Marietta credeva ai modi di dire e alle loro eventuali variazioni. Sceglieva quello adatto a una determinata circostanza e se lo ripeteva nella mente come un mantra, un portafortuna immateriale. Poiché sposa bagnata, sposa fortunata non si confaceva all’incontro con Felice di quella sera, l’aveva corretto in amicizia bagnata, amicizia fortunata. Ma no, suonava limitativo. Ci pensò su e ne provò alcuni che scartò fino a trovare quello giusto: appuntamento bagnato, appuntamento fortunato. Da cosa sarebbe nata cosa, non aveva dubbi. Si sentiva piena di energia, e in grado di affrontare slanci e passioni; aveva voglia di buttarsi definitivamente dietro le spalle ciò che non aveva realizzato e di guardare alle cose che poteva ancora fare nella vita. In fondo, aveva solo quarantasette anni. C’erano donne che alla sua età partorivano un altro figlio, alcune addirittura il primo. Donne di spettacolo, ma anche donne comuni come lei, lo diceva la tivù. No, non che i suoi piani arrivassero fin lì, per carità, era solo un dato di fatto, una notizia. Lei non ci pensava di certo.
Pensava invece che, accidenti!, proprio adesso doveva iniziare a piovere?
Aveva tirato giù la saracinesca mezz’ora prima del solito stasera, sperando che la socia non venisse a saperlo, altrimenti avrebbe innescato una polemica infinita. D’altronde, era stato un pomeriggio moscio, aveva venduto sì e no quattro gomitoli di cotone e due di lana. Ah, e un colletto di pizzo, una vecchia rimanenza, si era meravigliata che glielo chiedessero. Come si diceva, mai dire mai. Forse, se una certa cliente fosse tornata l’indomani a ritirarle, aveva venduto anche una coppia di tende con il bordino in macramè, ma non poteva esserne sicura perché gliele aveva fatte, sì, mettere da parte, ma non aveva lasciato l’anticipo, dicendo di essere rimasta senza soldi. Comunque, si trattava di quelle piccole, per finestrella, da poco prezzo. Insomma, anche oggi un incasso misero, ridicolo. Non si poteva continuare così, bisognava dare un nuovo impulso al negozio, una spinta vigorosa che – crisi permettendo – lo facesse ritornare agli antichi splendori, o almeno a livelli accettabili. Purtroppo la sua socia non intendeva cambiare nulla e aveva bocciato l’idea degli abiti in fibra di soia, nonché qualsiasi altra trovata richiedente nuovi investimenti (ancora le rinfacciava la spesa per la nuova insegna e il cambio di grafica delle buste intestate). Non che Marietta disponesse di capitali da investire, anzi. Tuttavia si rendeva conto che i commercianti non potevano rimanere con le mani in mano ad aspettare il fallimento. Perciò, intanto mentalmente, si stava sempre più orientando verso un negozio alternativo, tutto suo e in pieno borgo, davanti al passaggio di centinaia di turisti. Ma la domanda (di cui temeva la risposta) era: avrebbe ricevuto indietro il capitale versato quando aveva acquisito il 50% di Fili Fatati Dal 1888? Ovvero, l’avrebbe ricevuto agevolmente senza dover intentare una causa legale, bega in cui non aveva alcuna voglia d’impelagarsi?
A ogni buon conto, ora, ritornando a casa con il pedale dell’acceleratore pigiato forte e incurante del limite di velocità, era concentrata su altri pensieri: l’umidità le avrebbe afflosciato i capelli facendola sembrare uno spaventapasseri; non poteva di certo mettere gli stivalacci scorticati con il vestito nuovo, ma l’acqua le avrebbe macchiato le scarpe chiare, e già le stava sporcando la Mini lavata appena l’altro ieri; senza impermeabile non sarebbe potuta uscire ma, riaccidenti!, il suo era vecchio e sformato, e a saperlo se ne comprava uno nuovo. Era arrabbiata con il clima. Indocile, l’avevano definito alla tivù. Marietta avrebbe detto pazzo furioso.
