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Il mondo come processo organico

Il Libro dei mutamenti si basa su sessantaquattro unità composte da sei linee, chiamate esagrammi. Questi ultimi sono formati da due tipi di linee: quelle continue che rappresentano lo yang e quelle interrotte che rappresentano lo yin. Le linee possono essere raggruppate in un totale di otto diversi simboli costituiti da tre linee, chiamati trigrammi, che rappresentano un passo intermedio tra le linee di base yin e yang e l’esagramma finale. I nomi dei trigrammi sono Cielo, Terra, Acqua, Fuoco, Vento, Monte, Tuono e Lago. Questi otto trigrammi, nelle loro diverse combinazioni, formano i sessantaquattro doppi trigrammi che, per tornare all’inizio, sono i sessantaquattro esagrammi dell’I Ching, o Libro dei Mutamenti. Per i cinesi, queste sessantaquattro diverse combinazioni degli otto trigrammi rappresentano gli elementi o le forme della vita.

La qualità di qualsiasi momento o situazione può essere rappresentata da un esagramma generato in quel momento o in quella situazione. Esistono diversi metodi, si possono usare monete o bastoncini per arrivare all’esagramma rappresentativo di una data situazione, e molti di coloro che impiegano queste tecniche utilizzano il Libro dei Mutamenti come un libro divinatorio. Ora, ho visto con i miei occhi un sacerdote zen osservare dei fiori disposti in un vaso e poi dire alla persona che li aveva sistemati: «Ah, sì. Eri un po’ triste mentre li aggiustavi». Riusciva in qualche maniera a interpretare la qualità dell’umore della persona nel momento in cui aveva sistemato i fiori, grazie al modo in cui erano disposti i mazzetti.

Nel Libro dei Mutamenti, ogni esagramma è accompagnato da un’interpretazione. Ma sapete come sono gli oracoli: a volte le cose che dicono sono molto specifiche, e altre volte sono talmente vaghe che vi si può proiettare tutto ciò che si vuole, allo stesso modo in cui si può proiettare una storia o un’immagine su una macchia di Rorschach. Ma l’I Ching ha una caratteristica molto particolare e difficile da afferrare. È come avere una conversazione con un grande saggio, soprattutto quando lo si interpella senza uno specifico problema in mente.

Esiste un’antica abitudine occidentale, chiamata bibliomanzia, che consiste nell’aprire la Bibbia a caso e scegliere un versetto per vedere che cosa ci dice. Consultare l’I Ching è in un certo senso un’attività più complessa, praticata da persone molto sofisticate. Una delle ragioni della sua efficacia è che in quasi tutti i casi arrivare a una decisione ben precisa è meglio che arrivare a una decisione interpretabile. Inoltre, le informazioni che abbiamo per raggiungere una qualsiasi decisione sono straordinariamente incomplete, visto che non è possibile conoscere completamente una data situazione, e quindi talvolta è molto efficace prendere decisioni a caso. Ciò solleva la questione implicita in ogni discussione sulla non interferenza, o wu wei, ossia quella della differenza tra artificiale e naturale, che è fondamentale nell’atteggiamento taoista – e poi anche in quello zen – e sta fermamente alla base della vita cinese.

Si potrebbe ovviamente affermare che una distinzione tra l’artificiale e il naturale sia in sé una distinzione artificiale. Se un alveare è naturale, per esempio, lo sono anche gli edifici costruiti dagli esseri umani. Ma allora che cosa intendiamo con la parola natura? Come la usano i cinesi, e come la usiamo noi? Vediamo prima come la usiamo noi. Lo facciamo in almeno due modi. L’utilizzo più comune, a parte la nozione generale della natura come ciò che non è stato disturbato dall’uomo, avviene quando ci chiediamo: «Qual è la natura di questa cosa?».

