Per poter affrontare il taoismo, dobbiamo cominciare con l’entrare nello stato mentale in cui possiamo comprenderlo. Non ci si può costringere ad assumere questo stato mentale, allo stesso modo in cui non si può placare con una mano l’acqua agitata. Ma diciamo che il nostro punto di partenza è dimenticare ciò che sappiamo, o che pensiamo di sapere. Sospendiamo ogni giudizio su ogni cosa, tornando a ciò che eravamo da bambini, prima di imparare i nomi o il linguaggio. In questo modo, anche se abbiamo corpi estremamente sensibili e sensi molto all’erta, non potremo commentare quello che sta succedendo in modo intellettuale o verbale.
In questo stato sentiamo solo quello che è, senza dargli alcun nome. Non sappiamo nulla riguardo a ciò che viene chiamato mondo esterno in rapporto a un mondo interno. Non sappiamo chi siamo, non abbiamo neppure idea delle parole tu o io, ci troviamo in uno stato precedente. Nessuno ci ha mai insegnato l’autocontrollo. Non conosciamo la differenza tra il rumore di un’auto in strada e un pensiero errante che ci viene in mente. Sono entrambe cose che accadono. Non identifichiamo la presenza di un pensiero, che potrebbe essere l’immagine di una nuvola che passa nella nostra testa oppure un’automobile di passaggio; semplicemente queste cose accadono. Il nostro respiro accade. La luce intorno a noi accade. Il fatto che come reazione battiamo le palpebre accade.
Siamo semplicemente incapaci di fare qualsiasi cosa. Non c’è niente che dobbiamo fare. Nessuno ci ha detto di fare nulla. Siamo del tutto incapaci di fare qualcosa a parte essere consapevoli della vibrazione. La vibrazione visiva, la vibrazione uditiva, la vibrazione tangibile, la vibrazione odorabile: ogni tipo di vibrazione. Sta succedendo, osserviamola.
Non chiediamoci chi è che la sta osservando; non abbiamo ancora nessuna informazione su questo. Non sappiamo che per osservare qualcosa è necessario qualcuno che la osservi. Quella è un’idea di qualcuno. Noi non lo sappiamo. Lao-tzu afferma: «Il dotto impara qualcosa ogni giorno, l’uomo del Tao disimpara una cosa al giorno fino a quando ritorna al non-fare». Semplicemente, senza commentare, senza un’idea in testa, siamo consapevoli. Che cos’altro possiamo fare? Non si tenta di essere consapevoli; lo si è. Scoprirete, ovviamente, che è impossibile fermare i commenti nella nostra testa, ma almeno possiamo considerarli come un rumore interiore. Ascoltiamo il chiacchiericcio dei nostri pensieri come ascolteremmo il borbottio di una teiera.
Non sappiamo di che cosa siamo consapevoli, soprattutto quando lo prendiamo come un tutt’uno, e c’è questo senso di qualcosa che accade. Non potrei nemmeno dire «questo», anche se ho detto «qualcosa che accade». Ma questa è un’idea, una forma delle parole. Ovviamente non potrei dire che sta accadendo qualcosa a meno di non poter dire anche che non sta accadendo qualcos’altro. Conosco il moto per contrasto con la quiete, e sebbene sia consapevole del moto sono anche consapevole della quiete. Allora forse ciò che è fermo non sta accadendo e ciò che si muove sta accadendo, ma non userò questo concetto: perché abbia senso, bisogna includere entrambe le cose. Se dico «eccolo», escludo ciò che non è, come lo spazio. Se dico «questo», escludo quello, e sono ridotto al silenzio. Ma voi percepite ciò che dico. Ecco che cos’è il tao, in cinese. È da qui che cominciamo.
Tao significa essenzialmente «via», o «corso»; il corso della natura. Lao-tzu disse che il modo in cui funziona il Tao è tzu-jan, o «di sé stesso»; ossia la spontaneità. Osserviamo ancora che cosa succede. Se lo affrontiamo con questa saggia ignoranza, vedremo che siamo testimoni di qualcosa che accade. In altre parole, con questo modo primitivo di guardare le cose non c’è differenza tra ciò che facciamo e ciò che ci accade. Fa tutto parte dello stesso processo. Proprio come i nostri pensieri accadono, l’automobile in strada accade, e lo stesso vale per le nuvole e le stelle.
