Se Letizia avesse saputo che in quel momento Francesco era appena uscito dal Municipio e stava attraversando la piazza, non si sarebbe preoccupata.
O forse sì, di più.
Belinda era entrata nel negozio dal retro, scendendo la scaletta di pietra che portava al cortiletto interno, e aveva appena aperto la porta principale. Aveva poi spostato i ripiani della vetrina perché voleva sistemare gli ultimi articoli che le erano arrivati per Pasqua e non lo avrebbe visto, dato che era di spalle. La voce di Dora che urlò «Da quanto tempo!» la fece voltare, sì, ma ancora non realizzò che fosse lui. Fu quando la giornalaia, dopo essere rimasta un po’ a chiacchierare sul marciapiede, lo prese sottobraccio e, ormai a un passo dall’entrata, gli disse «Vieni a bere qualcosa, ti faccio conoscere una cara amica» che non ebbe più scampo. Sentì la rabbia montarle dentro e contò fino a tre per non mandarla a quel tal paese. Uno, non voleva dargli da bere; due, l’aveva già conosciuto; tre, non era una cara amica. Belinda non sapeva cosa fare. Anzi, lo sapeva: avrebbe voluto sprofondare. O essersi messa un po’ di mascara e di rossetto, ma non per l’impostore, solo per non apparire sempre come una Cenerentola davanti al focolare.
Il bello di Dora, quando non pensava all’irromanticismo del marito, era la giovialità. Che non aveva alcuna pietà delle sue vittime.
«Belinda, ti presento Chicco, direttamente dalle cucine di Buckingham Palace».
«...»
«Chicco, ti presento Belinda, nostra nuova concittadina e titolare della latteria più pop che esista».
«...»
E se la giovialità la rendeva gaia, il silenzio la innervosiva: «Cos’è, fate il gioco del silenzio?» domandò con tatto elefantiaco.
I due «piacere» suonarono falsi, ma lei non se ne accorse. O finse. E, dopo aver chiesto se erano arrivati i nuovi tipi di latte, ne ordinò tre bicchieri alla mandorla.
«Aspettate qualcuno?» chiese Belinda.
«No, il terzo è per te. Unisciti a noi».
«Grazie, non posso. Devo finire la vetrina».
«Dai, non farti pregare. Sono otto anni che Chicco manca dal borgo e si è perso un sacco di novità. Aggiorniamolo su cosa si dice in piazza».
«Ti ho detto che non posso» ribatté Belinda, caricandosi le braccia di uova, campane e gallinelle di cioccolato bianco. «Devo-finire-la-vetrina» aggiunse a denti stretti.
Se doveva essere tacciata di acidità tanto valeva che lo fosse sul serio. Tuttavia, meglio farsi chiamare zitella acida che con il ridicolo nomignolo di un neonato.
Chicco.
Puah!
Solo la febbre a trentanove poteva sbattere Marietta a letto e solo l’influenza costringerla a non uscire di casa. Era da tre giorni che non stava bene, ma in tutta sincerità se la stava godendo perché finalmente aveva potuto ingozzarsi di tivù, che una volta era il suo passatempo preferito, dato che, quando lavorava in casa all’uncinetto, lo faceva senza guardare. L’uncinetto, cioè. La televisione sì, eccome. Ma il lavoro al negozio, nel quale si era buttata anima e corpo da un paio d’anni, e la gestione del bed & breakfast le avevano fatto radicalmente cambiare le abitudini, anche se in lei restava latente una punta di malinconia per i tempi andati.
Tuttavia, nonostante gli svariati impegni attuali, una cosa aveva lasciato inalterata nella sua vita: dedicare un’ora ogni giorno, dalle due alle tre del pomeriggio, al suo programma preferito, intitolato Incontro in giardino, una specie di agenzia matrimoniale dove in ogni puntata due persone ritenute compatibili avevano la possibilità di conoscersi e magari intrecciare una relazione amorosa. La conduttrice era un volto noto di un’emittente locale e, pur essendo reduce da una separazione, non aveva perso dolcezza e serenità, e le infondeva agli ospiti. Lo studio, dall’aspetto arioso e fiabesco, rappresentava un giardino dove la presunta coppia veniva accompagnata da un albero deambulante che, se l’incontro andava a buon fine, si riempiva di fiori che l’uomo, al termine della puntata, coglieva e regalava alla donna. Ma prima i due ospiti venivano presentati tra di loro e al pubblico, cui raccontavano a grandi linee le loro vite e aspettative; poi, per conoscersi meglio, erano invitati ad appartarsi sotto un gazebo dove, tra una televendita e l’altra, sarebbero stati inquadrati mentre chiacchieravano e sorseggiavano qualcosa. La trasmissione, che andava in onda da oltre dieci anni, vantava un assortimento di quasi mille coppie, oltre a qualche single di ritorno subito risistemato: i reduci da unioni nate lì e naufragate avevano priorità sui nuovi partecipanti. A ogni puntata, la presentatrice si vantava di combattere una battaglia contro le pericolose conoscenze in cui si può incappare tramite internet (i suoi ospiti presentavano referenze controllate) e perciò si era beccata parecchie diffide dai siti di incontri virtuali e dai social network, ma lei andava avanti imperterrita. L’affetto del pubblico le dava ragione.