In realtà si chiedeva se non fosse pazza lei a buttarsi in quest’avventura (sarebbe stata solo un’avventuretta per lui?): era impaurita e preoccupata, si trattava del suo primo, vero appuntamento galante; qualche rarissimo incontro passato – poco più di un passaggio in macchina accettato da un compaesano – non si poteva certo definire tale. Sperò che Felice non fosse irruente e non si dichiarasse subito. E, per carità, che non facesse proposte da sporcaccione. Non che lo credesse capace, purtroppo, con quel che si sentiva in giro, era facile lasciarsi condizionare.
Un tuono squarciò il cielo che appariva gonfio, tumefatto, antracite; al mattino aveva steso le lenzuola, ma non se ne curò più di tanto. Adesso non aveva tempo per ritirarle. Poco male, domani le avrebbe infilate un’altra volta in lavatrice, fregandosene della bolletta della luce per una volta. Crepino l’avarizia e tutti i farisei, si disse.
Vero, la pioggia era dovuta al fatto che finalmente usciva con un uomo e un acquazzone primaverile a inizio maggio ci stava, ma qui era in agguato molto di peggio. Il tempo di entrare in casa e, dalla greve coperta di nuvole basse e sfilacciate, si scatenò la fine del mondo: vento, pioggia, grandine, tuoni, fulmini e saette. Meglio, pensò Marietta per consolarsi, le pettegole non sarebbero state alle finestre.
Ma si sbagliava.
Una ventina di minuti circa, giusto il tempo di spazzare via tutto ciò che non fosse ancorato al suolo, svellere qualche albero, allagare le strade e – si sarebbe saputo in seguito – scoperchiare un tetto, e la furia celeste si placò. Con tanto di arcobaleno. Altro che primavera capricciosa come aveva previsto il meteo, questa era completamente schizofrenica.
Alle otto in punto, Marietta attendeva nell’ingresso di casa. Aveva deciso che sarebbe uscita solo nel momento in cui avesse sentito Felice arrivare e intanto continuava a rimirarsi nervosamente nello specchio molato della vecchia consolle, trovando difetti al trucco, alla pettinatura, al collo (entrambi: suo e del vestito), togliendosi e rimettendosi la collana di giada della mamma, controllando il colore dei collant, che le sembrava un abbronzato troppo scuro, e grattandosi la pianta del piede sinistro che aveva scelto proprio quel momento per pruderle. Attraverso il corridoio, gli occhi le si posarono sul cucù che c’era nel tinello e l’ansia le contrasse lo stomaco.
Lui era in ritardo.
Non aveva bisogno di guardare l’orologio, Felice, per sapere che aveva fatto tardi. Essendo puntuale di natura, la cosa lo seccava alquanto. Ancora di più perché si trattava di Marietta. La considerava davvero una cara amica di cui aveva conservato l’amabile ricordo e di cui adesso aveva bisogno per il piano iniziatosi a delineare dentro la sua mente nel preciso istante in cui lei gli aveva mostrato la mano sinistra senza vera nuziale, pronunciando le due parole chiave: «Sono single».
Il ritardo era causato da una lunga, estenuante discussione telefonica che Felice aveva dovuto sostenere (sopportare? subire?) con il suo compagno il quale ultimamente, spesso e volentieri, cadeva vittima di un’inaudita e inopportuna gelosia. Che stava diventando il cancro della loro relazione, erodendola giorno dopo giorno. Emanuele continuava a ripetere di non sentirsi più sicuro dell’amore di Felice da quando era diventato sindaco di Borgo Propizio; paradossalmente, lo sentiva più lontano di quando il lavoro lo portava in località impensate all’altro capo del globo, tra un cantiere e l’altro, e si vedevano poco. Ma era un poco intenso che gli lasciava una bella sensazione anche nei mesi a venire, alimentati da telefonate puntuali, piacevoli, gratificanti. Che adesso, con la scusa della vicinanza, non si verificavano più. Era un poco in cui Felice apparteneva solo a lui: mai si sarebbe sognato di pensare cose assurde come uscire con una donna per zittire le voci messe in giro da un avversario politico.