Quando un occidentale sente questo discorso, lo considera una sorta di fatalismo o di determinismo, ma ciò accade perché conserva ancora in sé due illusioni. La prima è che quello che accade stia accadendo a lui, e quindi lui sia vittima delle circostanze. Ma con l’ignoranza primitiva, non esiste un noi diverso da quanto sta accadendo, e di conseguenza le cose non accadono a noi. Accadono e basta. E lo stesso vale per «noi», o per ciò che chiamiamo noi, o per ciò che più avanti chiameremo noi. Fa parte di ciò che accade, e noi facciamo parte dell’universo, sebbene in senso stretto l’universo non abbia parti. Quelle che chiamiamo parti sono determinate caratteristiche dell’universo. Ma non possiamo separarle dal resto senza far sì che esse non solo non esistano, ma non siano mai esistite.
Quando riusciamo a percepire noi stessi e l’universo come qualcosa che accade tutto insieme, l’altra illusione in cui potremmo ricadere è che ciò che sta accadendo ora sia necessariamente il seguito di qualcosa che è successo nel passato. Ma nell’ignoranza primitiva non sappiamo nulla di tutto ciò. Causa ed effetto? Ovviamente non esistono, perché se siamo davvero ignari vedremo che il passato deriva da ciò che sta succedendo ora, come la scia di una nave che si allunga nel passato. Infine ogni eco scompare; si allontana sempre più. E tutto comincia ora. Ciò che chiamiamo futuro non è nulla, il grande vuoto, e tutto deriva dal grande vuoto. Se chiudiamo gli occhi e contempliamo la realtà soltanto con le orecchie, scopriremo che esiste un sottofondo di silenzio, e che tutti i suoni derivano da esso. Escono dal silenzio. Se chiudiamo gli occhi e ascoltiamo soltanto, noteremo che il suono esce dal nulla e poi si allontana, e l’eco muore e diventa ricordo, che è un altro tipo di eco. È molto semplice; tutto comincia ora, e quindi è spontaneo. Non è determinato; quella è una nozione filosofica. Non è neppure variabile; quella è un’altra nozione filosofica. Noi distinguiamo ciò che è ordinato da ciò che è casuale. Ma ovviamente non sappiamo davvero che cos’è il caso. Essere «di sé stesso», in latino sui generis, significa essere spontaneamente in base a sé stessi, e, a proposito, questo è anche il vero significato del concepimento verginale. E questo è il mondo, questo è il Tao.
Ma forse ciò ci spaventa. Potremmo chiederci: «Se tutto accade spontaneamente, chi è che comanda? Non comando io, è ovvio, ma spero che ci sia Dio o qualcuno che si occupa di tutto questo». Ma perché ci dovrebbe essere qualcuno che se ne occupa? Poi potrebbe sorgere una nuova preoccupazione cui forse non avete pensato, ossia: «Chi si prende cura della figlia del custode, quando il custode è occupato a prendersi cura d’altro?». Chi sorveglia i sorveglianti? Chi guarda le guardie? Chi controlla Dio? Potreste rispondere: «Dio non ha bisogno di essere controllato». Ah sì? Oh, beh, allora nemmeno il resto ne ha bisogno.
