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Lo studio medico del dottor Gustav Bahrfeldt occupava l’intero primo piano di una villa di rappresentanza nel cuore della città.

«E pensare che altrove tre generazioni vivono in quindici metri quadri» mormorò Emmerich. «Imperatore, re, nobiltà, cittadino, contadino e povertà». Gli tornò in mente una vecchia filastrocca usata per fare la conta, che tuttavia era ancora più che valida nonostante l’Austria fosse diventata una repubblica democratica.

«Viviamo tempi difficili, ma presto le cose miglioreranno di sicuro» disse Winter, che soffriva di un inguaribile ottimismo. Esibì il distintivo all’assistente dai capelli rossi che alla vista dei due funzionari feriti si era portato una mano al cuore. «Conosco il dottore personalmente» aggiunse. «Mia nonna, la signora Winter, è una paziente di lunga data».

L’assistente del medico lo squadrò sollevando un sopracciglio. «Siete fortunati» disse. «Il dottore è noto per essere molto interessato ai casi… particolari».

«Spero che non sia molto interessato ai soldi» sussurrò Emmerich osservando la costosa mobilia. «Roba del genere non ce la potremo permettere mai nella vita». Aprì la porta contrassegnata dalla targhetta “Sala d’attesa”. Due paia d’occhi si puntarono sui nuovi arrivati. Appartenevano a una coppia di anziani ben vestiti che sembrarono estremamente terrorizzati.

«Gesù Giuseppe e Maria!» sussurrò la donna, e il suo accompagnatore, un signore dai capelli bianchi che doveva aver superato l’ottantina già da tempo, si alzò e offrì a Emmerich la propria sedia.

Quest’ultimo rifiutò, ma Winter lo sistemò a sedere quasi di peso. «Ci sarà tempo più tardi per fare gli orgogliosi e gli educati a tutti i costi».

«Ispettore Winter!». Un uomo alto e dalle spalle ampie era entrato nella stanza. Era il dottor Bahrfeldt, una figura imponente con un mento pronunciato, la fronte alta e un naso lungo e sottile.

Suo malgrado Emmerich pensò a un ritratto di Giulio Cesare che aveva visto una volta in un museo, da bambino.

«Che cosa ha fatto al braccio? E come sta sua nonna?». Probabilmente la vista dei due lo irritò, ma non lo diede a vedere.

«Ho avuto un incidente» rispose Winter tenendosi sul vago. «E per quanto riguarda mia nonna… l’erba cattiva non muore mai. Oggi però sono qui per il signor Emmerich, il mio superiore».

Bahrfeldt si piazzò davanti a Emmerich e gli tastò con precauzione il viso. «Non ha per niente un bell’aspetto. Che cosa ha combinato, per l’amor di Dio?».

«Incidente di servizio». Emmerich sobbalzò quando il medico gli toccò la mascella.

«La gamba» si intromise Winter. «La gamba ha avuto la peggio».

Bahrfeldt tastò il ginocchio di Emmerich, che emise un forte lamento. «Dispiacerebbe molto a lorsignori se mi occupo prima di loro?» chiese rivolgendosi all’anziana coppia. «Sono desolato di farvi attendere, ma il signore è un poliziotto e si è ferito in servizio, lavorando per tutti noi». Visto che non furono sollevate obiezioni, il dottore condusse Emmerich e Winter in sala visite. «Com’è successo, di preciso?». Bahrfeldt chiuse la porta e fece cenno a Emmerich di togliersi i pantaloni.

L’ispettore eseguì e si stese sul lettino da visita. «Abbiamo dovuto batterci per ottenere delle informazioni».

«Spero ne sia valsa la pena». Il medico esaminò il ginocchio di Emmerich e i tessuti circostanti. L’espressione sul suo viso non prometteva nulla di buono.

«Lo capiremo presto». Emmerich strinse i denti.

«Dove ha prestato servizio in guerra? Queste cicatrici hanno proprio l’aria di provenire da un ospedale da campo».

«Sul fronte italiano. Prima sull’Isonzo e poi sul Piave. E a Vittorio Veneto sono stato ferito».

«Pallottola?».

«Scheggia di granata. Gli italiani, quei figli di puttana, ci sparavano addosso col cannone».

«I russi, ringraziando Dio, si sono mostrati più economi». Bahrfeldt si indicò una cicatrice tonda sull’avambraccio. «Qual è la diagnosi?».

«Artrofibrosi».

Il dottore annuì con aria comprensiva. «È seguito da un bravo dottore?».

«I macellai dell’Ospedale generale preferirebbero amputarmi la gamba» disse Emmerich con amarezza. «E con quel poco che guadagno come poliziotto non posso certo permettermi degli specialisti. Sono proprio fuori dalla mia portata».