Quando ci chiediamo quale sia la natura di qualcosa, di solito ne cerchiamo la classificazione: è un animale, un vegetale o un minerale? Di conseguenza, tutti i primi trattati occidentali sulla natura, opere come il De divisione naturae di Giovanni Scoto Eriugena, riguardavano le suddivisioni o le categorie della natura. Dopo l’opera di Eriugena vennero i libri sulla storia naturale, e il loro insegnamento principale era come classificare le varie specie di creature del mondo animale. Il Medioevo fu un’epoca dedicata alla classificazione delle creature del mondo, e successivamente gli studi occidentali sulla storia naturale ci hanno insegnato a quali famiglie appartengono tutti i vari pesci, uccelli, insetti, fiori e alberi. In questo contesto la parola natura fa riferimento a una classificazione a seconda del tipo, della specie o della famiglia. Tuttavia, questo utilizzo di natura si basa sul suo primo significato, che deriva dall’idea che tutte le cose del mondo si comportino secondo la propria natura. In questo senso della parola, esiste una varietà di nature, che fanno riferimento al latino natura, che significa «ciò che sta per nascere», e sono collegate alla parola natività. Di conseguenza, quando nasciamo, abbiamo una certa natura, che ci è stata data da Dio: in principio, Dio deve aver stabilito la natura di tutte le cose e fissato le leggi del loro comportamento. Quindi questa idea della legge naturale è alla base dell’idea occidentale della natura.

La concezione occidentale della natura comprendeva anche l’idea che in principio fosse esistito un legislatore che aveva concepito un piano ideale per l’universo. Questo piano si chiama Logos, o Verbo, e nel cristianesimo incarna la seconda persona della Trinità, ossia l’elemento della natura divina che, secondo la teologia cristiana, si è fatto uomo in Gesù Cristo. Nella religione cristiana si afferma di credere in «un solo Dio, padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili» e «in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre, per mezzo di Lui tutte le cose sono state create».

Tuttavia, la gente di solito non comprende questo concetto. Credono che sia per mezzo del Padre che tutte le cose sono state create, ma non è così. È dal Figlio, dal Verbo, che tutte le cose sono state create.

Per dirla in altre parole, la legge – la trama ideale dell’universo – è il vero agente creativo nella filosofia cristiana. Questo ci porta a pensare alle leggi di natura come se fossero, per così dire, un binario soprannaturale sul quale i tram cosmici dovranno correre per sempre. Da qui l’idea che «ogni carne è come l’erba […] ma la parola del nostro Dio dura per sempre». Quindi, agire secondo natura significa agire secondo le leggi che il Signore Dio ha creato per ogni specie e per ogni singolo membro di quella specie. Ma ovviamente questa idea fa nascere la possibilità che esista qualcosa di non naturale, che si comporta in modo innaturale, infrange le leggi della natura, e fa cose che non avrebbe mai dovuto fare. In Occidente si crede dunque che sia possibile andare contro natura, e che si possano infrangere le sue leggi.

Anche i cinesi concepiscono un comportamento non naturale, e nei capitoli centrali del libro di Chuang-tzu vi è un lungo dibattito a riguardo. Egli descrive gli uomini puri del passato, che non facevano progetti per il futuro, si volevano bene senza sapere di essere affettuosi, ed erano fedeli senza considerarsi leali. Descrive il modo in cui vivevano e come si comportavano nel mondo. Non avevano mai fretta, andavano semplicemente a spasso, ed era una bella vita. Nessuno pensava a nulla. Non esistevano polizia né leggi, e nessuno parlava mai di virtù né di niente del genere. Poi il grande Tao andò perduto, e nell’uomo sorsero l’idea del dovere e quella della buona condotta.

