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Chi è Francesco?

La mattinata era stata intensa per Belinda. Dopo cinquantasei quattordicenni di evidente discendenza unna, scalmanati e affamati, accompagnati da quattro già malconce professoresse, aveva avuto la visita di Marietta, che solo di rado capitava là, di Ornella e finalmente dell’idraulico che aspettava dal giorno precedente. Il lavandino si era otturato e un intero flacone di gel Sturosprint più che il solletico non gli aveva fatto.

Nell’ordine.

Gli studenti si erano fermati in latteria per la colazione prima di visitare il museo e lei a fatica aveva cercato di farli entrare a gruppi, ché non ci stavano tutti insieme, non con i tavolini in mezzo. Mille volte aveva detto a... come si chiamava...? al ragazzo di Viaggi Propizi che si occupava delle scolaresche di avvertirla con almeno uno o due giorni di anticipo, ma quello niente: da un orecchio gli entrava e dall’altro gli usciva. L’avvertiva sempre la sera prima, e anche a tarda ora. Meno male che, i turisti, era la socia a seguirli, se no nel castello il sindaco ci poteva mettere le galline a razzolare! Stavolta si sarebbe fatta sentire. Due interi pullman! Cosa gli costava avvertirla di modo che potesse creare lo spazio necessario? Be’, non chissà che spazio, a dire il vero. Era in questi casi che faceva un pensierino su ciò che zia Letizia continuava a suggerirle: cedere il suo monolocale alla latteria e farne un’altra sala. Non che avesse tutti i torti, la ziaccia, però la sua casetta, il suo nido, il suo scrigno, il suo...

«Ciao, Belinda».

«Ciao, Marietta».

La sorella di Mariolina era un’ospite infrequente. Stamattina aveva delle cose da chiederle a proposito di certe fibre ottenute dalla soia con cui ultimamente alcune aziende fabbricavano gli abiti.

«L’avevo letto su una rivista e poi me lo sono fatto guardare in internet da Mariolina. Sai che io non ci vado d’accordo con il computer».

A Marietta sarebbe piaciuto inserirli tra gli articoli di Fili Fatati Dal 1888, che era di nuovo in una fase di stallo e... maledetto il momento in cui aveva rilevato il 50% di quel negozio! Forse, diversificando l’offerta, avrebbe allettato le clienti. Cosa ne pensava l’esperta?

«Mah!»

In merito alla diversificazione dei prodotti, Belinda rispose che, sì, era d’accordo; infatti anche lei stava valutando d’inserire nella sua gamma qualche latte alternativo, pur non capendoci molto perché sinceramente le piaceva quello di mucca. Si era laureata in Scienza della Produzione e Trasformazione del latte, vaccino, e ne conosceva vita, morte e miracoli: aveva pure fatto un anno di tirocinio presso il laboratorio di ricerca della facoltà. Purtroppo, di queste fibre di soia per uso tessile, non ne sapeva nulla. Però promise che, nel caso, sicuramente sarebbe passata da Fili Fatati a comprarsi una camicia vegetale.

Dieci minuti dopo l’uscita di Marietta, era arrivata Ornella, di ritorno da un incontro con l’ingegner Rondinella che le aveva affidato un nuovo incarico: la correzione delle bozze della Voce del Castelluccio, il giornalino comunale al quale teneva molto e che aveva personalmente, fortemente voluto. L’errore madornale sui manifesti del concorso per la biblioteca era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Dopo un vergognoso susseguirsi di refusi, che avevano ingenerato lamentele e figuracce, si era reso improcrastinabile un controllo capillare, scrupoloso, che il primo cittadino si pregiava di assegnare personalmente a lei, per le ottime referenze e capacità di cui era stato informato dall’assessore alla Cultura.

«Ecco perché hanno aumentato l’addizionale comunale un’altra volta: per pagarti!» aveva esclamato Belinda.