Il Tao è un certo tipo di ordine, e non è quello a cui pensiamo quando sistemiamo le cose nelle scatole in modo geometrico o in fila. È un tipo di ordine molto elementare, ma quando guardiamo una pianta di bambù, è perfettamente ovvio che la pianta segua un ordine. Riconosciamo subito che non vi è una confusione casuale, anche se non è simmetrica né geometrica. La pianta assomiglia a un dipinto cinese. I cinesi apprezzavano così tanto questo tipo di ordine non simmetrico che l’hanno inserito nelle loro pitture. In cinese questo concetto si chiama li, e il carattere che rappresenta li originariamente indicava i segni della giada, ma anche le venature del legno e la fibra dei muscoli. Potremmo dire che anche le nuvole hanno il li, il marmo ha il li, il corpo umano ha il li. Lo riconosciamo tutti, e l’artista lo copia, indipendentemente dal fatto che sia un paesaggista, un ritrattista, un pittore astratto o che abbia scelto la pittura non-oggettiva. Tutti cercano di esprimere l’essenza del li. La cosa interessante è che malgrado sappiamo che cos’è, non c’è modo di definirlo. Poiché il Tao è il corso, potremmo dire che il li è il corso d’acqua, e il cammino del li è anche quello dell’acqua che scorre. Vediamo il fluire di questi corsi rievocato, per così dire, come una scultura nelle venature del legno, ossia nel percorso della linfa, e nel marmo, nelle ossa, nei muscoli. Tutte queste cose sono marcate dai principi fondamentali dello scorrimento. Nel flusso dell’acqua che scorre si possono osservare tutte le varietà dell’arte cinese. Sono immediatamente riconoscibili, e spesso includono la curva a «S» del cerchio di yin e yang. Li evoca quindi l’ordine del flusso, il meraviglioso disegno del liquido che danza, e Lao-tzu paragona il Tao all’acqua:
Il grande Tao scorre ovunque,
verso sinistra e verso destra.
Ama e nutre tutte le cose,
ma non si comporta da padrone nei loro confronti.
Come scrive altrove, l’acqua ricerca sempre il livello più basso, cosa che gli uomini aborrono perché cercano sempre di giocare al rialzo. Ma Lao-tzu spiega che la posizione più alta è quella più incerta. Tutti vogliono arrivare in cima all’albero, ma in questo modo l’albero collassa. Questo è il difetto della democrazia americana. Chiunque potrebbe diventare presidente, ma il risultato è che nessuno che abbia un po’ di sale in zucca lo vorrebbe. Dopotutto, chi mai desidererebbe essere messo alla guida di un autocarro fuori controllo?
Secondo Lao-tzu la posizione di base è quella più potente, e possiamo osservarlo facilmente nel judo o nell’aikido. Nelle arti di autodifesa, bisogna sempre trovarsi al di sotto dell’avversario, in modo che se ci attacca ci cada sopra. Non appena intraprende un’azione aggressiva, o ci mettiamo in una posizione più bassa della sua oppure ci muoviamo in un cerchio più stretto di quello in cui si muove lui. Se conoscete l’aikido, sapete che è basato sul movimento rotatorio. Si ruota costantemente; e sappiamo che ciò che ruota esercita una forza centrifuga, e se qualcuno entra nel nostro campo di forza viene sbalzato via grazie al suo stesso slancio. È molto interessante.
Quindi, la via dell’acqua che scorre è la via del Tao. Per i protestanti anglosassoni e per i cattolici irlandesi questa potrebbe sembrare pigrizia, mancanza di risolutezza, passività. E quando parlo di queste cose mi sento sempre chiedere: «Se facessimo come suggerisci tu, non diventeremmo incredibilmente passivi?». Beh, da un punto di vista superficiale direi che una certa dose di passività sarebbe molto utile per la nostra cultura, perché cercando di fare del bene agli altri creiamo sempre problemi. Ci facciamo in quattro a beneficio degli altri e cerchiamo di aiutare quelli che vivono in paesi «sottosviluppati», senza renderci conto che così facendo potremmo distruggere il loro modo di vivere. Economie e culture che sono coesistite in equilibrio ecologico per migliaia di anni vengono demolite in tutto il mondo, spesso con risultati disastrosi.
