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La musa botticelliana

«Ma...»

Ornella sgranò gli occhi. Non le sembrava possibile, eppure quei boccoli ramati erano inconfondibili. Indecisa se nascondersi o procedere con indifferenza, restò ferma sulla soglia del Municipio, infastidita, mentre Arturo, il giornalaio, porgeva il resto alla cliente che, fortunatamente per lui, aveva fatto una bella scorta di riviste. E che si girò, con la grazia di una musa botticelliana, e la vide. Il medesimo stupore le si dipinse negli occhi quando, dopo averla scrutata per un attimo, la riconobbe.

«Ornella! Sei proprio tu!» esclamò.

«Antonia!»

«Cosa ci fai, qui?»

«Ci abito».

«In questo paese?»

«In questo borgo!»

«...»

Ornella seguì lo sguardo di Antonia che fece il giro della piazza: il municipio, la chiesa, la fontana, le botteghe, l’edicola. E non capì se con sufficienza o cosa.

«E ci sono nata».

«Non lo sapevo».

Tante cose non sapevano di Ornella le mogli snob dei colleghi del suo ex marito, comprimarie di spocchiosi primari (o aspiranti tali) che spesso l’avevano guardata con superbia perché non proveniva dallo stesso ambiente e non era, come loro, di città. Ornella non le aveva mai sopportate, ma frequentarle era rientrato per anni nei suoi doveri coniugali. Trovarsene ora una di fronte la disturbava alquanto.

«Invece tu cosa ci fai a Borgo Propizio?»

Antonia si spostò la frangia dalla fronte e le piantò in faccia un paio d’occhi intensissimi. Tristissimi.

«Sono in fuga».

«Dalla città?»

«Da me stessa».

Nessuna sufficienza, anzi. La disperazione dipinta sul viso dell’altra convinse Ornella che, vecchie antipatie a parte, c’era urgente bisogno di... sapeva lei cosa. Guardò l’ora: era presto, ma non prestissimo. Senza indugio, prese l’altra sottobraccio e s’incamminò, seguita dall’occhio vigile del giornalaio che subito avrebbe riferito alla moglie – guai a lui se non lo avesse fatto, e con dovizia di dettagli! Tutti al borgo sapevano che pasta di pettegola fosse Dora – la quale alla prima occasione (o anche prima) avrebbe chiesto a Ornella e a chicchessia informazioni sulla forestiera arrivata da sola, alla chetichella, anziché in gruppo con il pullman granturismo dell’agenzia Viaggi Propizi.

Antonia si lasciò condurre docilmente, dimenticando che era salita fin sulla collina per visitare il museo.

«Dove mi stai portando?» chiese.

«In un posto da fiaba».

Il sole marzolino penetrava nella vetrata sotto l’insegna dal nome insolito: il titolo di una vecchia canzone. Dalla porta socchiusa sgattaiolavano una musica anni Sessanta e la fragranza di dolci appena sfornati.

Antonia era molto incuriosita.

«Che negozio è?»

«La latteria più pop che esista».

«Non l’avrei mai detto».

«Qui dentro niente si può mai dire».

Entrarono, e Antonia rimase sconcertata da ciò che vide: qua e là, sulle piastrelle bianche tutt’intorno, era dipinta la faccia di una mucchetta con il campanaccio arancione appeso al collo e la lingua rossa che faceva capolino da un lato; le rifiniva una bordura di greche rettangolari raffiguranti altre due mucche di profilo, screziate di blu, con le code verso l’alto e un sole giallo al centro. Più sopra, dove non vi erano mattonelle, nuvole bianche dipinte si stagliavano su uno sfondo celeste, e così era anche il soffitto. Da dietro il bancone in muratura sorrideva una Mary Poppins avanti negli anni che il tempo non aveva sfiorito.

«Sembra di essere tra le pagine di un libro per bambini!» esclamò Antonia.

«Credo che l’abbia già detto qualcun altro».

«Buongiorno, Ornella. Il mattino ha il latte in bocca!» la salutò Letizia, briosa come sempre, con la frase che riservava ai primi ospiti della giornata, mentre continuava a riporre le tazze appena estratte dalla lavastoviglie con un tintinnio che ben si accordava alle note del Gran Musicante. Al quale, pleonastico dirlo, stava pensando.

Lo pensava sempre, il suo G.M. Chissà se lui poteva immaginare una dedizione così sviscerata. E da una vita! Purtroppo non si era più fatto vivo dopo il telegramma che le aveva spedito alla vigilia dell’inaugurazione di Fatti Mandare dalla Mamma, tre anni e mezzo prima, e lei disperava di averlo lì. Ci voleva un’idea, ma le aveva esaurite tutte.

«L’assessore alla Cultura mi ha fissato un appuntamento in Comune praticamente all’alba» rispose Ornella. «Conosci il personaggio, non dorme mai, a differenza del predecessore. Voleva parlarmi di un’idea».

