«Pur deplorando i fili che s’ingarbugliano o, come in questo caso, si spezzano, bisogna accettare il fatto che il tessuto della vita sia complicato. Non sempre si lascia accomodare».
Sembrava che avesse ingoiato un intero libro stampato l’occhialuta assistente sociale dal viso di civetta e dalla voce monotona: il colloquio, ottenuto in pochi giorni grazie all’intercessione del giudice amico di Bartolo, sarebbe rimasto memorabile per Cesare e Claudia.
Un gesto del genere era nobile e generoso – continuò la donna, le pupille dilatate dalle lenti da vista – a prescindere dai motivi che era lungi da lei voler conoscere, anche se questo era un caso particolarmente delicato: un orfano di due genitori, entrambi assassinati dalla malavita in maniera truculenta! Volendo, si sarebbero potuti orientare su altri ragazzini; se glielo avessero chiesto, lei avrebbe potuto fornire un’indicazione, un consiglio: del tutto spassionato, stessero certi, ché per lei, gli adottandi, l’uno valeva l’altro. Ma ormai i signori avevano fatto la loro scelta, le era sembrato che si fossero proprio intestarditi su quel particolare soggetto. Certo, l’importante era salvarli, quei poveri ragazzi a totale carico dello Stato che più di tanto non poteva fare; e se ogni ragazzo che trovava una famiglia era solo una goccia nel mare, non bisognava dimenticare che il mare è fatto di gocce. L’importante era che i due adottanti fossero stati giudicati dal Tribunale per i minori idonei a mantenere, educare e istruire l’adottando; l’importante era che fossero sposati almeno da tre anni, che rispetto al minore avessero una differenza d’età tra i diciotto e i quarantacinque anni.
«E quanto sopra risulta dall’incartamento. Perfetto».
L’importante era che il signore e la signora sapessero che l’adottato acquisiva a tutti gli effetti lo status di figlio legittimo, assumeva il loro cognome e poteva trasmetterlo a sua volta; l’importante era che sapessero che così spezzava ogni legame con la famiglia d’origine, sebbene qualcuno avrebbe potuto obiettare che buon sangue non mente, ma questo esulava dal discorso, glielo stava dicendo per eccesso di zelo. Tuttavia, raggiunti i venticinque anni d’età, l’adottato avrebbe avuto la facoltà di conoscere i dati relativi alla sua origine e le generalità dei genitori biologici, secondo quanto stabilito dalla legge di modifica della disciplina sull’adozione e l’affidamento numero blablabla.
Cesare la interruppe: «Grazie della spiegazione, ma nel nostro caso non serve. Il ragazzo che abbiamo scelto conosce già la famiglia di origine. E noi conosciamo già queste leggi».
«Mio marito è avvocato» completò Claudia.
«Bene» riprese l’assistente sociale, oscillando gli occhi dall’uno all’altra e viceversa, prima di continuare imperterrita.
Il loro era un gesto veramente generoso. Un tredicenne, un adolescente, chi lo avrebbe mai voluto? Tutti cercavano bambini piccoli. A ben guardare, anche loro avrebbero potuto... non uno appena nato, ma uno medio sì. Non s’illudessero, i bambini non erano creta da modellare, non erano tabula rasa, alcuni avevano ferite che non si sanavano mai e ricordi vividi ai quali restavano attaccati con tenacia. Però, mentre uno piccolo era più plasmabile caratterialmente, un adolescente di sicuro no. Che non credessero, arrivati a casa iniziavano le sorprese. Quanti ne aveva visti tornare indietro, senza speranza. Parlandosi chiaro, così come stavano le cose, questo ragazzo bollato che speranze aveva? Di arrivare alla maggiore età chiuso dentro un istituto e poi ritrovarsi fuori, solo e alla mercé del mondo. E se il mondo che lo aspettava era quello dei genitori – il padre un malavitoso e la madre una poco di buono – il suo destino era bell’e segnato. Invece, ecco per lui una gran fortuna in arrivo. Bene. Ma... piuttosto loro: erano convinti di quel che facevano il sign... l’avvocato e la signora? Del motivo per cui lo facevano? E, non per entrare nel merito, perché lo facevano?
