Introduzione

di Mark Watts

Per il lettore occidentale contemporaneo, la filosofia del Tao risulta particolarmente affascinante. Da un lato ammiriamo la saggezza di uno stile di vita tanto assennato da lasciarsi trasportare dalla corrente di un fiume, da spaccare la legna seguendone le venature e da cavalcare il vento issando una vela. Dall’altra parte, ci intriga il pensiero che sia bene esaltare la passività, ricercare la posizione più oscura o quella più bassa, e modellare le nostre strategie in base al principio della flessibilità. Con il suo approccio inclusivo, la visione taoista del mondo riconcilia i misteri che sottendono all’esistenza con le preoccupazioni concrete della vita quotidiana, e trova un’armonia unica tra equilibrio e squilibrio.

Nei vari passaggi del Tao Te Ching, «Il libro della Via», si trovano consigli pratici e allo stesso tempo profondi, naturali ed eleganti, saggi e sofisticati ma mai arroganti. I testi taoisti che siamo arrivati a conoscere nelle diverse traduzioni del Tao Te Ching furono raccolti in Cina durante il periodo dei Regni Combattenti, epoca di grandi sconvolgimenti e pericoli per la gente comune. Per questo, la filosofia contenuta nei leggendari testi di Lao-tzu e di Chuang-tzu sottolinea con grande enfasi il valore della sopravvivenza, e insegna che la via della minore resistenza porta alla sicurezza e alla pace mentale. Insiste sulla saggezza del «volare basso», senza aspirazioni o pretese, che potrebbero causare subbuglio interiore, scontento o persino malessere fisico. È interessante notare che i testi raccolti nel Tao Te Ching fanno spesso riferimento ai saggi, ma essi vengono rappresentati come principi e re, ossia come governanti. Secondo una delle teorie, il libro incarna un tentativo di riprodurre la tradizione orale di un certo tipo di storia popolare, per portare la saggezza di Lao-tzu, il «vecchio bambino», all’attenzione della nobiltà. Si riteneva forse che in questo modo la prospettiva dei governanti si sarebbe trasformata, portando benefici sia allo stato sia alla gente comune.

Queste storie erano spesso ambientate su una montagna remota o in una caverna, dove un saggio eremita accoglieva l’ignaro cercatore, che a volte era Confucio stesso. Tipicamente, nelle storie Confucio chiedeva consiglio al saggio, e gli veniva risposto soltanto di liberarsi della vanità e della presunzione per poter vedere più chiaramente la sua stessa natura, e poi agire di conseguenza. Un’altra tematica ricorrente sviluppata intorno al potere del Tao si può notare nell’armonia tra questi leggendari eremiti e il mondo. In una delle storie preferite di Alan Watts, un anziano che cammina accanto a un fiume impetuoso scivola e finisce in una cascata, per poi riemergere a valle tranquillo e senza alcun danno. Tuttavia, ci sono due temi essenziali che stanno alla base dell’ampia varietà di queste storie edificanti, ripresentandosi più e più volte.

Il primo riguarda l’apprezzamento pratico del vuoto, dello spazio libero, del fondamentale, e di conseguenza dell’utile. Nel libro di Lao-tzu leggiamo che «il profitto deriva da quello che c’è, l’utile da quello che non c’è». Inoltre: «Trenta raggi convergono sul mozzo, ma è il foro centrale a rendere utile la ruota». Tuttavia, il vantaggio strategico di riconoscere il valore dello spazio non è solo pratico, perché la ciotola, che rappresenta lo spazio, è anche una metafora del contenitore della coscienza, e ciò che è vero per una ciotola di ceramica lo è anche per la mente: funziona meglio quando è vuota. Quindi nel primo libro l’idea del Tao viene spesso paragonata a quella del vuoto, sebbene, paradossalmente, il Tao venga anche chiamato «l’Uno» o «la Via».