Marietta sosteneva a gran voce di stare bene come stava, alla sua età non si sarebbe mai messa con un uomo, o portata un uomo in casa, e innamorarsi era roba da adolescenti. In più, e qui sapeva di essere cattiva: «Guardati» diceva alla sorella, «sei infelice e depressa. E tutto per cosa? Una fede al dito? Figuriamoci!» Perciò non poteva confessare che aveva spedito la domanda per partecipare a Incontro in giardino, che aveva fatto una raccomandata con ricevuta di ritorno per essere sicura che arrivasse e che una volta si era pure spinta a telefonare per chiedere quando pensassero di convocarla. Una gentilissima centralinista, dopo averla lasciata in linea per controllare scrupolosamente, le aveva garantito che era in lista, ma la pregava di pazientare ancora un pochino, dato che ricevevano un centinaio di lettere al giorno, persino da zone lontane, perché la tivù si vedeva anche in un modo (striming?) che Marietta non aveva capito e la signorina le aveva spiegato in due parole: «col computer». Tuttavia non mancava molto e, ne era sicura, un amore meraviglioso l’aspettava già. Per portarsi avanti, Marietta si era comprata un abito consono all’occasione, non troppo elegante e non troppo sportivo, non troppo sfacciato e non troppo semplice, non troppo colorato e non troppo scuro. Che, però, stava passando di moda. Non che volesse sposarsi, per carità, solo... le sarebbe piaciuto un compagno con cui parlare un po’, uscire qualche volta a cena (dispostissima a pagarsi la sua parte), pur rimanendo a vivere ognuno a casa propria. Un amico del cuore, via.
In realtà, Marietta pensava a qualcuno, ma quasi non osava confessarlo neppure a se stessa. Nient’altro che un pensiero, certo, però ricorrente. Che si era insinuato in lei pian piano: quando riponeva con mestizia lo spazzolino da denti vicino a quello ormai inutilizzato di Mariolina, quando l’assenza della sorella le aveva tristemente dilatato le serate, quando il borgo si era rianimato e sul pavé a coda di pavone si erano viste le coppie passeggiare. E, naturalmente, quando si era accorta che lui le sorrideva inamovibile oltre i vetri della cucina.
Anche se il sorriso schietto era lo stesso che aveva da piccolo, a vederlo oggi nessuno gli avrebbe trovato nulla in comune con il bambino grassoccio che giocava assieme a lei all’oratorio. Be’, non da soli, anche con Mariolina e le loro amichette, certo. Era l’unico maschio che non esclamasse in continuazione: «Che schifo, le femmine!» L’unico che non facesse quell’orribile gioco dell’alzare la gonna e poi scappare. Anzi, era contento di stare in mezzo a loro, sempre buono, dolce, serio, educato, disponibile: le aiutava perfino a vestire le Barbie. Un vero amico. Quante volte lo aveva difeso dagli stupidi che lo prendevano in giro per via del nome e cognome! Cosa c’era da ridere, poi? Marietta ricordava di possedere una vecchia foto, scattata sul sagrato della chiesa in occasione della visita di un cardinale o chi per esso; aveva scavato in tutta la casa fino a trovarla. Adesso la teneva sul comodino e la guardava con tenerezza e attenzione. La stessa tenerezza con cui lui le aveva sorriso dal primo manifesto affisso di fronte alla finestra della cucina e la stessa attenzione che le aveva riservato quando, nei giorni precedenti il ballottaggio, dal secondo manifesto, l’aveva fissata negli occhi incatenandola con una frase inequivocabile: Felice sa come renderti felice.
Il suo messaggio vincente.
Marietta, come moltissimi altri, l’aveva ovviamente votato e lui aveva reso, sì, felice il borgo e di conseguenza lei, ma come tutto il resto della popolazione, niente di più personale. E quando dopo le elezioni era sceso in piazza per stringere la mano a tutti i cittadini e lei era andata a salutarlo, lui aveva continuato a sorridere senza accennare ad alcun ricordo. Certo, era passato troppo tempo, una quarantina di anni da quando Felice era venuto in vacanza dai nonni l’ultima volta, prima che morissero. Cosa aveva fatto dopo? La biografia sul retro dei volantini elettorali diceva che era diventato ingegnere, aveva girato i cantieri di mezzo mondo e poi, spinto dal richiamo delle radici, era tornato al borgo, l’amato paese dei suoi progenitori.
Stando a ciò che si vedeva, vi era tornato senza una moglie al fianco. Ci fosse stata, sarebbe la first lady di Borgo Propizio; anche se avesse avuto una donna fuori paese, prima o poi sarebbe capitata al borgo. E la giornalaia, sempre attenta alle novità, dal suo incomparabile punto di osservazione, avrebbe sparso subito la voce. Un bell’uomo, asciutto, alto, elegante, fine, i capelli ancora neri... solo. Che spreco! Però magari la voce di Dora non era giunta fino a lei, impegnatissima come si ritrovava con il doppio lavoro, negozio e b&b. Quasi quasi oggi che stava meglio, anzi benino, andava dal parrucchiere e domattina passava a fare un paio di domande a Dora.
Tanto per sentire cosa si diceva in piazza.