Johanna Abele ricamava seduta vicina alla finestra. Sarebbe stato il suo ultimo lavoro, ormai con le dita deformate dalla gotta le era diventato pressoché impossibile reggere l’ago da ricamo. E anche la vista si faceva sempre più debole.
Col cuore gonfio di tristezza osservò il cielo nuvoloso e aprì un po’ di più la valvola della lampada a gas sul tavolo accanto a lei. La fiamma si fece più forte spandendo una luce calda che arrivò a illuminare completamente il tessuto che teneva in grembo. Nonostante ciò, Johanna Abele non riusciva a distinguere quasi niente.
Sospirò, lasciò il lavoro di ricamo e prese il giornale, cercando di leggere il programma culturale. Quand’era stata l’ultima volta che era uscita? Che era stata un po’ in compagnia?
Al Volkstheater davano Peer Gynt, all’Opera Der Wildschütz. Troppo stancanti, entrambi. E poi quei palchi, a quanto pare importantissimi, non erano più quelli di una volta. Le messe in scena diventavano sempre più pacchiane, molti bravi attori si erano dati al cinema. Rita Haidrich, per esempio, si era legata in esclusiva alla Sascha-Filmindustrie AG. Che enorme spreco. Peccato, davvero. Era stata così convincente nel ruolo di Elettra.
Forse la serata Hugo Wolf faceva più al caso suo. Johanna Abele tentò di alzarsi, ma si lasciò subito ricadere sui morbidi cuscini. Era un vero supplizio. Sarebbe rimasta a casa.
Diventare vecchi non era cosa per animi sensibili. Tutti gli affronti inflitti dal corpo, i dolori e le innumerevoli limitazioni. Per non parlare poi della bellezza che svaniva. Si guardò le mani nodose e arrossate e pensò alla schiena curva, le gambe gonfie e a tutti gli altri malanni che le rendevano difficile la vita quotidiana. Quanto ancora avrebbe resistito?
Come se avesse pronunciato una parola magica, sulla soglia comparve Else, la sua domestica e badante, che era diventata per lei come un’amica. La donna robusta e dalle spalle larghe, con una voglia di vino sulla guancia destra, reggeva un foglio di carta in una mano e sbuffava. Di norma Else era tranquilla e silenziosa, non perdeva mai le staffe. Ma oggi era diversa. Sembrava agitata e al tempo stesso insicura. «Non farà mica sul serio, vero?». Si avvicinò a Johanna Abele e le porse il foglio.
La vecchia signora strinse gli occhi, si sporse in avanti fin quasi a toccare il foglio con la punta del naso e si aggiustò gli occhiali. Poi sollevò lo sguardo verso Else. «Dove l’hai trovato?».
«Secondo lei? Pensa che sia così sciatta da non spolverare dietro i libri?». Appoggiò il foglio sul davanzale, poi fece un passo indietro e si puntò le mani sui fianchi.
Ecco dov’era finito allora, il suo testamento. Johanna Abele si era chiesta a lungo dove l’avesse lasciato – quando sei mezza cieca, facile a distrarti e non tanto in grado di reggerti in piedi basta un attimo per perdere le cose. «Volevo parlartene. Solo che non ce n’è stata occasione».
«Non può lasciare tutto a me. Io sono una donna semplice, che me ne dovrei fare di tutti quei soldi e della casa? È troppo. In tutta la mia vita non ho mai posseduto più di un paio di corone».
«Proprio per questo dovrebbe andare tutto a te». La vecchia signora mise da parte il giornale e accarezzò con le sue mani rugose le dita screpolate di Else. «Con te la mia eredità sarebbe in ottime mani».
«E suo nipote?».
«Adalbert? Quel cretino irriconoscente sperpererebbe tutto al gioco, o in alcol e donnacce. No!». Scosse la testa. «Sarai tu a ereditare tutto ciò che posseggo. Tu e basta».
Else inspirò a fondo e poi rilasciò lentamente l’aria che aveva immagazzinato nei polmoni. «Non ne sarà contento».
«Nemmeno io sono contenta di come si comporta». La vecchia signora incrociò le braccia. «Non so proprio da chi abbia preso quel suo pessimo carattere. Di sicuro non dalla mia famiglia, e pertanto non avrà neppure i miei soldi».
Else sospirò. La sua padrona sapeva essere testarda, l’aveva sperimentato già parecchie volte. «Ma…».
«Niente ma. Voglio così e così sarà. Te lo sei meritato, e del resto sono convinta che porterai avanti le cose come avrei voluto io». E per segnalare che la conversazione era conclusa riprese in mano il lavoro di ricamo. «Mi andrebbe proprio una tazza di tè. Saresti così gentile da prepararmela?».
Else, visibilmente sconvolta, si pulì le mani sul grembiule, poi se le passò tra i corti capelli grigi e fece di sì col capo. «Certamente» disse e fece per uscire dalla stanza. Arrivata alla porta però si fermò e si voltò di nuovo. «Mi prometta di restare in questo mondo ancora per un po’».
Johanna Abele la guardò. «Non ho intenzione di morire a breve. Però, chi può saperlo…» disse, «chi può saperlo…».