«Peccato che il Comune liquidi gli emolumenti anche con un anno di ritardo».

Ornella era venuta a chiederle se conosceva il biancomangiare, la pietanza tipica delle tavole nobiliari medievali a base di pollo o pesce, mandorle, amido di riso, zucchero, spezie. Visto che no, le disse di documentarsi e fare qualche prova, perché voleva inserirlo nelle cene del festival e proporre all’assessore di commissionarlo a Fatti Mandare dalla Mamma. Poi le aveva dato un paio di libri di Rubino da leggere, Parola mia e La condanna dell’hot dog. Lo scrittore era bravo e Vince Vasino un bel personaggio. La sola cosa a non convincerla, anzi a sembrarle una stronzata, era che, dopo ogni caso sempre brillantemente risolto, ’sto commissario rimanesse immobile a guardare il furetto albino, anzi Albino (di nome e di fatto), finché l’animale non si produceva nel caratteristico gesto: un colpo di coda a destra e due a sinistra. Che avvenisse dietro la finestra di un ospizio battuta dalla pioggia, in un gabinetto della NYSE o vicino a un pilastro del ponte di Brooklyn, solo dopo ciò l’autore chiudeva il romanzo con un commovente messaggio di speranza. La speranza di un bene ancora possibile.

«E qui, tanto di cappello, tocca corde profonde, la prosa diventa quasi poesia» aveva concluso Ornella.

Ok, Belinda promise che lo avrebbe letto e lo avrebbe passato anche a sua madre. Ma al momento era stressata per via degli studenti, indispettita con il ragazzo dell’agenzia e in ansia perché l’idraulico ancora non arrivava.

Adesso, dopo un fugace pasto e prima di un pomeriggio di pulizie per cancellare le tracce degli unni in latteria, se ne stava in santa pace sdraiata sul letto a rilassarsi un po’, e pensava a come diversificare (formula magica del commercio!) l’offerta, sì, magari con i latti vegetali. Avena, mandorle, riso, soia. E poi? Con la mandorla poteva farci le granite, tra un po’ arrivava l’estate, ma gli altri? Le servivano delle ricettine... e... doveva informarsi sul corso di Latte Art dove insegnavano a fare i disegni sul cappuccino, le sarebbe piaciuto frequ... e poi... quasi quasi ora schiacciava un pisoli...

Il suono del citofono interruppe i suoi pensieri. Uffa! Chi poteva essere alle due e mezzo? Svogliatamente si alzò per rispondere e – quale sorpresa! – sentì la voce del maresciallo Saltalamacchia che le chiedeva del ritorno di suo padre. Lo invitò a salire.

«È ancora in viaggio. Ieri si trovavano nel villaggio di Bran, al castello di Dracula» gli spiegò, facendolo entrare.

«Ah».

«Che poi è solo una leggenda. L’ha reso famoso uno scrittore, non mi ricordo chi, mamma te lo saprebbe dire. Perché non scrivi anche tu un libro su un vampiro nostrano, ambientato nel Castelluccio?»

Il maresciallo non sembrava interessato né al turismo né alla letteratura.

«Quando tornano?» chiese, l’urgenza nella voce.

«Lunedì. Stanno via quindici giorni» rispose Belinda che, concentratasi sul viso di Bartolo, iniziava a preoccuparsi. «È successo qualcosa?»

«No» la tranquillizzò il carabiniere. «Però, appena torna Cesare, dagli questo. Be’, appena dopo che vi sarete riabbracciati. E per favore fammi chiamare subito dopo... dopo» si raccomandò prima di salutarla.

Belinda chiuse la porta alle sue spalle e, incuriosita, sfogliò da cima a fondo il giornale che le aveva messo tra le mani. Era certa di trovarvi una recensione su Le lancette dell’amicizia di cui lui non aveva avuto il coraggio di vantarsi. Ma si sbagliava. Del romanzo non si parlava affatto e, come aveva previsto sua madre, non era tra i best seller.