Il senso della storia di Chuang-tzu è che le nostre decisioni e i nostri progetti potrebbero benissimo essere lasciati al Tao, proprio come i gatti e gli uccelli sembrano lasciare tutto al Tao. Potremmo forse controbattere: «Ma noi possiamo prevedere il futuro e fare progetti, e quindi possiamo controllare la nostra vita meglio degli animali, e vivere più a lungo come individui. Possiamo vivere in modo più elegante, e controlliamo più cose». Tuttavia, paghiamo un prezzo per tale controllo, e quel prezzo è l’ansia. Più conosciamo il futuro, in modo da poterlo controllare, più ce ne preoccupiamo. Restiamo svegli la notte a pensare «ho fatto la cosa giusta? Ho preso in considerazione ogni aspetto? Funzionerà?». Se per esempio ci sentiamo poveri e non abbiamo soldi, e poi otteniamo abbastanza soldi da non doverci più preoccupare delle bollette, probabilmente cominceremo a preoccuparci di qualcos’altro. «Mi ammalerò? Mi succederà un incidente? La polizia mi verrà a cercare?». Se siamo persone ansiose ci preoccuperemo di qualcosa, qualsiasi cosa sia e qualsiasi cosa accada.

Ovviamente ci sono persone che rifiutano tutto ciò e dicono: «Oh, all’inferno. Non mi preoccuperò più di niente». È però molto difficile pensarla così, per via delle altre persone che considerano importanti tutte quelle cose. Poiché loro progettano tutto, cominciano a incalzarci dicendo: «Coraggio, devi unirti a noi. Non puoi non partecipare al nostro gioco, altrimenti ti allontaneremo». Magari ci metteranno in prigione, e ovviamente in prigione non sarà necessario fare alcun progetto. Anzi, non sarà necessario prendere nessuna decisione, perché basterà fare quel che ci viene detto. Finire in prigione è dunque un modo per smettere di fare progetti, ma è piuttosto deprimente.

Il taoismo, per come viene inteso in Cina, è adottato dagli anziani che dicono: «Beh, ora tocca ai giovani prendere le redini del gioco a cui stavamo giocando» e possono andarsene a vivere sui monti. I cinesi hanno quindi creato molte leggende riguardo al Vecchio della Montagna. Una delle loro splendide poesie si intitola «Chiedendo del maestro»:

Ho chiesto a un ragazzo sotto i pini.

Ha detto che il maestro se n’è andato da solo

a raccogliere le erbe,

da qualche parte sul monte.

Nascosto dalle nuvole, non si sa dove.

Questa idea del tornare sui monti è paragonabile al pensiero induista secondo il quale dopo aver posseduto una casa bisogna diventare un vanaprastha, ossia lasciare la società e andare a vivere nei boschi. È lo stesso concetto, ma i cinesi l’hanno reso più romantico rispetto agli induisti. Il poeta Han Shan – il cui nome significa «montagna fredda» – ha composto espressioni assolutamente meravigliose riguardo a questa idea di ritirarsi in una vita ondivaga, una vita in cui si va alla deriva come una nuvola e si scorre come l’acqua. L’umore associato a questa idea è uno degli elementi di ciò che i giapponesi chiamano yugen. Questa parola è intraducibile, ma possiamo intuirla come la sensazione che proveremmo se vagassimo in un’enorme foresta senza mai pensare di dover tornare indietro.

Un’altra poesia cinese comincia così: «I miei pensieri vagano nel grande vuoto». E quindi il Vecchio della Montagna non possiede nulla, e non è posseduto da nulla. In altre parole, non ha nulla ma dispone di ogni cosa. «Il mendicante – recita un’altra poesia – ha il cielo e la terra come abiti estivi».

Diventare un Vecchio della Montagna significa portare avanti il proposito di essere naturale in modo molto letterale. L’idea che dovremmo davvero andare a vivere nella foresta, e smettere di preoccuparci di «che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?», è il passaggio più sovversivo della Bibbia, e viene considerato il più irrealizzabile. Ma in realtà qualunque essere umano può farlo, se possiede un certo tono muscolare e una buona salute.

