«Una bella intervista» si stava complimentando Conforti. «La mandiamo in onda a fine giugno, e poi qualche replica di qua e di là, così sveliamo al grande pubblico chi è l’astro che illuminerà il nostro festival. Ci saranno personalità influenti, grazie a lui verrà addirittura il chiarissimo direttore del Glorioso Istituto di Storica Rinascita, me l’ha comunicato il sindaco, che nella storia ha le mani bene in pasta... Sa che l’hanno invitato ai tigì ultimamente? Rubino, non Rondinella, beninteso. Il nostro sindaco non è così celebre. I tigì con l’inserto culturale... Perfino tre nella stessa settimana!»
«A volte sembra che abbia il dono dell’ubiquità, lo vedi da una parte, cambi canale e lo vedi ancora da un’altra. Prima o poi gli daranno un Sanremo da presentare».
Ornella notò che l’espressione del professore si era indurita, anche se il tono era rimasto pacato nel chiederle: «Non ho capito una cosa, a lei Rubino piace sì o no?»
Decise di essere sincera e, se l’avesse tacciata d’ignoranza, o peggio di presunzione, amen.
«Ni» rispose. «Secondo me, lo montano troppo. Ne hanno fatto un personaggio da circo, dico circo e non circolo, culturale. Ci sono scrittori migliori che vengono considerati poco o niente. Quella di Rubino è una scrittura furba, a tratti delicata... da sembrare addirittura femminile, a tratti cinica, di quegli uomini che non sanno amare, che non sanno perdonare, perdonarsi. Usa degli escamotage per mantenere alta l’attenzione, ed è bravo, ci riesce, e chiude sempre con una grande, immancabile pagina finale intrisa di commozione. Però è subdolo, gioca sul torbido dei sentimenti; nei suoi personaggi instilla il peggio dell’animo umano, creando in qualche modo un effetto... come si dice, catartico?... cosicché alla gente, leggendo, sembra di espiare i propri peccati. Ma non voglio fare della psicologia spicciola e non credo di fare testo, non leggo moltissimo e comunque il giallo, il noir, non sono il mio genere».
«Cos’è che le piace?»
«I libri che portano il buonumore, se possibile. Non quelli che tengono legato il lettore con il filo dell’alta tensione stretto al collo, ma quelli che li inchiodano scatenandone i sorrisi».
Conforti la guardò compiaciuto, mentre lei continuava incoraggiata.
«Amo i libri di quegli autori che fanno riconciliare con la vita. Ad esempio, Chiara, Guareschi, Campanile, forse sono una lettrice démodé, ma mi piace molto la letteratura che ha come scenario i paesini. Se sapessi farlo, scriverei la storia romanzata di Borgo Propizio, passata e presente, con il fantasma, la latteria e il resto, noi tutti, cioè».
«Non sarebbe una cattiva idea. Beato lo scrittore che ha una provincia da raccontare, diceva François Mauriac».
Ornella mostrò la sua faccia più intelligente, annuendo e sbattendo lentamente le palpebre in segno di assenso, e atteggiando le labbra a un compiaciuto sorriso, per nascondere che in realtà non aveva mai sentito nominare il personaggio appena menzionato dall’assessore.
Il quale, l’aria da cospiratore, aggiunse: «Se lei non è capace, può sempre trovare qualcuno che lo scriva a nome suo».
«Un ghost writer?»
«Ai miei tempi si diceva negro. Con tutto il rispetto. Sa che qualcuno pensa che Rubino non scriva lui?»
«Davvero? Non è possibile!» esclamò Ornella. Poi ci ripensò: «Ovvero, tutto è possibile... E chi scriverebbe...?»
«Questo non lo so, e non è detto sia vero. Ciò che so è che una mia amica...»
Anche lei insegnante in pensione, l’ex collega di Conforti aveva trovato delle incongruenze nella trama di un romanzo e aveva inoltrato le sue perplessità all’unico indirizzo reperibile, quello dell’agente di Rubino, precisando il contesto storico e chiedendo delucidazioni. Ma, a differenza della risposta che si sarebbe aspettata, le era arrivata una tanto succinta quanto sussiegosa e-mail, nella quale la professoressa, che veniva definita sedicente laureata in Questo e Quello, era invitata a non fare la maestrina.
«E poi?»
«E poi basta, la mia amica si è ritirata in buon ordine, con i suoi dubbi e le sue immutate convinzioni».
«Lei ci crede, assessore?»
Il professore, in settant’anni, ne aveva viste tante e tante che nulla lo meravigliava più. Sì, poteva essere, perché no?
Ornella ricordò certe parole di Rubino, il tono falso con cui le aveva pronunciate.
Devo tutto ai miei affezionati lettori e alle incantevoli lettrici. Il mio successo è il loro successo.