Allora chissà.

Contrariata per non aver potuto riposare, Belinda scese in negozio e vide subito il ragazzo dell’agenzia che stava parcheggiando lo scooter. Con tutto lo spazio, avevano piazzato le strisce proprio all’angolo della latteria. Eccolo, era venuto a ritirare i voucher: in queste cose sapeva, sì, essere preciso.

«Ehi, tu!» lo apostrofò in malo modo. «Ti ho detto mille volte di chiamarmi uno o due giorni prima».

«E come ti chiami?»

«Belinda! Non lo sai più, come mi chiamo?»

«Piacere, Francesco».

«Francesco, piacere un corno!» sbottò Belinda, mentre apriva la porta di Fatti Mandare dalla Mamma. «Non sono in vena di scherzare. Entra, prenditi i voucher e sappi che, se non migliorate il servizio, disdico la convenzione. Ora mi sono davvero stufata. Lo dirò anche alla tua socia!»

«...»

«Capito?»

«Sì, vuoi che ti chiami uno o due giorni prima».

«Braaavo».

«E quindi per stasera sono in ritardo».

«Stasera? Ah, no, stasera no».

Belinda non era ancora riuscita a sistemare il casino della mattina: una montagna di tazze, con relativi piattini e cucchiaini, i granelli di zucchero sparsi sul bancone, le bustine mezze piene sventrate, i tovaglioli appallottolati, rivoli di latte, residui di brioche ferocemente azzannate, biscotti sbriciolati e altro ancora chiedevano giustizia. Gli unni avevano fatto una seconda scorreria dopo la visita al museo. In aggiunta, c’era tutto lo sporco lasciato dall’idraulico, presentatosi con un ritardo scandaloso.

«Allora domani sera» propose Francesco. «Così è un giorno e mezzo prima».

«Già...» sospirò Belinda: non poteva certo rifiutare i clienti.

«A che ora?» domandò il ragazzo.

«E lo chiedi a me? Devi dirmelo tu».

Era scemo?

«Facciamo alle otto?»

«Senti, Francesco, cosa vuol dire facciamo alle otto? C’è un orario, sì o no?»

«Sì, che c’è. Alle otto. In punto».

«...E va bene» confermò Belinda, piazzandogli i voucher in mano. Alle otto si poteva, il laboratorio di scrittura creativa finiva alle sette. Avrebbe avuto un’oretta per preparare.

«Qui?»

Aveva sentito bene: qui? Deficiente: ci era o ci faceva?

«Certo, qui» rispose velenosa, trapassandolo da parte a parte.

«A domani, allora. Puntuale» si raccomandò Francesco, mentre usciva dalla latteria.

«Ma vaffa...»

Giornata no! Con questo ragazzo, non voleva averci più niente a che fare. L’aveva già detto un sacco di volte. Era un emerito scemo. Ah, ma adesso chiamava la sua socia e gliele cantava tutte. Non si poteva lavorare così! Domani sera, aveva detto... e quanti studenti? Cosa prendevano a quell’ora? Mica latte e brioche! Alle... otto?! A fare cosa, alle otto, con il museo chiuso? O meglio, quando c’era l’apertura serale, i signori del Municipio potevano pure disturbarsi ad avvertire! Adesso la sentivano, anche in Comune.

Con rabbia afferrò il cellulare e, fatto il numero di Viaggi Propizi, aggredì la ragazza che le aveva risposto. E che cadde dalle nuvole.

«Domani sera? Il museo aperto? Una scolaresca? Non mi risulta. Sei sicura, Belinda?»

«Certo! È appena stato qui il tuo socio!»

«Come, appena stato lì? Ma se è rimasto in ufficio tutt’oggi!»

«Come, in ufficio? Ma se è appena uscito dalla latteria!»

«Chi?»

«...Francesco».

«Francesco?»

«Sì».

«E chi è Francesco?»