Dopotutto, se vivessimo in quel modo e smettessimo di fare programmi e di prevedere il futuro, rinunceremmo semplicemente a costruire un enorme edificio cu cui poi dovremmo pagare le tasse e cose simili. Perché, vedete, una volta che sarete entrati a far parte del gioco, e avrete cominciato ad acquistare cose, un po’ per volta tutti cercheranno di togliervele. Bisogna quindi stare attenti a questo tipo di trappola, altrimenti dovrete assumere qualcuno che vi aiuti a stare in guardia. Ma se lo fate, probabilmente vi farete anche venire un’ulcera e i capelli bianchi mentre cercate di risolvere queste difficoltà, ed è probabile che non ce la farete affatto. Si può quindi tornare alla vita naturale, dove neppure la morte è un problema, perché quando uno muore, muore e basta: semplicemente se ne va, e anziché preoccuparsi di cosa succederà dopo, non fa altro che accettare la cosa. Se c’è un incidente, e non avete fatto i progetti adeguati, beh, in un attimo è tutto finito. Ma vedete, è meglio vivere un giorno senza ansie che migliaia di giorni pieni d’ansia.

Questa è la filosofia della natura secondo Lao-tzu; tuttavia, bisogna ricordare alcune cose. La prima è che i taoisti in generale, e Chuang-tzu in particolare, nei loro scritti si dedicano alle esagerazioni, e forse ve ne sarete già accorti. Nella nostra cultura è molto comune che un gruppo di persone che hanno le stesse idee si riuniscano, e che dopo un paio di bicchieri comincino a esagerare la propria filosofia, ben consapevoli di portarla all’estremo. Ho sentito dei sacerdoti tirare fuori ogni sorta di sciocchezze quando si ritrovano in gruppo. Per esempio, i presbiteri cattolici indossano la berretta, un copricapo con tre alette e un fiocco in cima. Un sacerdote che conosco appendeva la sua berretta sul pulpito e ci metteva sotto una dentiera finta che si apriva e chiudeva mentre si sentiva un sermone registrato.

Restando in tema di parodia sulle cose che dovrebbero essere considerate importanti e sacre, Chuang-tzu scherzava sui principi idealizzati del taoismo. Le cose che dice sono molto, molto esagerate, e bisogna sempre tenerne conto quando si leggono i testi taoisti. Quando vogliono descrivere una persona del tutto naturale, la rappresentano come un uomo con una lunga barba mai lavata, che non fa assolutamente nulla a parte stare seduto e aprire la bocca quando piove, per bere. Ma è un’esagerazione, e questa immagine è altamente simbolica.

La creazione migliore in questo senso è un personaggio chiamato Budai in cinese e Hotei in giapponese. È enormemente grasso e ha un lungo bastone. Porta inoltre una grossa sacca in cui conserva le cose che sono state gettate via perché poco importanti, e le dà ai bambini. È il vecchio buontempone grasso delle leggende taoiste. Ovviamente rappresenta un’esagerazione, ma riesce a centrare umoristicamente l’obiettivo.

Ora, se è vero che il Tao è ciò da cui nulla può deviare, allora è anche vero che la differenza tra l’artificiale e il naturale è una differenza artificiale. È quindi possibile vivere una vita impegnata o crescere dei figli ed essere lo stesso come Hotei/Budai. È possibile vivere una vita naturale, ma farlo richiede una saggezza non comune.

Se tutte le opere d’arte sono essenzialmente naturali, come gli alveari, cosa ci consente di dire che un’opera è più naturale di un’altra? Se tutto ciò che fa un essere umano è naturale, cosa ci consente di dire che un tipo di vita è più naturale di un altro?

