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Nel frattempo

Ormai il tempo era giunto al confine con l’equinozio d’autunno. Il borgo, pavesato a festa in costume medievale, era pronto per l’indomani: taglio del nastro alla nuova biblioteca intitolata ad Aldighiero e via alle danze del grandioso Festival sotto Stelle Propizie, che aveva calamitato prenotazioni da ogni dove. Tanto che, riempitisi interamente sia l’Hotel Rimembranze, sia il bed & breakfast Le Due Sorelle, parecchi propiziesi si erano improvvisati affittacamere.

Ma cos’era accaduto nel frattempo?

Ad esempio che Francesco aveva fatto un errore inammissibile. Imperdonabile.

Dopo la festicciola in latteria non aveva telefonato a Belinda, come promesso, né dal mercoledì al sabato, né la domenica quando sarebbero dovuti uscire insieme. E chiaramente lei non aveva voluto sentire ragioni. Non aveva voluto sentire, cioè, che all’improvviso era piombata in albergo una comitiva da vattelappesca dove: un’esperienza terribile che si poteva paragonare alla calata dei barbari; non aveva voluto sentire che quei barbari, con la loro numerosa figliolanza, sarebbero dovuti ripartire la domenica mattina, e lui stava appunto per chiamarla, ma poi avevano rimandato di un ulteriore giorno – se n’erano infatti appena andati – per un casino combinato dall’agenzia Viaggi Propizi, con cui di sicuro Francesco avrebbe annullato la convenzione, non appena avesse ritrovato la serenità. Semmai la ritrovava. Avevano addirittura divelto un lampadario e otturato i lavandini, persino un gabinetto. Cose pazzesche, da non crederci... E non ci credesse, Belinda, cosa ci poteva fare lui? Venisse a vedere: disastri che solo la metà bastava già a denunciarli e l’assicurazione... Ma cosa glielo diceva a fare? Lei se ne stava lì come una statua di ghiaccio, voltata di spalle, muta. Gli stava facendo perdere solo tempo.

«Io faccio perdere tempo?!» era allora esplosa Belinda, voltandosi e trasformandosi in un geyser. «Sei tu che hai fatto perdere tempo a me fin dal primo giorno, quando ti sei spacciato per il tipo dell’agenzia...»

«Io non mi sono spacciato proprio per nessuno... Che brava sei a rigirare la frittata, potresti fare la chef!»

«Invece voglio fare la lattaia!»

«Sì, fai quel che ti pare!»

E così via.

Se n’erano dette di cotte e di crude, mentre i biscottini si carbonizzavano nel forno. E mentre Letizia li guardava angustiata da sotto il casco di Jacques Coiffeur pour Femmes lì di fronte, dove si era rifugiata per una provvidenziale messimpiega non appena aveva visto Francesco approdare nella piazza del Municipio. E mentre Dora scuoteva il capo desolata, pensando che era una storia nata male che sarebbe morta peggio: meglio finirla subito e non fare come lei che se la trascinava appresso da anni e non era riuscita nemmeno nel franchising delle unghie, rivelatasi un’altra fregatura. Fortuna che aveva Princess, sua consolazione.

Certo, se il sindaco aspettava che al centro storico i bambini riprendessero a nascere grazie a Francesco e Belinda, stava fresco.

Però... però...

Stranamente, quando nei giorni di Ferragosto, per il secondo anno consecutivo, a fondovalle era arrivato il luna park (piazzatosi nell’Area Fiera che tanta gola faceva ai costruttori), qualcuno avrebbe giurato che una sera i due ragazzi camminassero tra le giostre mano nella mano. Forse mangiando dello zucchero filato, uno in due.

In Comune era arrivata una busta. Dall’ufficio Protocollo l’avevano immediatamente portata al primo piano, intonsa. Vi era scritto:

Alla personale attenzione

dell’esimio Signor Sindaco

Ingegner Felice Rondinella

Municipio di Borgo Propizio

Piazza della Resurrezione, 1

Il sindaco aveva sorriso soddisfatto e pregato la segretaria di aprire la lettera e leggerla ad alta voce davanti ai consiglieri comunali, prontamente convocati.

La missiva proveniva dal Comune di Monghidoro ed era a firma personale dell’omologo di Felice che gli porgeva i ringraziamenti propri e del suo stimato concittadino, il quale avrebbe accettato volentieri siffatto onore. Purtroppo, dolente, lo stesso comunicava che, stante i pregressi, impellenti e prolungati impegni anche all’estero era, al momento, costretto a declinare. Tuttavia, essendosi ampiamente documentato sull’incantevole borgo e avendo appreso dell’esistenza di una squadra di calcio locale composta da giovani leve, in qualità di presidente onorario del Bologna, si pregiava d’invitarne i calciatori a trascorrere un’intera giornata a Casteldebole con i giocatori della prima squadra che sarebbero stati lieti di dedicare il loro tempo ai ragazzi, rispondendo alle domande tecniche, suggerendo trucchi del mestiere e molto altro, oltre a pranzare insieme.

Detto fatto.

L’agenzia Viaggi Propizi aveva immediatamente organizzato un pullman granturismo, dove Letizia aveva scelto di non salire dichiarandosi troppo impegnata con i preparativi per il festival. In realtà perché, triste e delusa, sapeva che anche stavolta non avrebbe abbracciato il suo beniamino. C’erano andate, invece, le autorità preposte – ergo Felice, Ruggero, Mariolina (ormai segretaria dell’A.C. Propiziese) e l’allenatore – ad accompagnare i ragazzi, più qualche imboscato (leggasi fratello minore), che avevano trascorso a Bologna la giornata più bella della loro vita, capendo che diventare un campione significa...