Quindi una certa dose di non azione farebbe sì che le cose si calmassero. Inoltre, smettendo di affannarci, scopriremmo che la passività è la radice dell’azione. Dopotutto, da dove credete che venga la vostra energia? Soltanto dall’essere energici? No, in quel modo ci si esaurisce! Per avere energia bisogna dormire, ma ancor più importante del sonno è la passività della mente, ossia il silenzio mentale. Queste cose non sono importanti perché fanno bene, ma perché si arriva a capire che non possiamo fare altrimenti. Per l’amor del cielo, non coltivate la passività come una forma di progresso: sarebbe come giocare solo perché divertirsi aiuta a lavorare meglio. Non sforzatevi, perché quando cerchiamo di forzare qualcosa il risultato è il logoramento. Se sforziamo una serratura, di solito finiamo per piegare la chiave, quindi è meglio scuoterla leggermente. Chiunque sappia come far funzionare le cose scuote la chiave fino a trovare il momento giusto per aprire la serratura, e in questo modo tutto accade come se fosse naturale e non forzato.
Di conseguenza, riconoscere l’esistenza del corso d’acqua vi darà la sensazione che la vostra vita stia «scorrendo». Lo scorrimento è contemporaneamente voi e non voi, o perlomeno quello che potremmo chiamare non-voi. È il processo, ciò che sta accadendo, e quando lo capirete smetterete di farvi domande a riguardo. Capirete che porsi degli interrogativi sull’argomento è tautologico. Riceverete delle spiegazioni, ma non spiegheranno nulla. Ogni spiegazione richiede una spiegazione ulteriore perché, per parafrasare un’antica poesia, le grandi spiegazioni hanno sulle spalle delle piccole spiegazioni che le mordono, e queste piccole spiegazioni hanno sulle spalle spiegazioni ancora più minute, e così via, all’infinito. Questo è il processo analitico che porta dall’universo visibile a quello atomico e poi a quello subatomico e protonico, e così via, all’infinito. E dalla Terra ciò si estende verso l’esterno al sistema solare, alla galassia, al sistema di galassie e così via. Ma va anche nell’altra direzione, dal momento che l’universo, se vuole conoscere sé stesso, deve allontanarsi da noi, perché noi siamo l’universo. I nostri occhi sono aperture attraverso le quali l’universo è consapevole di sé stesso – come se fossero buchi in un muro. Mentre guardiamo, battiamo le palpebre: ora lo vediamo, ora non lo vediamo. È molto semplice. E di conseguenza le grandi domande (Che cos’è tutto ciò? Cosa dovrei fare? Qual è il destino dell’uomo? Perché siamo qui?) lentamente svaniranno, e la loro scomparsa sarà la risposta. La risposta è che ciò che accade non può essere descritto. Il Tao non può essere descritto. Implica allo stesso tempo partire e arrivare, sempre scorrendo, cambiando costantemente. Ecco il significato dell’«eterno Tao». Lao-tzu disse: «Il Tao non fa nulla, ma nulla è lasciato non fatto».
Accanto all’immagine del corso d’acqua esiste un’altra idea taoista, che Lao-tzu chiama wu wei. Wu significa «non». Wei ha una molteplicità di significati: «azione», «sforzo», «tensione» o «gesto». Ma la traduzione migliore è «forzatura». Quindi wu wei significa «non forzare». In altre parole, il Tao compie ogni cosa senza forzature. E quindi… Stavo per dire «quando padroneggerete il Tao», ma padroneggiare è la parola sbagliata, perché implica la possibilità di essere superiori al Tao, cosa impossibile. Allora diciamo, quando arriverete al wu wei, agirete in base allo stesso principio del Tao. Questo principio è paragonato poeticamente alla differenza tra un salice e un pino durante una tormenta di neve. Il pino è un albero rigido, e la neve e il ghiaccio si depositano sui suoi rami fino a spezzarli. Il salice è un albero elastico. Quando il peso della neve diventa eccessivo per i suoi rami, questi si inclinano, la neve cade ed essi si risollevano. Questo è il wu wei.
Chuang-tzu racconta la meravigliosa storia di un saggio che passeggiava accanto alla riva di un fiume nei pressi di un’enorme cascata. All’improvviso, vide un anziano che si buttava in acqua, e pensò: «Quell’uomo dev’essere vecchio e malato e vorrà mettere fine alla sua vita». Ma pochi minuti dopo, giù in fondo alla cascata, l’uomo saltò fuori dalla corrente e cominciò a correre lungo la sponda del fiume. Il saggio e i suoi discepoli si affrettarono a raggiungerlo e gli dissero che ciò che aveva appena fatto era la cosa più stupefacente che avessero mai visto. «Come ha fatto a sopravvivere?» chiesero. «Beh, non c’è nessun trucco particolare. Semplicemente sono entrato con un tuffo e sono uscito con uno sbuffo. Sono diventato come l’acqua, in modo che non ci fosse conflitto tra di noi».