Ricordate che noi comprendiamo le parole grazie al contrasto con altre parole. Capiamo nero paragonandolo a bianco, uno paragonandolo a tanti, e così via. Agli induisti serviva una parola per ciò che trascende ogni distinzione e contrasto. Anziché chiamare questa cosa trascendente «unicità», l’hanno chiamata non-dualismo, sottintendendo che, sebbene questa parola abbia un contrario logico – ossia dualismo – l’avrebbero usata come se non avesse un contrario. Questo concetto è una convenzione sociale. Similarmente, noi abbiamo una convenzione sociale riguardo alla descrizione artistica della prospettiva. Usiamo le linee in modo tale che anche se sono disegnate su una superficie piatta, le interpretiamo come se avessero la dimensione della profondità.

Esattamente allo stesso modo, sebbene ogni cosa sia naturale, esistono alcune convenzioni artistiche che la nostra cultura considera più naturali di altre, o che sembrano incarnare più pienamente lo spirito della spontaneità.

Questa idea deriva da due nozioni taoiste fondamentali, chiamate blocco grezzo e seta non sbiancata. Una camicia di seta non sbiancata ha una consistenza piacevole, come la mussola non sbiancata. Possiede una sorta di ruvida eleganza. In Giappone esiste un’arte chiamata bonseki, che significa «coltivazione di pietre», e ciò implica apprezzare la ruvida eleganza delle pietre. Perseguire l’arte del bonseki significa uscire a cercare una pietra che sembra una pietra più delle altre pietre.

Ho già parlato dell’idea che i cinesi hanno della natura; tuttavia, per loro la natura non segue delle leggi. Malgrado ciò, vi trovano un principio di ordine che chiamano wu tze, ossia «senza leggi eppure ordinato». E ho cercato di suggerirvi diversi modi in cui anche noi possiamo apprendere questo tipo di ordine. Utilizzo consapevolmente la parola apprendere al posto di comprendere. Noi possiamo capire come i cinesi intendano l’ordine grazie al loro concetto di li, che originariamente indicava i segni della giada, le venature del legno e la fibra dei muscoli. Ma il principio di ordine in natura, e gli schemi organici che la natura segue, non possono mai essere riprodotti completamente in termini meccanici. Eppure la riproduzione degli schemi della natura fisica in termini meccanici è ciò che i padri della cultura occidentale chiamavano spiegazione. Se non era possibile spiegare qualcosa in termini meccanici, allora non la si poteva spiegare affatto. Accadeva in tutto il mondo accademico occidentale: ciò che non poteva essere scritto e discusso in modo accurato non era considerato degno di essere studiato in ambito accademico. Questo punto di vista è molto limitato, perché il mondo che può essere descritto non corrisponde mai al mondo che esiste. Il mondo descritto e quello reale sono incommensurabili, e non bisogna mai dimenticarlo, perché altrimenti si comincerà a mangiare il menu anziché la pietanza e a ingoiare il denaro al posto del cibo che può farci comprare. Eppure di solito le persone si comportano proprio così. Di conseguenza, coloro che sono stati ipnotizzati e stregati dalle parole devono essere risvegliati e riportati al mondo in cui viviamo.

Ora, noi chiamiamo mondo fisico o mondo materiale quello in cui viviamo, e ciò infastidisce quelli che io chiamo tipi spirituali, che vogliono andare al di là del mondo materiale – il quale cambia e muore – e trovare un mondo spirituale che è più reale e dura per sempre. Ma spesso fanno confusione, perché i loro pensieri riguardo ai due mondi sono completamente rovesciati. È il mondo materiale a essere un mondo di pura astrazione. Il mondo fisico, per come lo concepiamo noi, è una creazione del tutto astratta. Non è affatto concreto.

Forse questo vi sorprenderà, ma una piccola indagine sull’origine del mondo vi dimostrerà definitivamente che è la verità. Domanda: come si comporta uno scienziato con ciò che chiama il mondo materiale? Risposta: usa metodi quantitativi. Come si stabilisce una quantità? Misurandola, usando i numeri, ossia rappresentando la natura in termini di categorie astratte – metri, pollici, secondi, gradi e così via – ognuna delle quali è astratta esattamente come la latitudine e la longitudine sul globo terrestre. E la parola metro – che fa riferimento al mondo misurato o misurabile – deriva dal sanscrito matra, che è anche la radice di maya, illusione.

