Per l’introduzione di Rubino, che sarebbe stata fatta personalmente dall’assessore, o meglio, da questi solo enunciata, Ornella doveva procurarsi tutti i libri del giallista e non leggerli: studiarseli! Il che non la entusiasmava affatto. Ma non aveva scampo.
Motivo per il quale, ritornata a Borgo Propizio, si fermò a fondovalle. Lasciò l’auto al posteggio e si diresse a piedi verso il supermercato, ignara che a metà del viale d’accesso, dove nessun miraggio avrebbe fatto apparire un accidenti di pensilina, l’attendeva un acquazzone tanto improvviso quanto violento, scrosciato al solo scopo di rovinarle i capelli, fatti dal parrucchiere il pomeriggio precedente. Infatti, dieci minuti dopo, quando varcò nuovamente le porte automatiche con in borsa altri tre romanzi su Vince Vasino e uno scontrino da quarantotto euro (fortuna che aveva trovato almeno un titolo in edizione pocket), tutto era finito. E la pettinatura distrutta, e la macchina sporcata. Uffa!
La pioggia aveva creato un ingorgo nel quale Ornella non aveva voglia di imbottigliarsi dopo tutti quei chilometri, per cui decise di svoltare a sinistra, prendendo la strada posteriore alla collina anche se era più lunga. E lì, dopo qualche centinaio di metri, accanto al SUV fiammante di Ruggero, scorse la Panda grigio metallizzata di Mariolina. Poi un po’ più avanti l’amica, che raggiunse.
«Ti sei messa a lavorare con il maritino?» la canzonò.
«No, ho portato qui la mia macchina che deve andare dal meccanico per la revisione, sempre che la passi. Ma tu cos’hai fatto ai capelli?»
«La doccia! Non hai visto prima che acqua?»
«Sì, ma sono arrivata giusto alla fine».
«Io invece giusto all’inizio».
«Parcheggia e raggiungimi in ufficio, c’è un fon nel bagno. L’ho messo per l’evenienza».
Entrando nell’EdilBorgo, Ornella trovò Antonia seduta in sala d’attesa. Entrambe sorprese, si salutarono con un’evidente meraviglia, che stupì Mariolina.
«Ornella, non sapevo che conoscessi l’architetto!» esclamò Mariolina.
«I nostri... mariti... lavoravano nello stesso ospedale».
«Allora è lei la forestiera dai capelli rossi di cui parlava Dora!»
«Facile. Ma Dora parla di tutti!»
«Dora...?» domandò Antonia.
«Una pettegola del borgo, lascia stare». Ornella si sentiva a disagio perché non si era degnata di telefonarle nemmeno una volta, ma decise di fare l’indifferente. «Come ti trovi all’Hotel Rimembranze?»
«Sono andata via da un po’, altrimenti mi toccava accendere un mutuo. Ci sono rimasta una settimana e mi ha fatto bene. Salivo tutti i giorni al borgo: avevi ragione, c’è un’aria speciale».
Antonia era tornata a casa, in città, spiegò, poi un giorno l’albergatrice, molto gentilmente, l’aveva chiamata per informarla che il Consorzio Edile Propiziese cercava un arredatore, dato che avevano deciso di mettere in palio il mobilio completo – uno per ogni tipologia d’immobile – tra i primi che avessero acquistato un appartamento nell’ultimo lotto di fabbricati. Volevano spingere le vendite che erano rallentate e chiudere in bellezza: era finita, infatti, la porzione di terreno edificabile concessa dal Comune, nonostante la tanta campagna intorno che, secondo Ruggero e gli altri costruttori, era un vero e proprio spreco. Perciò Antonia era lì. Candidatasi, era stata presa e aveva realizzato i progetti richiesti con un ottimo rapporto qualità/prezzo. Sapeva come muoversi, i mobili per anni erano stati il suo pane quotidiano. Adesso aspettava il geometra per consegnargli il lavoro e, se possibile, anche essere pagata: quei seicento euro non erano granché, ma avrebbero coperto un mese di pigione, spese condominiali incluse.
«Il geometra...» disse Mariolina con un tono ironico che solo Ornella comprese. «Vado ad avvertirlo».
«Grazie, ma gliel’ha già detto la segretaria, prima di uscire».
Mariolina guardò l’orologio: «Quindi lei è qui da più di mezz’ora...»
«Non importa, aspetto».
Ruggero, vicepresidente del consorzio, era impegnato in una delle solite telefonate fiume e, dopo aver inutilmente atteso cinque minuti, alla moglie non restò che richiudere la porta del suo ufficio e dire ad Antonia di armarsi di ulteriore pazienza.
E a Ornella, che intanto aveva asciugato i capelli, di non andare via subito.
Da quando il rapporto con Marietta era ingestibile, Mariolina riversava il suo affetto sull’amica. Si conoscevano fin da bambine, avevano giocato sempre insieme – alle mogli con i mariti al fronte, alle vedove di guerra e cose simili – e ciò le aveva molto unite, ché anche nella finzione mal comune è mezzo gaudio. Crescendo, si erano giocoforza allontanate quando la signora Elvira aveva aperto la stagione della caccia al buon partito per la figlia.
