Belinda aprì gli occhi.
Era intrecciata a Francesco e non aveva mai dormito così bene in una posizione così scomoda. I riccioli le si erano inanellati intorno alle dita di lui. Si sentiva morbida e leggera, fluttuante, aveva voglia di sorridere e non smettere più.
Anche Francesco aprì gli occhi.
Gli sembrava di avere mangiato un barattolo di miele. Che straordinaria sorpresa tutta quella dolcezza sotto tanti aculei. Baciò Belinda sulla bocca e la strinse forte. Nuda e vellutata, non aveva nulla che potesse pungerlo.
Quasi... nulla.
Infatti gli piantò un’unghia nella guancia, si divincolò, si alzò, infilò una vestaglietta e andò ad armeggiare nell’angolo cottura.
Francesco atteggiò il viso a un’espressione sbigottita.
«Non mi vuoi già più?»
«È tardissimo, guarda l’ora».
«Tardissimo?!»
La mucchetta e il vitellino pezzato indicavano le sette e venti, tutto sommato tardi non era, ma si trattava di una giornata particolare. Il fermento aveva fin dall’alba impregnato l’aria: alle dieci ci sarebbe stata l’inaugurazione della biblioteca e poi, a seguire, tutti gli altri eventi della manifestazione più attesa dell’anno.
Belinda confermò.
«Va bene, mi alzo» si arrese lui. «Come funziona questo divano?» chiese, cercando il meccanismo di chiusura.
«Lascia, faccio io dopo».
«Faccio io. Che uomo sono, se no? Se però mi dici dov’è...»
«Ah, sei per la divisione dei ruoli tra maschi e femmine».
«Yes, absolutely. E, quindi, niente colazione in questa casa, donna?»
«Guarda che hai frainteso, io sono una donna moderna, non una servetta d’antan».
«Sei una donna, e tanto basta».
«Troglodita!» esclamò Belinda e prese un piattino di ceramica facendo il gesto di tirarglielo addosso.
Ma poi lo rimise giù e accese il caffè, mentre il fornello su cui aveva posto il bricco con il latte non voleva saperne di funzionare. Francesco la guardava canzonatorio, sorridendo. I suoi denti perfetti.
«Smettila di guardarmi. M’imbarazza che uno chef mi guardi mentre cucino».
«Cucino, che parolone per una caffettiera».
«Mentre... sono ai fornelli».
«Quando ti guardavo mentre ti spogliavo non ti sei imbarazzata».
A Belinda i globi oculari schizzarono fuori delle orbite.
«Non parlarmi così, altrimenti non faccio più sesso con te».
Altro era l’intimità, altro era parlarne.
«Sesso? Pensavo avessimo fatto l’amore» disse lui, che le si era avvicinato.
Belinda gli nascose il viso nel collo. Le sembrava prematuro mettere in mezzo i sentimenti, meglio lasciarli dov’erano, per ora. Restò muta e sperò che lui le leggesse nel pensiero.
Non accadde.
Francesco accese il fornello sotto il latte che partì al primo colpo e spense la caffettiera che intanto aveva borbottato. Prese le mani di lei e se le passò sul torace, poi ne baciò i polpastrelli, ne guardò le unghie.
Azzurre.
«Vanno di moda in Italia?» chiese, e da come atteggiò il viso era chiaro che non gli piacessero.
Belinda annuì.
«In Inghilterra no?»
«Che ne so? Mica guardavo le unghie delle ragazze in Inghilterra».
«Le gambe?» Belinda versò il caffè nelle tazzine.
«Cosa?» Francesco ne bevve un sorso.
«Le gambe delle ragazze inglesi».
«Se erano azzurre?»
«Se le guardavi».
«Quando ne valeva la pena...»
Belinda si pizzicò le labbra da un lato, con i denti.
«Ne è valsa la pena molte volte?»
«Ehi, bada che io, in Inghilterra, ci sono stato a lavorare. Ti farò parlare con mia madre».
Lei non capì se fosse una promessa o una minaccia. E zuccherò il latte che fumava.
Francesco le disse che sarebbe andato a casa a fare la doccia perché non riusciva a indossare roba sporca dopo essersi lavato. E che non ce la faceva ad accompagnarla all’inaugurazione della biblioteca, era tardissimo e doveva passare al ristorante. Sarebbe tornato in tempo utile per avviare il pranzo, portando il necessario per la zuppa, e la carne già cotta. Le spezie erano lì e anche l’ippocrasso.
«Si occuperà tua madre del ristorante questi tre giorni che sarai qui?»
«Per carità! Mia madre si occupa dell’albergo e io della cucina, ognuno resta tassativamente nel suo ambito. Questo è stato l’accordo perché tornassi da Londra. Se non lo mantiene riparto subito, lo sa».
Belinda trattenne il respiro e lo speriamo bene le rimase dentro le narici.
«Ho un sous-chef».
«Un vice?»
«Sì, è lo chef in seconda. Mi serviva comunque, adesso è in prova da qualche settimana, ma il commercialista sta facendo la pratica di assunzione. Mi ci trovo, è veloce, intelligente. Eravamo a scuola insieme».
«Hai fatto bene a prendere uno di fiducia. Come si chiama?»
«Andre...»
«André? È francese?»
«Andre...ina».
«Come... Andreina? È una ragazza... e... e ci sei a stretto contatto tutti i giorni e... non me l’avevi detto... Qualche settimana? Quante settimane?»
«Tre... mi sembra, non ricordo. Be’? Mica uno lo puoi prendere a scatola chiusa, anche se era il primo della classe. Tutti i contratti prevedono un periodo di prova. Dov’è il problema, la sto già assumendo».
«Il problema è che non mi avevi detto che è una ragazza! E che lavora con te da tre settimane».
«Andreina? Scherzi? Ma quale ragazza? Andreina è... è un ufo! Un giorno te la porto e la vedi e mi dai ragione». Francesco si stropicciò gli occhi, poi la penetrò con l’intensità di uno sguardo dolente. «Belinda, così no. Io non posso non essere me stesso, specialmente con te. Non posso, e non mi piace, che devo stare attento a quello che dico e non dico perché tu usi le parole contro di me, contro di noi. Non ha senso. O ti fidi...»
Belinda forse non avrebbe voluto lanciare un siluro, ma le uscì.
«Oppure?» e il tono era molto di sfida.
«Fidati» e il tono era supplichevole. «Per favore».
Non c’era motivo di non dargli fiducia, pensò lei, le sue scottature erano storia vecchia, superata. Disse: «Sì» salvo tenere le armi ben affilate.
E, d’incanto, non fu più tardissimo.
Lasciata la casa di Belinda, Francesco accese il cellulare. Dodici chiamate perse: l’ultima di Andreina, tutte le altre di sua madre. Aveva cominciato la sera prima. Non le aveva detto che non rincasava, ma non lo sapeva quand’era uscito. Adesso gli avrebbe fatto il terzo grado, che palle! Sperò che fosse già andata in albergo così evitava anche di sentirla rimbrottare che lui non le rispondeva mai, al telefono e alle sue domande, che se non l’avvertiva si preoccupava, che per un pelo non aveva telefonato agli ospedali e alla polizia e ai carabinieri, che...
Eppure, se non fosse stata la rompiscatole che era, quella mattina le avrebbe raccontato proprio tutto. Aveva una grandissima voglia di parlare di Belinda.
E a Belinda avrebbe avuto voglia di dire che l’amava, nonostante le spine e con tutto il miele.
Ma forse era un po’ presto.