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Per tutto l’indomani Kitty pensò al convento, e la mattina dopo di buon’ora, quando Walter era uscito da poco, presa con sé la amah per procurarsi le portantine, attraversò il fiume. Era appena giorno, e i cinesi che affollavano il traghetto, alcuni nei panni di cotone blu del contadino, altri nelle tuniche nere della rispettabilità, parevano dei morti trasportati alla terra delle ombre, di là dall’acqua. Quando scesero a riva rimasero per un poco sull’imbarcadero, esitanti come non sapendo dove andare, prima di incamminarsi alla spicciolata, a due e a tre, su per la collina.

A quell’ora le vie della città erano vuote, ed essa sembrava più che mai una città di morti. I passanti avevano un’aria così assente che quasi li si poteva credere fantasmi. Il cielo era senza nubi e il sole mattutino spandeva sulla scena una dolcezza celestiale; era difficile immaginare in quella mattina serena, fresca e sorridente che la città stava boccheggiando, come un uomo stretto alla gola da un maniaco, nella scura morsa della pestilenza. Era incredibile che la natura (l’azzurro del cielo era limpido come il cuore di un bimbo) fosse tanto indifferente mentre gli uomini si torcevano negli spasimi e andavano atterriti alla morte. Quando le portantine furono deposte davanti al convento, un mendicante sorse da terra e chiese a Kitty un’elemosina. Era vestito di stracci stinti e informi che parevano presi da un mucchio di rifiuti, e dagli squarci appariva una pelle dura, ruvida e scura come pellame di capra; le gambe erano magrissime e la testa, con una massa grigia di capelli ispidi e arruffati (le guance cave, gli occhi febbrili), era la testa di un pazzo. Kitty si scostò, sgomenta e inorridita, e i portantini gli ordinarono rudemente di andarsene; ma insisteva, e per liberarsene Kitty gli diede rabbrividendo qualche moneta.

La porta si aprì e la amah spiegò che lei desiderava vedere la Madre superiora. Kitty fu condotta di nuovo nel severo parlatorio, dove sembrava che non si fosse mai aperta una finestra, e qui aspettò a lungo, tanto da farle dubitare che il messaggio fosse stato recapitato. Infine la Madre superiora entrò.

«La prego di scusarmi per avere tardato» disse. «Non la aspettavo ed ero occupata».

«Perdoni se la disturbo. Temo di essere venuta in un momento inopportuno».

La Madre superiora le fece un sorriso, austero ma amabile, e la pregò di sedersi. Ma Kitty le vide gli occhi gonfi. Aveva pianto. Si stupì, perché la Madre le aveva dato l’impressione di essere una donna che le pene terrene non potevano grandemente commuovere.

«Temo sia accaduto qualcosa» balbettò. «Vuole che me ne vada? Posso venire un’altra volta».

«No, no. Mi dica cosa posso fare per lei. È solo... è solo che una delle nostre sorelle è morta stanotte». La sua voce perse il suo tono pacato e gli occhi le si riempirono di lacrime. «Faccio male a dolermi, perché so che la sua anima semplice e buona è volata diritta in cielo, era una santa, ma è difficile a volte controllare la propria debolezza. Temo di non essere sempre molto ragionevole».

«Mi dispiace, mi dispiace moltissimo» disse Kitty, e la sua istintiva compassione le diede un singulto nella voce.

«Era una delle sorelle venute con me dalla Francia dieci anni fa. Ora siamo rimaste solo in tre. Ricordo, il nostro piccolo gruppo stava in capo alla nave (voi come dite, la prua?), e quando uscimmo dal porto di Marsiglia e vedemmo la figura dorata di Notre-Dame de la Garde dicemmo una preghiera insieme. Fin dal noviziato era il mio desiderio più grande che mi fosse consentito di andare in Cina, ma quando vidi la terra allontanarsi non potei impedirmi di piangere. Ero la loro Superiora, e alle mie figlie non stavo dando un buon esempio. E allora suor Saint-François Xavier – così si chiamava la sorella morta questa notte – mi prese la mano e mi disse di non accorarmi, perché dovunque fossimo, disse, là c’era la Francia e là c’era Dio».

Il volto bello e severo era alterato dal dolore che le strappava la natura umana, e dallo sforzo di trattenere le lacrime che la ragione e la fede le inibivano. Kitty distolse gli occhi. Le pareva una sconvenienza spiare quella lotta.

«Ho scritto alla famiglia, sono pescatori bretoni. Lei era l’unica figlia, come me, e per loro sarà duro. Oh, quando finirà questa terribile epidemia? Due nostre bambine si sono ammalate stamane, e solo un miracolo può salvarle. Questi cinesi non hanno resistenza. La perdita di suor Saint-François è molto grave. C’è tanto da fare, e ora a lavorare siamo meno che mai. Nelle nostre altre case di Cina abbiamo sorelle desiderose di venire, tutto il nostro Ordine, credo, darebbe qualunque cosa (salvo che non ha nulla) per venire qui; ma è una morte quasi certa, e finché possiamo farcela da noi non voglio che altre siano sacrificate».