«Veramente sarei stanca, ho fatto seicento chilometri oggi, ma resto volentieri un po’. Però aspetta che telefono a mia madre».
«Dove sei andata così lontano?» chiese Mariolina.
«Avevo un appuntamento» rispose Ornella.
E, in un alone di mistero, uscì per parlare al cellulare. All’interno, essendo un piano terra, non c’era campo.
Gli occhi grigi e riccamente frangiati da ciglia di Mariolina sembravano due uova al tegamino tanto erano spalancati dalla curiosità.
«Con chi?»
«Un-uo-mo».
«Chiii?»
«Un uomo affascinante, colto, alto più di me e con le lentine come me, ma forse colorate».
«Alto più di te significa un watusso».
«Infatti. Ho perso una rara occasione di mettere i tacchi».
«Come mai non li hai messi?»
«Non sapevo fosse così alto».
«Era un appuntamento al buio?»
Ornella abbandonò il tono sibillino: «Magari! Era di lavoro».
«Aaah!» esclamò Mariolina. «Mi sarei offesa se non mi avessi detto niente».
Mentre l’amica continuava a spiare la porta dell’ufficio di Ruggero, Ornella raccontò tutto per filo e per segno, meravigliandosi che tra le due sembrava Antonia la più interessata. E la meraviglia si tramutò in sbalordimento quando, dopo che ebbe tirato fuori dalla borsa i tre volumi appena acquistati, gli occhi dell’altra si riempirono di lacrime (anche lei con le lenti a contatto?).
«Stai bene?»
«Sì, sì. È che... ho letto questi libri e sono molto... commoventi».
Antonia aveva parlato tirando su con il naso.
«Sono romanzi d’amore?» domandò Mariolina che sarebbe andata subito a comprarseli.
«No, gialli» rispose Ornella. «Antonia, non per contraddirti, ma io ho letto l’ultimo e non vi ho trovato nulla di commovente».
«In quello che scrive Rocco... c’è sempre... cioè, nei libri di Rocco Rubino... fin dall’inizio... c’è sempre stato l’amore... è la spinta propulsiva».
Mah! pensò Ornella che cominciava a credere di avere sepolto troppo in fondo la sua sensibilità ed essere diventata cinica. Però quelle frasi smozzicate di Antonia le apparivano fuori luogo e lei un’invasata.
«Hai letto anche Parola mia?»
«Sì, è uno scrittore che amo molto, che mi fa soffrire molto» rispose l’altra in un soffio.
«Soffrire... effettivamente. Non so gli altri libri, ma questo l’ho trovato intriso di una sofferenza che quasi mi si attaccava addosso. Un effetto stranissimo».
Ornella non poté sentire il raccapricciante, muto urlo di Antonia: era suo il dolore di cui Rubino scriveva e con il quale si arricchiva; era quello della sua anima straziata dalla cattiveria, dal tradimento, dall’indifferenza di un uomo senza cuore.
«Non ti sembra una stronzata» continuò Ornella «che, dopo aver trovato il diario dell’assassina nel convento di Como, Vasino scenda la penisola fino a Teano perché, solo dove Garibaldi aveva incontrato il re, il furetto avrebbe potuto fare il famigerato colpo di coda? Il colmo è che poi, arrivato lì, scopre che non era Teano, ma Vairano, e allora va avanti e indietro perché i due paesi si contendono l’evento. E l’animale, confuso, non si dà una mossa per tre interi capitoli».
«Il colpo di coda è una metafora; indica il ritorno allo stato di grazia quando cessa lo stato di peccato. Vince Vasino porta ordine, giustizia, benessere, felicità. La grazia, appunto».
Due paia d’occhi (e uno di lenti a contatto) la guardarono basite, mentre Antonia continuava.
«Lo svela l’autore, nelle sue interviste. E per quanto riguarda Teano e Vairano, è giusto che si dilunghi. Questo è un thriller storico».
Ornella non obiettò; per lei un thriller storico era Il nome della rosa, ma avrebbe riletto Parola mia con attenzione. Ovvio che un motivo c’era, e valido, se Rubino era diventato nazionalpopolare, se vendeva tantissimo, se sfornava un libro ogni sei mesi, se Antonia ne parlava in quel modo, se tanti fan impazzivano per Vince Vasino.
E chissà se anche Ruggero ha delle ammiratrici, si chiese, quando lo vide apparire sulla porta con un sorriso fascinoso dicendo: «Architetto, mi deve perdonare. Non riuscivo a sganciarmi. Meno male che Mariolina le ha fatto compagnia. Sarei un uomo perduto, se non avrei mia moglie. Entri, la prego».
Testimone di questa ennesima dichiarazione, Ornella salutò e uscì dagli uffici dell’EdilBorgo per tornare a casa. Dove una nutriente zuppa di lenticchie le avrebbe dimostrato l’affetto più grande: quello della mamma.