«Benedetta figliola! È appunto un’idea che mi ci vuole!» esclamò Letizia, che in tutti i modi aveva cercato di convincere il professor Tranquillo Conforti, insegnante di lettere in pensione, ora assessore alla Cultura e ai Grandi Eventi di Borgo Propizio, a mettere in piedi un festival canoro, una cosa in grande stile a cui invitare il G.M., che non avrebbe potuto declinare. Macché! Quello ne capiva solo di letteratura... e di cifre, da quando il governo aveva spietatamente stretto i cordoni della borsa, la Merkel bacchettava e le agenzie di rating declassavano; tuttavia i cittadini potevano richiedere delucidazioni in merito all’URP o, meglio ancora, all’assessorato Bilancio, Personale, Patrimonio e Tributi che ne aveva la specifica competenza. Le sue deleghe erano altre.

Uffa! Letizia non capiva. L’Italia era in deficit? Bene, la musica l’avrebbe rilanciata. A febbraio c’era già Sanremo? Ottimo, a luglio Borgo Propizio avrebbe fatto da contrappunto. Con il G.M. a presentare entrambi.

Macchemacché! Conforti da quell’orecchio non ci sentiva e replicava con inverosimili lectio magistralis su Dante o su Petrarca, delizia della mente e dell’udito di ogni individuo, mentre, per la soddisfazione del suo mero palato, ingurgitava variegati latti e dolci leccornie che Letizia per un certo periodo si era premurata di offrire a quella vera pasta di politico: mai una volta che avesse fatto il gesto di pagare.

«Un’idea per cosa?» domandò Ornella.

«Per conoscere il G.M. al più presto. Le lancette del mio orologio stanno prendendo il largo».

Per quanto in ottima forma, Letizia ormai virava verso i settanta e anche il suo idolo, essendo coetanei. Perciò bisognava che si sbrigasse a conoscerlo, non voleva certo presentarsi a lui quando fosse stata già assegnata alla categoria «Ruderi da Ospizio»: raggrinzita peggio di una prugna secca, occhi lattiginosi e voce rasposa, magari schiena curva.

«Mmm... Ho appena ricevuto l’incarico per un evento culturale e... si potrebbe pensare... d’inserire...» rifletté Ornella.

«Lavori per il Comune?» s’intromise Antonia.

«Talvolta sì».

Solo in quel momento Ornella realizzò che l’irruenza di Letizia le aveva fatto dimenticare una regola basilare della buona creanza: presentare due persone che ancora non si conoscono tra loro. Ma si rese conto di non sapere come definire la nuova arrivata. Ci pensò su un attimo e: «Uno dei personaggi della mia vita precedente» decise.

Antonia si lasciò scappare una lieve risata e ricambiò la vivace stretta di mano di Letizia.

«Vedendoti, dai proprio l’idea di una che sia resuscitata» disse poi a Ornella. «Quasi non ti riconoscevo prima in piazza, biondissima, il taglio alla maschietto, una forma smagliante... stai benissimo».

«È l’aria del borgo» commentò Letizia. «Spe-cia-le».

«Allora devo sperare nello stesso effetto anche per me».

In contrasto con l’aspetto leggiadro e la bellezza rarefatta che la facevano sembrare una madonna del Botticelli, Antonia aveva una voce profonda che riconduceva all’eco degli abissi marini. Ma Ornella non se la ricordava, perché all’epoca parlava poco e sembrava guardare la gente dall’alto in basso: non le era granché simpatica. Stava facendo questa considerazione quando Letizia la sottopose a un fuoco di domande.

Quale incarico quale progetto quale evento quale inserimento quale luogo quale data???

«Non c’è ancora nulla di definito» rispose Ornella. «Ma tu sai che Borgo Propizio avrà la sua biblioteca, vero?»

Sì, Letizia l’aveva sentito. Il Castelluccio, ora museo medievale, avrebbe ospitato in una delle sue ali la biblioteca civica di prossima apertura. Non che ne fosse contenta. Temeva che vi avrebbero organizzato eventi in concorrenza con i suoi, dopo tutta la fatica perché Fatti Mandare dalla Mamma creasse aggregazione: ricreativa e informale, ma anche formativa e culturale. Buongiorno alla spina – colazione con latte appena munto arrivato direttamente dalla stalla – e L’ora delle bianche chiacchiere – gruppo di conversazione con assaggio di fragranti dolcetti al latte – avevano preso piede bene. E se le summenzionate idee erano frutto di sua nipote Belinda, il gioiellino, cioè il laboratorio di scrittura creativa gastronomica, era di suo conio personale e ne andava orgogliosissima.

«A settembre, in occasione dell’inaugurazione della biblioteca, l’assessore vorrebbe organizzare un grosso evento culturale... un festival letterario... non sa ancora. Mi ha chiesto una proposta».