Fu la voce tagliente di Claudia a rispondere: la madre del ragazzo era loro amica, non era mai divenuta l’amante di nessun altro pregiudicato, come sosteneva la signorina, cui – anche se non le competeva – sicuramente sarebbe risultato utile sapere che aveva fatto un matrimonio d’amore, ma sfortunato, dopo un’infanzia infelice e che l’assassino era un maniaco che la perseguitava. Ingiustamente – sottolineò ingiustamente – i giornali avevano dipinto Irene come una peccaminosa Betsabea tentatrice.
«Perciò, anche in virtù della funzione che svolge, la invito a esprimersi diversamente e rispettare la memoria della madre di questo ragazzo bollato che ha un nome, come può evincere dal fascicolo che tiene in mano».
Non stava a loro ricordarle qual era il suo ruolo, aveva aggiunto Cesare dominando a fatica l’indignazione.
Uscita dal polveroso ufficio dei Servizi Sociali, Claudia volle prendere una camomilla, anche se non le avrebbe calmato il nervoso messole addosso da quella donna. Si sentiva offesa per Irene. Cesare le fece compagnia con un caffè. Erano pensierosi, non parlavano. Una volta in macchina, Claudia chiese al marito di portarla a casa di Letizia, che l’allergia da polline aveva messo kappaò, poi avrebbe preso la corriera e sarebbe salita in latteria. Lui, pur allungando di un bel pezzo la strada per lo studio, ve la condusse. Sarebbe tornato a prenderla in serata.
«Zia, ma ti trovo benone! Perché mi hai raccontato che...?»
Dal tono di Claudia, traspariva quanto fosse seccata.
«Perché avevo bisogno di parlarti di tua figlia. Con lei davanti non riusciamo mai. Però prima raccontami di stamattina».
«È stato un colloquio memorabile, l’assistente sociale... non so... remava contro».
«Contro di voi?»
«Contro il ragazzo, mi è sembrato. Ce lo... come dire...? sconsigliava. Con dei modi che non ti sto a ripetere».
«E quindi?»
«Il giudice è dalla nostra, secondo quanto Bartolo ha detto a Cesare, e infatti ha immediatamente emesso il decreto di adottabilità, ma poi... la burocrazia è lunga. Si può trattare di anni».
«Speriamo bene, e speriamo al più presto possibile. Povero ragazzo!»
«Adesso aspettiamo di incontrarlo. Sì, speriamo bene e presto».
«L’omicida?»
«Si deve fare il processo; secondo Cesare, prenderà una ventina d’anni, forse meno».
«Poi ci saranno gli sconti...»
«Mah! Confidiamo in una giustizia che sia giusta. Di Belinda, invece, cos’hai da dirmi? Anch’io volevo parlarti...»
Claudia aveva già intenzione di farsi chiarire lo strano sms che la zia le aveva inviato in Romania, ma, poiché la figlia le era sembrata in forma, l’aveva attribuito a un litigio tra le due. Per non fomentare la cosa, aveva accantonato l’idea del chiarimento. Visto che la zia l’aveva chiamata con l’inganno, ora iniziava a preoccuparsi.
«Inganno! Che parolone!» esclamò Letizia e fece uno starnuto, poi spiegò ciò che Belinda le aveva raccontato, ciò che lei aveva visto, ma principalmente i suoi sospetti. «Credo che abbia allontanato un corteggiatore, anche se lo spaccia per un ladro di voucher. Non so bene cosa sia successo, ma quel che ho visto io è che una sera hanno litigato nella piazza del Municipio e dopo lui se n’è andato lasciandola lì con i sacchi dell’immondizia».
«E lei?»
«Ha avuto una crisi isterica che non finiva più! Lui l’ha chiamata zitella acida. Sono parole memorabili».
«La mia piccolina... Però, certe volte, acidula lo è davvero. Sai chi è il ragazzo?»
«No, ho già chiesto a Dora e non lo conosce. Ho telefonato alla signora Elvira e ho fatto un giro del mondo di parole per non farle capire cosa volessi sapere, se no Ornella andava a riferirlo a Belinda, ma anche lei niente. Non saprei da chi altro informarmi. Di lui conosciamo solo il nome, ma secondo me non è uno di passaggio».
«Si chiama?»
«Francesco».
«Come zio Franchino».
«Solo per questo mi è già simpatico».