Allo stesso modo, quando un bambino è coinvolto in un incidente stradale, spesso non gli succede nulla, perché non si irrigidisce per proteggersi durante lo scontro. E nel judo si insegna a lasciarsi cadere mollemente ma allo stesso tempo a rendere le braccia molto pesanti, in modo che colpiscano il terreno con un bel tonfo. Quel «rendere pesanti» è ciò che avviene con l’acqua, e assorbe il colpo.
Bisogna comprendere che la via del corso d’acqua non è una via di mollezza assoluta. L’acqua ha un peso, e la sua energia è la gravità, quindi ha una sua forza. È questo il segreto del wu wei. Se la Terra dovesse incontrare qualche ostacolo nello spazio, ci sarebbe un immenso rilascio di energia a causa della gravità. La Terra cade attorno al Sole, e il Sole cade attorno a qualcos’altro, quindi l’intero universo sta cadendo. Ma poiché non vi è nulla al di fuori di esso, e quindi nessun luogo in cui possa cadere, non sta cadendo «verso» nulla. Cade semplicemente attorno a sé stesso, e dunque la gravità è la sua energia. Questo è il segreto del judo.
Ora, se volete trovare una soluzione intelligente a un problema, può occuparsene il vostro cervello. All’interno della scatola cranica avete tutta l’intelligenza necessaria. Nonostante ciò, molti non usano mai il cervello; usano la mente, e la usano nello stesso modo in cui usano i muscoli. Si può sforzare la testa proprio come si sforzano i muscoli, e lavorare sodo nel tentativo di arrivare a una risposta, ma così non funziona. Quando volete davvero trovare una risposta a qualcosa, ciò che dovete fare è contemplare il problema. Visualizzate la domanda come meglio potete, e poi semplicemente aspettate. Se non lo fate, e cercate invece di trovare la soluzione attraverso la forza bruta mentale, potreste rimanere delusi, perché ogni soluzione che si presenterà sarà probabilmente quella sbagliata. Ma se aspettate un po’, la soluzione verrà da sola. È così che bisogna usare il cervello, e funzionerà allo stesso modo in cui lo stomaco digerisce il cibo senza che lo controlliamo coscientemente. I nostri tentativi di controllare tutto portano sempre a conseguenze che non fanno bene al nostro stomaco, e la ragione è molto semplice. L’attenzione cosciente, che utilizza le parole, non riesce a pensare a molte cose insieme. Mentre pensiamo siamo quindi costretti a ignorare quasi tutto. Spingiamo i pensieri su un solo binario, ma il mondo non corre su un binario unico. Il mondo è tutto ciò che accade ovunque nello stesso momento, e per noi è impossibile prendere in considerazione tutto, perché non c’è tempo. Tuttavia, il nostro cervello può prenderlo in considerazione perché è in grado di gestire innumerevoli variabili contemporaneamente, anche se la nostra attenzione cosciente non ci riesce. I simboli verbali non riescono a gestire più di un unico percorso, molto semplice e grezzo, ed ecco perché dobbiamo fidarci del nostro cervello. Siamo molto più intelligenti di quel che crediamo. Quando un neurologo ammette di avere appena iniziato a scalfire la superficie della comprensione del sistema nervoso, quello che sta dicendo in realtà è che il suo stesso sistema nervoso ne sa più di lui. Fino a quel momento esso si è dimostrato più intelligente, e questo è incredibile. Ciò che siamo è necessariamente più di quanto possiamo comprendere, per la semplice ragione che un organismo non può comprendersi appieno, allo stesso modo in cui è impossibile baciare le proprie labbra o sollevarsi da terra tirandosi su dalle scarpe. In ogni presa di coscienza esiste dunque sempre un elemento che resta sconosciuto. E se questo vi irrita, ricordate che il fuoco non ha bisogno di bruciare sé stesso, e la luce non ha bisogno di illuminare sé stessa. Se la luce vi chiedesse: «Che cosa sono?», come potreste rispondere?