Ho già detto che uno dei significati fondamentali di natura in Occidente è «classificazione»: qual è la natura di questa cosa? In greco, physis – da cui deriva la parola fisica – ha a che fare con il mondo appreso in un certo modo, ossia secondo le classi in cui è diviso, e tali classi sono astratte. Quando diciamo che qualcosa è «immateriale» o «non ha alcuna sostanza», intendiamo che non ha una misura quantitativa. Non ammonta a nulla; non equivale a nulla. Non è quantificato. Tuttavia, ciò di cui abbiamo bisogno nella vita non è la quantità, ma la qualità. La mera quantità è del tutto astratta. La cosa importante è la qualità, il gusto essenziale, il sapore della vita, il suo significato.

Esistono modi per misurare le qualità, ma nel nostro linguaggio bisogna sempre trasformarle in quantità. Quando un cuoco è davanti a una pentola di stufato, aggiunge sale, assaggia, ne aggiunge ancora un po’, assaggia di nuovo e poi dice «adesso è perfetto», dietro di lui potrebbe esserci qualcuno che registra la quantità di sale utilizzato. E quella sarebbe l’astrazione quantitativa che corrisponde a un’esperienza di assaggio che non era affatto astratta. Tuttavia, per riportare le persone al mondo reale, bisogna sospendere temporaneamente il loro pensiero astratto, perché è con l’astrazione che suddividiamo ogni cosa in parti distinte. È per via dell’astrazione che traiamo la conclusione che io sono una cosa e voi un’altra, e che gli eventi sono separati uno dall’altro, allo stesso modo in cui sono separati i minuti. Cerchiamo di tracciare sui nostri orologi le linee che dividono un minuto dall’altro in modo che siano sottilissime, perché vogliamo sapere esattamente il momento in cui un minuto si trasforma in quello successivo. E quelle linee, proprio grazie a quanto sono sottili, si dimostrano astratte, esili, delicate e irreali. Sono delle misure; ma non confondiamo la misura con ciò che viene misurato. Il mondo che possiamo vedere e sentire senza astrazioni è un mondo in cui siamo connessi con tutto ciò che esiste, con il Tao e l’intero corso della natura. Tuttavia vi hanno insegnato il contrario, siete stati imbrogliati e persuasi da gente che chiacchiera e spiega, e che si è già auto-ipnotizzata per credere a una visione del mondo astratta, arbitraria, e che non corrisponde necessariamente al modo in cui stanno davvero le cose.

Il taoista, come l’induista e il buddhista, è un grande sostenitore del silenzio intellettuale. Attenzione, non sto dicendo che l’intelletto sia una cosa negativa, o che dovremmo essere anti-intellettuali. Assolutamente no. Pensare fa parte del processo della natura proprio come la ragnatela tessuta da un ragno. Il ragno tesse la tela per creare una trappola per le mosche, e la mente tesse una tela per catturare l’universo. Ed è una cosa positiva, ma nell’universo c’è altro a parte la tela costruita per catturarlo. Per riuscire a trovare questo altro, bisogna smettere temporaneamente di usare la tela, proprio come, se vogliamo ascoltare ciò che gli altri hanno da dire, dobbiamo smettere di parlare. E se vogliamo parlare, dobbiamo anche sapere di che cosa stiamo parlando. Ovvero, se le parole rappresentano il mondo reale, allora bisogna aprirsi al mondo reale per tradurlo efficacemente in parole. Ma nessuno ci insegna a farlo. La maggior parte di noi pensa compulsivamente tutto il tempo. Vale a dire che portiamo avanti una perpetua conversazione interiore, perché temiamo che se quella conversazione arrivasse a una fine, sarebbe anche la nostra fine. E in un certo senso è vero. Quindi, i taoisti parlano sempre di essere senza pensieri, di svuotare la mente in modo da poter comunicare con il mondo reale senza distorsioni.