L’altro tema del Tao Te Ching è la virtù. Per comprendere appieno questa definizione è utile liberarci di ciò che comunemente associamo alle parole virtù e natura e risalire al loro utilizzo primario. In origine questi due termini non possedevano connotazioni morali, né implicavano una divisione tra il virtuoso e il malvagio o tra la natura e l’uomo. Il significato originale faceva riferimento alla virtù come qualità o natura di qualcosa. Il secondo libro del Tao Te Ching sottolinea l’aspetto mutevole del Tao, che deriva direttamente dal primo libro, nel quale si evidenzia il potere essenziale del vuoto. Una volta che la mente è sgombra, e quindi aperta, è possibile scoprire la vera natura della vita. O, in altre parole, se la mente non è piena di nozioni predeterminate, si può imparare qualcosa di nuovo.

Come il buddhismo, l’induismo e le forme primitive di quasi tutte le religioni, il taoismo è quindi essenzialmente una disciplina trasformativa. Tuttavia, disciplina è una parola ingannevole nel contesto della filosofia della natura, poiché praticarla è facile come cadere in un fiume. Durante gli anni ’60 e nei primi anni ’70, Alan Watts intrattenne il pubblico in tutto il Paese con le sue storie di saggi eremiti taoisti. Nelle sue prime opere sullo zen, scritte in Inghilterra prima di compiere ventun anni, faceva notare l’influenza taoista sulla scuola del buddhismo Mahayana in Cina, conosciuto come buddhismo Chán. In Giappone il Chán diventò lo zen, e anche se nella forma giapponese lo zen è stato associato ai samurai, mantiene tuttora un sapore taoista nel suo modo di apprezzare i vantaggi del vuoto. Svariati Koan zen, che prendono la forma di un rompicapo o un indovinello (nonostante koan significhi letteralmente «ordinanza»), riguardano un maestro che, in un modo o nell’altro, fa notare allo studente la sua fissazione su una visione del mondo limitata, e poi gli offre, in maniera arguta, un’occasione di coglierne l’essenza con la mente libera. Negli ultimi anni della sua vita Watts fu sempre più affascinato dal Tao, e nel suo ultimo libro si dedicò a una panoramica esaustiva dell’argomento, come aveva già fatto con lo zen nella sua celebre opera del 1957, La via dello Zen.

I seguenti capitoli derivano dalle lezioni tenute da Watts fra il 1968 e il 1973 durante alcuni seminari nei fine settimana. Questi seminari, dai titoli evocativi come «Filosofia del Tao», «Sulla Via» e «Paesaggio, suoni; nella pittura, nella musica e nella visione mistica», raccoglievano folle entusiaste con interessi molto diversificati. Alcuni ci andavano perché erano studenti di Watts, altri inseguivano l’ultima moda del movimento controculturale, e alcuni erano incuriositi da una filosofia che mostrava la saggezza di issare una vela per seguire il vento anziché remare. In ogni caso, tutti ne uscivano completamente affascinati dal Tao e dalla possibilità che un classico modo orientale di essere in contatto con la vera «natura della natura» fosse in grado di guidare una cultura tecnologica verso la riappacificazione con il resto del pianeta.

Alan Watts morì nel 1973, prima di terminare Il Tao: la via dell’acqua che scorre, ma mentre lavoravo con lui sui primi capitoli, riguardo alla scrittura cinese e al Tao, mio padre mi disse che dopo aver concluso il lavoro preliminare di presentazione degli aspetti principali del Tao, nei capitoli successivi avrebbe voluto godersi i suoi lati più giocosi e artistici. In questo volume, e in quello precedente intitolato Il Tao della filosofia (dalla serie «Love of Wisdom Library») abbiamo voluto portare a termine la presentazione della filosofia del Tao da lui pianificata, presentando il Tao dapprima nei termini della cultura contemporanea e ora nello spirito della sua meravigliosa semplicità e del suo disarmante candore.