Due settimane dopo il suo ritorno da York, quando il padre e la sorella tornarono da Londra, Lucinda vide con preoccupazione che c’era qualcosa che non andava in Henrietta. Era depressa e pallidissima. Fu solo quando si ritrovarono sole nella sua stanza che scoprì quanto il viaggio a Londra l’avesse disturbata e irritata.
Henrietta era stata fin dall’inizio al corrente dello scopo della visita del padre nella capitale. Il genitore intendeva recarsi dagli avvocati del Conte di Rainborough per proporre un’unione tra lei, sua primogenita, e il nobiluomo. Innamoratissima di Hal Ingram, il figlio di un signorotto del vicino villaggio di Carthwait, era stata così ingenua da illudersi che il padre avrebbe cambiato progetti quando gli avesse fatto capire i propri sentimenti e desideri.
Thomas Howard, invece, era decisissimo a perseguire il proprio obiettivo. Voleva morire tranquillo sapendo di avere bene provveduto, con un adeguato matrimonio, al futuro delle sue figliole. Era stato molto attento a nascondere a entrambe la gravità del proprio stato di salute. Sapeva che agli occhi attenti di Lucinda i suoi malesseri non erano sfuggiti, ma aveva sempre reagito allo sconforto e alla sofferenza con grande forza d’animo, ostentando serenità.
«Oh, Lucinda, cosa devo fare?» domandò Henrietta, desiderosa di confidarsi finalmente con qualcuno.
«Fare? Perché... Di cosa parli?»
«Questo... questo matrimonio con il Conte di Rainborough. Non posso andare avanti, Lucinda. Non posso proprio.»
«Dunque il conte è favorevole alla proposta di nostro padre?»
Lacrime improvvise bagnarono gli occhi di Henrietta, che rispose: «Sì, purtroppo. E so quanto sarebbe felice nostro padre se questa disponibilità reciproca sfociasse nel matrimonio. Tuttavia è più forte di me, non posso».
«Perché parli così? È a causa di Hal?»
Henrietta assentì. «Non riesco a immaginare di vivere senza Hal. Non posso stare senza di lui» gemette disperata.
Lucinda non aveva mai visto sua sorella tanto prostrata. Allarmata e dispiaciuta, le si avvicinò e le prese una mano, accompagnandola a sedersi sul divanetto.
«Hai parlato a papà? Gli hai spiegato ciò che provi per Hal?»
Di nuovo, Henrietta assentì. «Sì, ma non vuole saperne. Ogni volta che pronuncio il suo nome, si ritira in se stesso. La prima volta che ho incontrato Hal e quando abbiamo capito di essere innamorati, sembrava tutto così semplice... Avevo pianificato ogni dettaglio nella mia mente. Credevo che ci saremmo fidanzati e poi sposati. Come potevo sapere che papà si sarebbe scagliato così aspramente contro la sua famiglia? So che il padre di Hal ha una brutta reputazione perché gioca d’azzardo e ama troppo i liquori. So anche che i fratelli più grandi di Hal seguono l’esempio del loro genitore, ma Hal non è come loro. È dolce e gentile. Mi ama e non gli interessa nulla dei soldi degli Howard. Afferma che mi sposerebbe comunque.»
Lucinda non la contraddisse. L’adorazione di Hal Ingram per Henrietta era evidente anche se Sir Thomas faceva del proprio meglio per scoraggiare quella relazione. «Raccontami ciò che è successo fra te e il Conte di Rainborough...»
«Non è accaduto nulla» rispose Henrietta. «Ci siamo incontrati dopo che lui e papà hanno avuto una lunga discussione. Questo è tutto. Oh, è un tipo innegabilmente attraente. Affascinante, anzi. Be’, direi che ogni donna sarebbe onorata di sposare un uomo del genere. Il suo lignaggio è impeccabile, si è distinto in numerose battaglie per tutta l’Europa ed è tenuto in grande considerazione dal Duca di Marlborough stesso...»
«Ma?»
Henrietta posò sulla sorella due occhi imploranti. «Oh, Lucinda, per la verità è... eccessivamente maschio, se capisci cosa intendo. Emana una forza e una vitalità che mi spaventano. La sola prospettiva di un matrimonio con lui mi terrorizza.» Sospirò profondamente abbassando gli occhi e stringendo le mani in grembo. «Mi riterrai sciocca, tu che non hai mai temuto nulla e nessuno in vita tua.»