Be’, ognuno aveva capito ciò che gli faceva più comodo.

Ornella aveva perso quattro chili, che su un fisico già snello come il suo erano tantissimi e destavano preoccupazione. Perciò era iniziata a circolare la voce che fosse anoressica, presto giunta alle orecchie della signora Elvira con conseguenze inevitabili: vitamine, ricostituenti, superalimentazione, prediche, sgridate e raccomandazioni.

Lei era solo stressata, in verità stressatissima; l’organizzazione del festival si era rivelata un ginepraio da cui non vedeva l’ora di uscire. Tutti erano impazziti, ipereccitati, intrattabili; nulla andava per il verso giusto e i problemi si rincorrevano come puledri e s’ingrossavano come cavalloni. L’assessore, smarrito l’inossidabile aplomb, non perdeva occasione per addossarle ogni responsabilità.

Tanto per dirne una, la più sciocca: due menestrelli avevano dato forfait all’ultimo momento e tutti gli altri studenti si erano alfine rifiutati d’imparare i cantici a memoria, per cui Ornella aveva dovuto farli stampare frettolosamente su pergamene (con i soliti errori di stampa tipici dei redattori della Voce del Castelluccio: non avendo avuto tempo di controllare, si era fidata e aveva fatto male), i cui costi poco ci mancava che dovesse sostenerli di tasca propria. Averlo saputo, che andavano così le cose, se ne sarebbe stata quieta quieta alla sua scrivania a preparare anche lei il concorso di bibliotecario. Che non doveva essere stato poi difficile: entrambe le figlie di Bartolo l’avevano superato entrando in graduatoria. Anzi, una delle due era arrivata addirittura prima e, tempo pochi giorni, avrebbe iniziato a lavorare. Fortunata lei, un lavoro definitivo e calmo, riparato e protetto, svolto all’aria condizionata (o al calduccio) e nel silenzio. Altro che correre avanti e indietro come una matta, risolvere problemi a destra e a manca, scavalcare muri (di fatto e di nome), competere con chi la voleva cotta e chi la voleva cruda.

Come i tre guanciali di piuma d’oca, pretesi dall’agente letterario di Rocco Rubino, altrimenti lo scrittore non avrebbe riposato bene, e varie cosette forse un po’ troppo da primadonna, di cui l’hotel non disponeva e che Virginia non aveva intenzione di procurarsi. Storcendo il naso, l’assessore aveva firmato l’autorizzazione all’acquisto e l’aveva porta a Ornella guardandola in cagnesco.

Ma lei che cosa c’entrava?

Incredibilmente, anche Chicco si era messo a fare le bizze, dimentico di quante volte lo aveva salvato in extremis dalle insufficienze in matematica. Il biancomangiare, dopo averne cucinate due o tre ricette diverse, lo aveva trovato immangiabile e voleva lasciarla in brache di tela. Con una pazienza troppo santa pure per lei, era andata a pregarlo di trovare una soluzione, ma quello pensava ad altro.

Povera Ornella, che mal di testa le aveva fatto venire! No, no che non sapeva se Belinda si comportava così perché aveva un altro ragazzo. Cioè no, non lo aveva, o almeno a lei non risultava. E no, purtroppo non aveva più accennato a quanto accaduto tra loro. Certo, erano amiche, ma se una cosa è rimossa... No, non sapeva se intendeva metterci una pietra sopra, sopra a lui; di certo lei – Ornella – gliel’avrebbe tirata volentieri in testa, quella pietra, per fracassargli il cranio e vedere la segatura che ci stava dentro. Ma come aveva potuto non telefonarle dopo tanto corteggiamento? Spiacente, non credeva che sarebbe mai venuta a vedere il lampadario divelto, inutile che lo conservasse come cimelio. Ah, per l’assicurazione, non per Belinda. Certo, si era comportato male, doveva convenirne, non c’era una persona, una, che non la pensasse così al borgo. E no, non sapeva come poteva farsi perdonare e non sapeva nemmeno quali fiori lei preferisse.

Però... però...

Se le avesse risolto il problema del biancomangiare si sarebbe informata e – parola d’onore! – avrebbe parlato alla sua amica che, no, non era affatto spinosa peggio dei carciofi che lui aveva cucinato ieri. Le avrebbe parlato, sì, e con un po’ di fortuna e la complicità di Letizia, l’avrebbe convinta a... dargli un’opportunità. O almeno ascoltarlo. Non si fidava della sua vecchia prof?

Sì, Francesco aveva risposto che si fidava, e aveva aggiunto che, anziché quell’antico pasticciaccio di pollo o pesce o lardo o piombo o chissà che, avrebbero potuto offrire al pubblico il biancomangiare siciliano, un dolce delicato, morbido e fresco. Delizioso. Aveva promesso di provarne subito un paio di varianti facendo scegliere la migliore a lei, all’assessore e a... Belinda. Sì, perché la sua idea era che per il festival sarebbe andato a prepararlo in latteria, il dolce, portando lui l’occorrente, attrezzatura compresa. Anzi, non solo per il festival, anche per la prova, che era preferibile fare al più presto, ad esempio dopodomani: il ristorante era di riposo e lui libero. Vero, mancavano ancora due mesi, ma se l’idea non fosse stata buona avrebbero dovuto trovare un’alternativa. Per questo era meglio portarsi avanti.

E perché aveva una voglia matta di rivedere Belinda.