«Lele, tu vedi ombre dappertutto, vuoi vederle» aveva ribattuto Felice, mentre fissava la sveglia sul comodino, accigliato. «Marietta è una cara amica d’infanzia, frequentavamo l’oratorio insieme, ho ancora una vecchia fotografia di noi bambini con un alto prelato...»
Non l’avesse mai detto! Emanuele lo aveva interrotto come una furia. Addirittura conservava una foto della cara amichetta! E gli spiegasse: cosa aveva provato all’epoca e cosa ancora provava per quella bambina da averne gelosamente conservato l’effigie per oltre quarant’anni? A nulla era valsa la spiegazione di Felice che non aveva conservato un bel nulla: erano i nonni ad avere incorniciato la foto esponendola insieme con le altre di famiglia sul buffet della sala da pranzo perché vi era ritratto il cardinale o chi per esso, e a loro – persone semplici e credenti – sembrava che così sua santità fosse veramente presente in casa, ovvero che li benedicesse in continuazione. Lui non aveva avuto il coraggio di toglierla da mezzo, come tutte le altre, d’altronde, gli sarebbe sembrato di fare uno sgarbo alle loro anime nell’aldilà. Niente, Lele non aveva voluto sentire ragioni. E aveva menzionato ancora una volta il maresciallo: come mai lo aveva tanto a cuore, al punto di raccomandarglielo, se la pratica di adozione neanche lo riguardava personalmente? Forse perché era attraente: ce li aveva anche lui, gli occhi, cosa credeva? Per cortesia, non tirasse fuori di nuovo la storia che per il borgo era un eroe, che aveva liberato il paese dalla leggenda del fantasma a cui la gente credeva sul serio, tanto da vederne l’ombra nelle notti di luna piena. E, una buona volta, gli dicesse quando sarebbero potuti uscire alla luce del sole e vivere come una coppia normale.
«Anche domani, te l’ho ripetuto mille volte, se sei pronto a lasciare tutto e venirtene con me a Buenos Aires. Lì ci potremmo sposare e io avrei già un cantiere che mi aspetta».
No, il suo compagno non era pronto; Felice sapeva che mai lo sarebbe stato perché amava troppo il proprio lavoro, che considerava una vera e propria missione. E meno male, dato che neanche lui si voleva più spostare da Borgo Propizio. Per nulla al mondo avrebbe lasciato il suo gioiellino, la sua creatura, la sua vera ragione di vita: il museo medievale che con tanto amore aveva finalmente realizzato. Ma non poteva dirlo a Lele, si sarebbe ingelosito persino delle anfore simil-bizantine che lui stesso gli aveva regalato. Cafonissime!
Si guardò allo specchio. Senza peccare d’immodestia, gli sembrava di avere una discreta presenza; in mattinata era andato dal barbiere, una spuntatina ai capelli e guance lisce come quelle di un neonato e come sapeva che le donne preferivano. Aveva indossato un completo in fresco lana fantasia principe di Galles, ma poi durante il diluvio gli era sembrato leggero e si era cambiato optando per il doppiopetto blu sui pantaloni grigi, una cravatta regimental in contrasto; le stringate Oxford sarebbero state il giusto completamento, di classe. Marietta, con il negozio prestigioso che gestiva, aveva sicuramente l’occhio fine per i dettagli.
Non si era preparato alcun discorso da farle, e non aveva intenzione d’ingannarla né di usarla. Sarebbe stato schietto, le avrebbe parlato a cuore aperto in nome dell’antica e della nuova amicizia. Con un po’ di fortuna, se non era una bigotta (sperò ardentemente che non lo fosse), avrebbe accettato di aiutarlo. E presto, prima che la situazione diventasse cataclismica.
Con gli occhi della mente rivide quella mano disadorna; ne riattraversò le unghie quadrate, corte, le dita diritte, solide. Chissà come mai era single, pensò, salendo in macchina quando la bufera fu inaspettatamente cessata. Eppure era una donna piacente. Magari un po’ massiccia nel fisico, forse i tratti del viso troppo pronunciati.
Ma sì, tutto sommato, piacente.