«Un festival, per quanto letterario, è pur sempre un festival» rimuginò Letizia, allontanandosi per salutare chi entrava nel negozio.

Settembre, aveva detto Ornella. Bene, per settembre Saturno sarebbe già uscito dal Sagittario che era il loro segno, suo e del G.M., e allora... hai visto mai! Forse il cerchio si stava chiudendo.

Ornella affiancava il lavoro di ufficio stampa, pubbliche relazioni, organizzazione di eventi e quant’altro alla sua attività primaria, quella di allenatrice sentimentale, come spiegò ad Antonia mentre Letizia, dopo avere servito loro due bicchieroni di latte alla vaniglia, veniva fagocitata dal gruppo dei Nonpiuverdi Poeti e Poetesse che a mattine alterne popolavano la latteria.

Antonia bevve un sorso, poi un altro e un altro ancora, e sentì che qualcosa le si distendeva dentro. Ornella se ne accorse, conosceva bene quella sensazione.

«Buono, vero? E non solo al gusto, è un toccasana in tutti i sensi, una carezza per il cuore».

«Cosa c’è dentro?»

«Qualcosa che si chiama semplicemente vaniglia, ma anche qualcos’altro, di magico, che si chiama passione. Per farlo so che tagliano il baccello e lo fanno bollire nel latte, poi lo lasciano in infusione per un po’ e infine lo servono».

«Parli al plurale, c’è qualcun altro oltre...?»

Con il mento, Antonia indicò Letizia.

«Sì, Belinda, sua nipote. È lei ad avere la passione del latte, ed è anche la titolare. Non è di qui, viene dalla città, ma oramai è più propiziese di me. Roba da non credere, ha lasciato un lavoro in un’azienda per seppellirsi qui e aprire questa latteria. Chi ci avrebbe scommesso? Eppure, invece di seppellirsi, ha fatto resuscitare tutto il borgo, si può dire. Be’, ha dato il la. La nuova giunta ha fatto il resto. È una ragazza straordinaria, ma la zia è molto di più: per sua nipote e per tutti noi».

«Non c’è?»

«Belinda in genere arriva tardi. Le piace dormire, e anche a me, se non sono costretta ad alzarmi presto. Pensare che una volta soffrivo d’insonnia».

«È questo latte magico che ti ha trasformata?»

«Sicuramente anche il latte» confermò Ornella alzando il bicchiere a mo’ di brindisi e ingollando un abbondante, benefico sorso. «Letizia dice che produce l’endorfina, che ci fa stare bene, e da quando vengo in latteria ne bevo parecchio. Ma... la libertà riacquistata, il sonno ritrovato, la consapevolezza che posso valere e farmi rispettare. Lavorare, essere indipendente, anche se a volte faccio i salti mortali. Però, abitando con mia madre, le spese sono dimezzate».

Quando si era separata, Ornella aveva potuto contare sull’assegno di mantenimento, lauto e puntuale per qualche mese; poi il suo ex marito aveva combinato un grosso guaio in sala operatoria e, radiato dall’albo, era sparito dalla circolazione.

«Allenatrice sentimentale, hai detto?» Antonia non aveva mai sentito un’espressione simile, né pensava che una cosa del genere potesse essere un mestiere. «Sarebbe... far conoscere i single?»

«Per carità! Incontri fra uomini e donne a caccia disperata di un partner? No, no. Io faccio un po’ quel che fanno in America i love life manager, i match maker, i dating coach, chiamali come vuoi».

«Non so chi siano».

«Diciamo che insegno a dare il meglio di sé a chiunque mi si rivolga quando incontra una persona e spera sia quella giusta. Noi siamo abituati a andare dal commercialista, dal dietologo, dal massaggiatore, dal podologo: persone che ci possono aiutare in vari campi. Perché non rivolgerci a un esperto anche per l’amore che è forse l’aspetto più difficile della vita?»

Antonia ascoltava dubbiosa. Ornella sapeva riconoscere quell’espressione. Non era la prima volta che la gente si mostrava scettica nei confronti della sua professione, che perciò non decollava; il che la costringeva ad arrotondare accettando altri incarichi, spesso meno soddisfacenti. Ma il festival letterario non le dispiaceva affatto, sembrava una bella sfida. Con – il che non guastava – un discreto budget. O forse appena il giusto.

«In cosa ti sei laureata per fare questo lavoro?»

«Niente, purtroppo non l’ho finita, l’università, perché mi sono sposata e lui era geloso. È un mio rammarico. Ma dopo il diploma ho fatto un corso di comunicazione, e poi lunghi anni di terapia durante il mio matrimonio».

«Sembravi felice con tuo marito».

«Ho fatto anche teatro da ragazza. So recitare, in pubblico».