «Oh, Laurence. Non sapete quanto ho desiderato che pronunciaste queste parole! Sarò felice di essere vostra moglie.» Chiuse gli occhi. «Vi amo anch’io e so che mi renderete la donna più felice della terra.»

Lui le sfiorò il viso con una mano, poi si chinò su di lei e la baciò sulle labbra. «Non ci saranno più segreti tra noi. Ditemi ancora che siete felice di sposarmi. Non avrete rimpianti della vostra isola, dove avete passato tanti anni sereni?»

Lucinda lo guardò negli occhi. «Non ci saranno rimpianti. La mia vita a Barbados è finita. Non è rimasto altro, oltre a tanti bei ricordi, e so che la parte migliore della mia vita deve ancora arrivare.»