Lucinda sospirò, perché Henrietta stava dicendo la verità. Loro due erano infatti diversissime, sia nel fisico sia nel temperamento.
«Papà spera che le cose si sistemeranno in modo soddisfacente» proseguì Henrietta. «So anche che dovrei sentirmi onorata, e lo sono... ma darei tutto pur di sposare Hal! Il buono, semplice, ordinario Hal. Oh, certo, non è ricco, ma non lo è nemmeno il conte.»
«Non adesso, forse, ma il matrimonio con te lo renderebbe tale» ribatté Lucinda aspramente. Sentiva in sé un sordo risentimento nei confronti del Conte di Rainborough. Non incolpava suo padre, che voleva il meglio per Henrietta. Si chiedeva invece che genere di persona fosse un uomo pronto a prendere moglie soltanto per denaro. Certo, lui doveva salvare la proprietà appena ereditata, ma chi poteva assicurare che non si sarebbe comportato esattamente come il defunto Rupert? Scialacquare fortune era un malvezzo assai diffuso tra gli aristocratici inglesi! Sospirò di nuovo cercando di trovare qualcosa di confortante da dire alla sorella. «Papà si sta solo comportando nel modo che ritiene migliore, Henrietta. Sono sicura, tuttavia, che non vorrebbe vederti infelice. Ti preoccupi per niente.»
«Spero davvero che tu abbia ragione. Tu mi capisci, vero? Non posso dare il mio amore a nessun altro che ad Hal. Il conte è un personaggio importante, lo so. Possiede una vasta proprietà e un castello. Se lo sposassi, diventerei contessa, ma questo non significa niente per me. Non posso sposarmi semplicemente per un nome e una posizione. Non è ciò che desidero. Voglio l’amore sopra ogni altra cosa. Devi capirlo. Credi che questo sia un comportamento egoista da parte mia?»
«No.» Lucinda sorrise. «Come potrei considerarlo tale, dal momento che desidero io stessa le medesime cose? Ma più di ogni altro desiderio» proseguì con espressione triste, «ho voglia di tornare a Barbados. Il pensiero di non andarvi mai più mi spezza il cuore.»
«Lo so. Anch’io volevo tornarvi prima di incontrare Hal. Adesso, invece, sono contenta di essere qui, dov’è lui. Un giorno sarà lo stesso anche per te, Lucinda. Vedrai. Sei così fortunata a non trovarti nella mia posizione!»
«Fortunata» ribatté lei con una piccola smorfia. «Ricorda che poi verrà il mio turno. Papà intende trovare marito a entrambe.»
«Lo so. Ma dubito che per te si tratterà della stessa unione che sta preparando per me. Perché vuole puntare così in alto?» chiese Henrietta in tono lamentoso.
«Per la fortuna che erediteremo, sorella cara, e per il fatto che non abbiamo parenti. Ci resta soltanto la cugina Celia, la cui salute, come sai, causa a tutti noi grande preoccupazione. Sospetto che nostro padre voglia assicurarsi di avere sistemato tutto prima... prima...»
Il suo tono incerto indusse Henrietta a osservarla con attenzione. «Prima? Prima di cosa, Lucinda? Credi che papà sia molto malato? È questo che stai cercando di dire?»
«Non lo so» rispose lei, «ma non si può negare che abbia perso un po’ della sua forza e del suo vigore. C’è parecchia fragilità in lui, adesso, e alcune volte mi sembra che soffra molto. Si stanca anche così facilmente... Comunque, devi confessargli ciò che provi, Henrietta. Devi fargli capire che ami Hal e non puoi sposare il Conte di Rainborough. Se quell’uomo è così ansioso di salvare la sua proprietà e il castello, cerchi da qualche altra parte l’ereditiera da sposare.»
Il sole riscaldava l’annuale fiera di Rainborough, allestita nei campi che circondavano la cittadina. C’erano le premesse perché quella giornata risultasse allegra e chiassosa. La gente giungeva da lontano indossando l’abito migliore e aveva voglia di divertimenti. Tutti si accalcavano per ammirare la mostra delle statue di cera e delle più strambe curiosità. Lucinda cercò di evitare la ressa domandandosi come le persone potessero essere affascinate da certe deformità.