Per molti secoli gli esseri umani hanno voluto conoscere la natura dell’essere. «Che cos’è la materia, la sostanza?». Ovviamente, dovrebbe esistere un fondamento per tutte le forme che vediamo. Dopotutto l’argilla è il fondamento dei recipienti di ceramica. Il ferro è il fondamento degli attrezzi. Il legno è il fondamento dei mobili. Ma qual è il fondamento del legno, del ferro, dell’argilla? Qual è la sostanza comune a tutte le cose? Beh, abbiamo cercato di scoprirlo, ma quando si riflette sulla questione bisogna chiedersi che tipo di risposta stiamo cercando. Supponiamo di aver scoperto che cos’è la materia. In quale lingua saremmo in grado di descriverla? Se pensiamo al mondo, ci renderemo conto di non poterla descrivere affatto, perché l’unica cosa che il linguaggio può descrivere – che sia il linguaggio delle parole o quello dei numeri – è l’aspetto o la forma. Possiamo misurare una forma, possiamo delinearla, possiamo spiegarla. Ma non possiamo davvero spiegare la semplice cosa fondamentale, di base. Non può esistere alcun modo di parlarne. Di conseguenza la questione dell’essere della materia è sciocca. Pretendiamo di trovare una risposta in termini che non possono dare una risposta a quel tipo di domanda.
Quindi la sola cosa di cui possiamo parlare è la forma o l’aspetto delle cose. Potrei dire, con un gioco di parole, che la forma è l’unica materia che importa. Quando guardiamo il mondo come forma, non ci chiediamo di che cosa è fatto, o di cosa sono fatte quelle superfici, perché non sono fatte. Wu wei significa anche «non fare» oltre che «non agire», e il fare è molto diverso dal crescere. Quando una pianta cresce, non viene assemblata. Le sue cosiddette parti crescono tutte insieme nello stesso momento. Al contrario, quando si costruisce una macchina, si assemblano le parti una alla volta. Le piante non funzionano in questo modo, e nemmeno noi. È ridicolo supporre che, quando mangiamo, il cibo sia composto da parti del corpo che si aggiungeranno alle nostre per sostituire quelle consumate. È un’idea sciocca, perché le cose crescono, non vengono fatte. Quindi prima di tutto non dobbiamo chiederci di cosa sono fatte. E poi non dobbiamo chiederci neppure come fanno a crescere.
Questo ci porta a una questione molto affascinante di cui siamo inconsapevoli, e cioè che le cose che chiamiamo separate in realtà non sono separate affatto: sono unite dallo spazio. Pensiamo sempre allo spazio come a qualcosa che separa, ma ricordate che ciò che separa allo stesso tempo unisce. Ecco perché la parola collegamento è interessante. Indica che vi sono sia una distanza sia un’unione. Noi siamo collegati dallo spazio. Quando guardiamo una galassia lontana, ci sembra una cosa unica perché la vediamo da molto lontano. Ma se ci avviciniamo questa impressione svanisce, e vediamo le singole stelle. Noi viviamo nel bel mezzo di una galassia. Da molto lontano, tutte le stelle che ne fanno parte appaiono come una cosa sola. Ma da molto vicino, dove siamo noi, non riusciamo a vederla.
Ora, cos’è che tiene insieme tutte le stelle? Forse la gravità. In un certo senso potremmo dire che la parola gravità significa «non lo sappiamo». La gravità è come l’etere, che un tempo si credeva fosse il fluido attraverso cui veniva trasmessa la luce, ma che più avanti si è scoperto non esistere affatto, perché la luce in qualche modo poteva farne a meno. La luce funziona anche nel nulla, in uno spazio apparentemente vuoto. È davvero una cosa meravigliosa. Nella nostra galassia ci sono quindi oggetti di tutti i tipi che non sono uniti tra loro da fili, eppure costituiscono una cosa unica. In modo similare, se scendiamo al livello della nostra struttura atomica vedremo che siamo simili a una galassia: gli atomi dei nostri corpi sono distanti tra loro come stelle. Ma non chiediamoci che cosa ci tiene insieme; è la domanda sbagliata. La cosa importante è la nostra forma.