«Questo mi incoraggia, ma mère» disse Kitty. «Pensavo di essere venuta in un momento molto infelice. L’altro giorno lei disse che le sorelle non bastavano per tutto il lavoro da fare, e io mi sono chiesta se mi permetterebbe di venire ad aiutarle. Qualunque lavoro mi sta bene, se solo posso essere utile. Sarei grata anche se mi mettesse a pulire i pavimenti».

La Madre superiora fece un sorriso divertito e Kitty si meravigliò della sua mobilità di temperamento, che le consentiva di passare così facilmente da uno stato d’animo all’altro.

«Non c’è bisogno di pulire i pavimenti. A questo provvedono alla meglio le orfane». Tacque e guardò benevolmente Kitty. «Mia cara figliola, non le pare di aver fatto abbastanza venendo qui con suo marito? Molte mogli non avrebbero avuto tanto coraggio, e d’altronde, quale migliore occupazione per lei che dare pace e conforto a suo marito quando torna a casa dopo la giornata di lavoro? Mi creda, lui ha bisogno allora di tutto il suo amore e di tutta la sua premura».

Kitty doveva fare uno sforzo per incontrare quegli occhi che si posavano su di lei con un critico distacco e una benevolenza ironica.

«Non ho assolutamente niente da fare dalla mattina alla sera» disse. «Non sopporto l’idea di starmene in ozio quando c’è tanto bisogno. Non voglio essere noiosa e so di non avere il diritto di abusare della sua gentilezza e del suo tempo, ma parlo seriamente e per me sarebbe una carità se mi lasciasse esserle di qualche aiuto».

«Lei non sembra molto robusta. Quando l’altro ieri ci ha dato il piacere di averla qui l’ho trovata molto pallida. Suor Saint-Joseph ha pensato che fosse incinta».

«No, no» esclamò Kitty arrossendo fino alla punta dei capelli.

La Madre superiora fece una breve risata argentina.

«Non è cosa da vergognarsene, cara figliola, e nella supposizione non c’è niente di improbabile. Da quanto tempo è sposata?».

«Sono pallida perché sono pallida per natura, ma sono molto forte, e le assicuro che il lavoro non mi spaventa».

Ora la Superiora era del tutto padrona di sé, e assunse, esaminandola, l’aria autorevole che le era abituale. Kitty si sentiva straordinariamente nervosa.

«Parla il cinese?».

«Purtroppo no».

«Ah, peccato. Avrei potuto affidarle le ragazze più grandi. È un momento molto difficile e temo che... come dite voi? che ci prendano la mano» concluse con qualche esitazione.

«Non potrei essere d’aiuto alle sorelle in infermeria? Non ho paura del colera. Potrei accudire le ragazze o i soldati».

La Madre superiora, ora non più sorridente e pensierosa in viso, scosse la testa.

«Lei non sa cos’è il colera. È tremendo da vedere. Il lavoro nell’infermeria lo fanno i soldati, e occorre solo una sorella per sorvegliare. E quanto alle ragazze... no, no, sono sicura che suo marito non vorrebbe. È uno spettacolo terribile e pauroso».

«Mi ci abituerei».

«No, è fuori questione. Queste cose sono nostro compito e nostro privilegio, non c’è nessun motivo che vi si dedichi lei».

«Mi fa sentire molto inutile e inetta. Sembra incredibile che non ci sia niente che possa fare».

«Ha parlato con suo marito del suo desiderio?».

«Sì».

La Madre superiora la guardò come se scavasse nei segreti del suo cuore, ma davanti alla sua aria ansiosa e supplichevole sorrise.

«Naturalmente lei è protestante».

«Sì».

«Non importa. Il dottor Watson, il missionario che è morto, era protestante e non c’era differenza. Con noi è stato di una gentilezza estrema. Abbiamo un grosso debito di gratitudine verso di lui».

Sul viso di Kitty passò un barlume di sorriso, ma non disse niente. La Madre sembrò riflettere. Si alzò in piedi.

«È molto bello da parte sua. Credo di poterle trovare qualcosa da fare. Ora che suor Saint-François ci è stata tolta, è vero che per noi è impossibile fare fronte a tutto il lavoro. Quando vorrebbe cominciare?».

«Adesso».

«À la bonne heure. Sono lieta di sentirglielo dire».

«Le prometto che farò del mio meglio. Sono molto grata dell’occasione che mi dà».

La Madre superiora aprì la porta del parlatorio, ma sulla soglia esitò. Ancora una volta diede a Kitty un lungo sguardo scrutatore e sagace. Poi le posò gentilmente una mano sul braccio.

«Lei sa, cara figliola, che non si può trovar pace nel lavoro o nel piacere, nel mondo o in convento, ma solo nella propria anima».

Kitty ebbe un piccolo sussulto, ma la Madre uscì lestamente.