«Lei sa che è sposato con una donna molto influente?»
«No. So, però, che le è molto grato».
Senza Diletta non sarei ciò che sono, come giallista e come uomo.
«E questo potrebbe essere il motivo. Prima stava dietro lo sportello di una banca, vuoi mettere fare lo scrittore? La ringrazierei anch’io. Però, su, non macchiamoci la coscienza dicendo malignità. Lo spacciano come autore di grosso spessore e noi lo prendiamo per buono. Forse la mia amica si è confusa e quel romanzo era perfetto. Dopo una certa età, anche le ottime insegnanti, le lettrici forti come Ebe Annovazzi, iniziano ad avere le loro défaillance».
Ornella rivide mentalmente Rubino quando l’aveva salutata all’Hotel Magna Grecia; le era parso che l’espressione, affascinante come sempre, avesse qualcosa di diverso che lì per lì non era riuscita a definire. Ora sì, ecco: un guizzo di beffeggiamento. Più che nel sorriso, dentro gli occhi, lentine o non lentine.
Stai pensando alla prossima creatura?
Già fatto. Mia moglie partorirà in autunno.
Bastava saper ascoltare oltre le parole.
Per un attimo rivide anche Antonia (chissà che fine aveva fatto, era sparita), il suo viso quel pomeriggio all’EdilBorgo quando aveva difeso a spada tratta lo scrittore che amava e la faceva soffrire, come aveva detto con lo sguardo invasato, smontando ogni obiezione di Ornella, la quale non era stata capace di controbattere. Forse lei avrebbe saputo rispondere alla professoressa; di certo non Muro, non era il tipo, quello, troppo pratico, troppo venale.
Quando e se l’avesse risentita, le avrebbe consigliato di offrirsi a Rocco Rubino, come pierre e come assistente. Magari le passava l’e-mail diretta, lo scrittore gliel’aveva data.
Ornella ricordò all’assessore che, a parte l’autore di Vince Vasino, avevano aderito altri tre scrittori, Saltalamacchia, Rosa Rosae e Tiziano Pincardini, al che Conforti propose di organizzare una giuria popolare (dieci, dodici persone al massimo, se no veniva a costare troppo in libri; anzi, di farseli mandare gratis dagli autori stessi) che votasse il romanzo più bello. In questo modo avrebbero dato un ulteriore riconoscimento a Rubino, ovvio vincitore. Una targa, un trofeo, un qualcosa di lusinghiero. Da quel che gli era sembrato, sotto una superficie di modestia, se la tirava mica poco.
«Invece il poeta Duchesca, di cui le avevo già accennato, non ci sarà».
«Ah, il poeta della lattaia non ci onorerà? E come mai?»
Il tono di Conforti era sarcastico: si era legato al dito qualcosa che Letizia aveva detto, Ornella lo sapeva.
«Be’... perché non ho modo di contattarlo e... perché non è un poeta vero e proprio».
«Non mi dica! Quell’ignorantella voleva insegnare a me chi sono i poeti... A me! Be’, e che cosa sarebbe questo Duchesca, invece?»
«Un paroliere. Scrive... canzoni...»
«Chissà per chi, vero? Conosciamo tutti, al borgo, la malattia delle due lattaie...»
«Sì, scrive anche per Gianni Morandi».
«Basta così, Ornella. Morandi non ci sarà. Devo ripeterlo? Non ci sarà. Perché noi non lo inviteremo. E per favore non me lo nomini più. Io qui voglio gente di cultura, il nostro sarà un festival culturale. Di grosso spessore. L’ho già detto e ora lo ripeto per l’ultima volta» disse alterato il professore, e ripeté sillabando: «Non-ci-sa-rà».
«Non lo direbbe anche a Letizia?» sussurrò Ornella in un alito che non udì nemmeno lei.
«Io? Scherziamo? Parlare con quell’esaltata? Glielo dica lei! Se no il Comune cosa la paga a fare?»
Stronzo! pensò Ornella abbozzando di malavoglia, vedrai quando gli daranno la laurea come cambierai idea e andrai fino a Monghidoro a cantargli Non son degno di te.
E, a dirla tutta, non le piaceva nemmeno che, spesso e volentieri, Conforti parlasse male del sindaco; lei lo stimava, come l’intera comunità, per tutto quello che aveva fatto a favore del borgo.
«A tutt’oggi non ho ricevuto un soldo» ribatté piccata ché, pure a lei, guai a toccarle il Gran Musicante. «La ringrazio per avermelo ricordato. Oltre alla prima tranche già scaduta, ci sono ben due note spese in sospeso. Vado subito a incassarle».
E dopo queste parole, sforzandosi di farlo nella maniera più educata possibile, salutò l’assessore. Poi si diresse a piano terra, verso la Ragioneria.