Era comunque la prima fiera alla quale fosse mai stata. Non vi era alcunché del genere a Barbados. Avrebbe desiderato che Henrietta l’accompagnasse, ma la sorella era riuscita a sfuggire agli occhi attenti del padre per incontrarsi in segreto con Hal. Così lei si era recata lì con Nancy, la cameriera.
Poco tempo dopo, tuttavia, scoprì di non poterne già più di quel luogo e decise di tornare a casa.
Mentre le due donne si dirigevano verso la carrozza, notò appoggiato a un albero l’affascinante sconosciuto che alla locanda di York le aveva fatto battere più forte il cuore. Lo riconobbe immediatamente e rimase così sorpresa di vederlo che, per un momento, non poté credere ai propri occhi.
I loro sguardi si incrociarono. Lucinda era sbalordita, ma tentò di ricomporsi. Ricordava fin troppo bene l’offensiva diffidenza di quello sconosciuto quando lei aveva cercato di aiutare la donna straniera con la bambina in braccio.
«Così il destino ha deciso che ci incontrassimo di nuovo!» esclamò lui abbandonando la propria posizione. Avvicinandosi, si inchinò educatamente senza tuttavia staccarle gli occhi dal volto. «È un grande piacere rivedervi ancora una volta. Se posso permettermi, siete ancora più affascinante.»
«Vi prego, risparmiate le vostre lusinghe per qualcun’altra. Non sono interessata e non credo nel destino, signore» replicò Lucinda in tono tagliente.
Laurence rise apertamente a quella risposta. «Vedo che il vostro temperamento non è affatto cambiato.»
«Infatti» gli ribatté, gli occhi luccicanti di collera e le guance arrossate un po’ dal caldo e un po’ dall’emozione, «non è cambiata la compagnia con cui mi trovo. Il mio temperamento risente molto del mio umore... o malumore.»
Per nulla colpito, lui si limitò a sorridere.
In quella, un uomo si avvicinò. Il suo nome era William Fielding. Aveva servito fedelmente Laurence durante tutta la carriera militare dimostrandosi indispensabile. Riluttante a lasciare il suo comandante, lo aveva seguito a Rainborough come cameriere personale. Nei suoi occhi, adesso, c’era un’espressione vagamente sconcertata. Era chiaro, infatti, che quella giovane donna orgogliosa non aveva la minima idea di chi fosse la persona con cui stava parlando.
«Mia cara signorina» intervenne, «il gentiluomo a cui vi state indirizzando con tanta foga è...»
Lucinda riconobbe in lui l’uomo che stava portando le valigie in quell’albergo a York e lo azzittì con un’occhiataccia. «So benissimo chi è questo... gentiluomo» ribatté, acida.
William avrebbe proseguito, ma Laurence gli posò una mano sul braccio.
«Anzi, qualunque cosa possiate dire e chiunque voi siate, le doti tipiche di un vero gentiluomo non sembrano essere il vostro punto forte» proseguì Lucinda voltandogli le spalle e accingendosi ad allontanarsi.
«Cosa? Nemmeno se vi dicessi che sono il Conte di Rainborough?» domandò Laurence con un sorriso, per nulla offeso da quel malevolo commento.
«Ah!» Lucinda si bloccò e si girò a guardarlo ostentando incredulità. «Se fosse davvero così, allora io sarei la Regina d’Inghilterra. Da quello che ho sentito del Conte di Rainborough, è un nobiluomo del più alto livello. Voi appartenete senz’altro a mondi ben diversi» controbatté tornando a incamminarsi.
I due uomini restarono a osservarla mentre si allontanava accompagnata dalla cameriera.
«Accidenti» sbottò William. «Quella sì che è tutta fuoco! Sbaglio o è la stessa che abbiamo incontrato a York?»
«Già, proprio la stessa» confermò Laurence.
«Allora dev’essere di queste parti. Avete idea di chi si tratti?»
«No, William» mormorò lui. «E se non fossi sul punto di fidanzarmi con Miss Henrietta Howard, puoi star certo che lo vorrei scoprire subito.»