Ho già detto che i taoisti tendono all’esagerazione. Calcano la mano su ciò di cui stanno parlando, e bisogna tenerne conto. Dunque, quando parlano di un saggio in grado di stare così immobile che gli cresce sopra l’erba e gli animali gli si accovacciano in grembo senza notare la sua presenza, addirittura smette di respirare e il suo cuore non batte più, stanno usando in modo fantasioso l’esagerazione e il linguaggio figurato. Nonostante ciò, nel taoismo esistono certamente uno yoga e delle pratiche di meditazione che assomigliano molto alle forme di meditazione buddhista.

Il primo elemento dello yoga taoista cinese è smettere di parlare con sé stessi. Non spiegare il mondo. Questo metodo è in diretto contrasto con il confucianesimo, che tiene in grande considerazione ciò che Confucio stesso – il suo vero nome è K’ung-fu-tzu – chiamava la «rettificazione dei nomi», ossia un modo per essere certi che il linguaggio non facesse sorgere alcuna confusione. Ma i taoisti dicono: «Com’è possibile rettificare i nomi? I nomi si stabiliscono e si spiegano parlandone. Ma allora come si possono spiegare le parole che usiamo per parlarne, ed essere sicuri che siano certe e ordinate?». Lao-tzu disse: «Il dare un nome è la madre di diecimila cose». Disse anche: «Senza nome è l’origine del cielo e della terra». Bisogna quindi arrivare allo stato di «senza nome», uno stato senza pensieri, che in cinese si chiama wu nien. Wu significa «non» e nien significa «cuore-pensiero». Nien viene anche tradotto come «ricordare». Equivale alla parola sanscrita shana, che significa «un atomo di tempo», «un momento», «un istante». Significa guardare il mondo senza dividerlo in momenti, vederlo tutto come un unico istante, anziché come una serie di istanti.

Se ci provate, scoprirete che smettere di pensare è molto difficile. «Smettere di pensare» non significa smettere di usare gli occhi, le orecchie, le mani e tutti i nostri sensi. Significa che quando vediamo un cane, non diciamo a noi stessi «cane»; semplicemente vediamo ciò che si trova davanti a noi. I buddhisti chiamano questo stato «talità».

Ora, vedete, se io parlo con qualcuno, quest’ultimo ascolta le mie parole e ne estrae il significato. Qual è questo significato? Qual è il significato del fatto che io posso usare le parole per trasmettere qualcosa a qualcuno? Non ha alcun significato. È semplicemente qualcosa che accade, come quando i fiori sbocciano, l’acqua scorre e il vento soffia. Io sto scrivendo e voi state leggendo, alcuni stanno giocando a baseball e altri stanno guardando la televisione, e altri ancora stanno navigando, viaggiando in aereo o in autobus. È come la musica. Ma qual è il significato della musica? Certa musica è fatta per avere un significato, ed è quella che chiamiamo musica a programma. Ma quando la musica è soltanto musica, semplicemente va avanti.

Tutto ciò è meraviglioso. Quando gli uccelli volano, perché lo fanno? Quando il vento è forte, i gabbiani volano molto in alto. In condizioni normali, i gabbiani dovrebbero essere occupati a pescare, a sopravvivere e a fare tutte queste cose importanti. Ma quando il vento è forte, cominciano tutti a salire in alto nel cielo, semplicemente perché amano galleggiarci sopra. È una cosa che succede e basta, e quando si comincia a guardare il mondo in questo modo, si comprende all’improvviso che non è affatto importante se si vince o si perde. Quelli sono criteri arbitrari, imposti al mondo nello stesso modo in cui vi imponiamo i nostri schemi e le nostre misure.