Quando io vi vedo, e poi vi incontro di nuovo un po’ di tempo dopo, come faccio a sapere che siete voi? Lo so perché riconosco il vostro aspetto. Se nel frattempo passa qualche anno, la seconda volta che vi incontrerò la parte di voi che conoscevo già sarà molto ridotta. Quasi tutta la vostra cosiddetta sostanza sarà cambiata. Se visito una cascata a pochi secondi di distanza, non sarà la stessa cascata. Cadrà nello stesso modo, con lo stesso stile, ma l’acqua sarà del tutto nuova. Allo stesso modo, se vi incontro oggi dopo un po’ di tempo, avrete lo stesso aspetto, anche se i vostri atomi saranno completamente nuovi. Di conseguenza, ciò che conta è l’aspetto.
Se guardate una fotografia su un giornale con una lente d’ingrandimento, scoprirete che ciò che a occhio nudo sembrava un’immagine chiara ora appare come un insieme di puntini. I puntini sono tutti simili, in apparenza non seguono nessuno schema, e non sono collegati tra loro. Ma se cambiate il livello di ingrandimento e vi allontanate, all’improvviso comparirà la figura.
È possibile ingrandire anche il tempo, proprio come lo spazio. Per ingrandire qualcosa nel tempo bisogna accelerarlo e trasformarlo in una sequenza di immagini rapidissime. Se mettete un seme sotto terra e scattate una foto al giorno, quando guarderete la sequenza accelerata, vedrete il seme che cresce. Getterà un piccolo germoglio, che poi crescerà, e all’improvviso spunteranno il gambo e le foglie. E poi diventerà una pianta. Supponiamo di poter guardare migliaia e migliaia di persone nello stesso modo. Vedremmo minuscole cellule di feto che diventano rapidamente volti di neonati, poi bambini, adolescenti, adulti, anziani e poi, alla fine, teschi, ossa e polvere. Un volto dopo l’altro, che si susseguono per tutta la durata della vita e poi ricominciano ancora e ancora.
Osservando tutto ciò cominceremo a notare l’emergenza di schemi e ripetizioni che si muovono troppo lentamente o sono troppo complessi per essere notati in condizioni normali. Ma se ci allontaniamo un po’, e per così dire «ingrandiamo» il tempo, vedremo che gli stessi ritmi si ripetono, dando vita a una continuità che collega vite apparentemente non connesse tra loro. Per usare un linguaggio semplice, tutto ciò sarebbe quello che potremmo chiamare la reincarnazione delle forme. Tale reincarnazione si verificherebbe di continuo, ma senza alcun «fantasma» che passa da una all’altra. Non è necessario che ve ne siano, proprio come i puntini di una fotografia sul giornale non hanno bisogno di essere collegati da linee per formare un’immagine coerente.
Sapevate che quando guardiamo la televisione in realtà stiamo guardando un puntino che si muove? Si sposta così velocemente da creare tutto da solo nella nostra mente l’immagine televisiva. Immaginiamo di avere un altro tipo di occhio, senza alcuna memoria. In quel caso guardando lo schermo vedremmo soltanto un puntino che si muove velocemente, e nessuna immagine. Forse pensate che ciò non abbia alcun senso, ma se la guardiamo da un altro punto di vista ha senso eccome: il puntino crea l’immagine. I misteri, come la reincarnazione, non richiedono dunque nulla di mistico per essere compresi. Li si può capire semplicemente «ingrandendo» il tempo, allontanandosi dai puntini scollegati della vita e guardando l’immagine completa. Da questa posizione, la reincarnazione è comprensibile in termini di ricorrenza delle forme e degli schemi complessi della vita.
Il mondo reale è là fuori, di fronte a noi e dentro di noi. E scoprirete che io non posso dirvi nulla che non sappiate già.