Una splendida poesia cinese recita:

In un paesaggio di primavera

non c’è nulla di superiore

né di inferiore;

i rami in fiore crescono naturalmente,

alcuni lunghi e alcuni corti;

le campanule sbocciano per un’ora

ma non sono diverse dagli enormi pini

che vivono per migliaia di anni.

La cosa essenziale è essere in grado di vedere tutto in questo modo, perché questa visione è alla base del Tao. E quando vedrete davvero ogni cosa in questo modo, resterete in silenzio.

Lao-tzu disse: «Chi sa non dice; chi dice non sa». Eppure scrisse il Tao Te Ching. E io che cosa sto facendo? Sto dicendo ma sto anche non-dicendo. Non sto cercando di raccontarvi qualcosa. Non spero che dalle mie parole trarrete un messaggio nel senso convenzionale del termine. Io sto giocando con le parole. Quando parlo mi godo il suono della mia voce, e il suono della mia voce è di gran lunga più importante di ciò che sto dicendo. Riuscite a capirlo?

Ho un amico che, per cercare di far sì che le persone lo ascoltino, dice: «Non cercare alcun significato nei suoni che senti, ascoltali e basta».

Se mi ascoltate dovreste fare la stessa cosa con le mie parole. Ascoltate il mondo reale esterno a esse: ascoltare in questo modo è la porta d’entrata in un mondo in cui non esistono distinzioni, perché le distinzioni sono frutto del pensiero. E non esistono neppure ripetizioni. L’universo è semplicemente così com’è. E questo è il Tao, che non può essere detto.

Ora, voi potreste chiedermi: «Come diavolo si impara ad ascoltare in quel modo? Io penso in modo compulsivo, e non riesco a smettere di farlo». Dunque, prima di tutto, non cominciate cercando di bandire ogni pensiero dalla vostra mente. Come dicono i taoisti, equivarrebbe a «battere su un tamburo mentre si cerca un fuggiasco». Allo stesso modo, infatti, se si cerca di smettere di pensare, si finisce per pensare di smettere di pensare, e ciò crea una bella confusione. Dovete invece lasciare che la vostra mente pensi quel che vuole pensare, ma anziché fare attenzione al significato delle parole che state pensando, concentratevi sulle parole come semplici suoni. Ascoltate tutto ciò che vi viene detto come una serie di rumori.

Riusciamo a farlo molto facilmente quando ascoltiamo la musica. Quando la ascoltiamo davvero, non parliamo, ci lasciamo semplicemente trasportare. Ecco perché ascoltare musica è una forma di meditazione, soprattutto la musica che non ci fa pensare. Alcuni non riescono a lasciarsi trasportare. In loro la musica stimola sempre delle idee, cominciano a pensare a questo e a quello e non ascoltano. Ma se ascoltiamo davvero la musica, il suo suono ci riempie la mente.

È più difficile smettere di pensare quando guardiamo qualcosa rispetto a quando ascoltiamo, perché sorprendentemente pensiamo moltissimo con gli occhi. Ma si può imparare a guardare le cose senza interpretare ciò che stiamo vedendo. Questo non significa che non vedremo più. Vedremo, ma non daremo un nome alle cose. Il mondo comincia a essere un posto molto diverso quando lo guardiamo senza dargli un nome, quando smettiamo di dire «quella è una testa, quella è una faccia, quelli sono capelli, quella è una mano», perché nel momento in cui ci diciamo «quella è una mano», smettiamo di vedere la mano. Ma se la guardiamo davvero senza pensare, la mano diventa davvero un miracolo. Tuttavia, non ci si può costringere a non pensare. Non potete scacciare a forza i pensieri dalla vostra mente. Ma se li ascoltate in un modo nuovo, come se fossero musica, comincerete lentamente a liberarvi del vostro sistema interpretativo, della sua terminologia e del sistema di valori all’interno del quale vi hanno insegnato a vivere come in una camicia di forza, e questa sarà la vostra porta d’entrata nel mondo reale, il mondo del Tao.