Bahrfeldt sospirò, afferrò Emmerich per la spalla e strinse con delicatezza. «La guerra…» mormorò. «Si è mangiata i migliori o li ha lasciati invalidi. Che peccato, che rovina». Andò verso l’armadietto dei medicinali che si trovava alle spalle della sua scrivania, prese un flaconcino e una siringa e la aprì. «Vedrà che starà subito meglio» disse, picchiettando un paio di volte col dito contro il cilindretto e poi iniettan-do il liquido trasparente direttamente nel ginocchio di Emmerich.

Quest’ultimo si appoggiò all’indietro, chiuse gli occhi e si godette la sensazione del dolore che pian piano si placava, diventando in pochi secondi solo un leggero pulsare. Dio, che sensazione meravigliosa. Era bella quasi quanto l’effetto dell’eroina. Libero dall’eterno dolore, per la prima volta in tantissimi giorni.

«Gamba a parte, ha avuto fortuna. Il naso non è rotto, la mascella ha preso solo una bella botta e non devo neanche metterle punti al labbro. L’effetto del medicinale che le ho somministrato dovrebbe durare per tutto il giorno. Poi può prendere queste». Gli diede un flaconcino con delle pillole bianche. «Sono antinfiammatorie e antidolorifiche».

«Ma non creano dipendenza, giusto?» non poté fare a meno di chiedere Winter.

L’espressione amichevole del medico virò allo scettico. «Ha avuto problemi di dipendenza?».

Emmerich scoccò un’occhiataccia a Winter. «Ma no, come al solito il signor Winter si preoccupa troppo».

«Sono compresse di Togal. Del tutto innocue fintantoché ci si attiene alla giusta posologia. E agiscono in fretta». Il dottore si rivolse a Emmerich, che continuava a sorridere serafico. «L’iniezione e le pillole sono solo rimedi temporanei. Non potrà evitare di operarsi. E al posto suo, lo farei al più presto. Nel giro di qualche settimana, prima che la gamba perda definitivamente mobilità».

Il sorriso di Emmerich scomparve. «Come le ho appena detto, non mi fido dei macellai dell’Ospedale generale, e non ho soldi per rivolgermi a uno specialista».

Bahrfeldt si grattò il mento. «Non voglio darle false speranze, ma faccio parte di un ente di beneficenza che ha di recente inaugurato una clinica di riabilitazione per veterani, dove medici ben preparati proveranno a rimediare ai danni provocati dalla guerra».

«Davvero?». Sulle labbra di Emmerich tornò a fare capolino il sorriso. «Esiste davvero una cosa del genere?».

«Qualcuno dovrà pur occuparsi dei nostri eroi feriti. Lo stato sta fallendo su tutta la linea. Una medaglia e un paio di belle parole non saranno mai una ricompensa sufficiente per i sacrifici compiuti da lei e dai suoi commilitoni. Mi faccia avere la sua documentazione e vedrò di proporla per un ricovero».

«Se lei davvero facesse una cosa del genere…». A Emmerich mancarono le parole. Si alzò con cautela e strinse la mano del dottore. Poi si rimise i pantaloni e intascò le pillole.

«Cerchi di riposare» gli consigliò il dottor Bahrfeldt. «Lei e la sua gamba avete bisogno di riguardo».

Emmerich ringraziò e uscì dallo studio insieme a Winter sotto lo sguardo curioso dell’anziana coppia. Una volta fuori lanciò uno sguardo all’orologio della cattedrale di Santo Stefano.

«Va di nuovo indietro» disse un passante. «Come se avesse nostalgia dei bei tempi andati».

Emmerich liquidò l’osservazione con un grugnito e svoltò in Goldschmiedgasse.

«Dove vuole andare?» chiese Winter.

«A Seilerstätte. Dobbiamo parlare con la vedova e scoprire se era a conoscenza della relazione extraconiugale del marito. Come dice il proverbio? Nessuna furia dell’inferno è come una donna tradita. Forse era in combutta con l’assassino – magari ha agito su incarico della signora».

«Ha sentito cosa le ha detto il dottor Bahrfeldt: deve riguardarsi».

«Non posso riguardarmi finché il responsabile non sarà assicurato alla giustizia e Peppi rilasciato sano e salvo. Abbiamo molto da fare, oggi. Prima dobbiamo andare dalla vedova e poi al Rote Bretze. E dobbiamo fare un salto anche all’ufficio riconoscimenti, per esaminare gli schedari per reato. Magari troviamo qualche furfante che usa travestirsi da fattorino o sia noto per indossare calzature medievaleggianti».

«Strapazzarsi così non servirà certo a tirare fuori di galera il signor Navratil».

«Ma nemmeno mettermi a letto servirà a tirarlo fuori di lì».

«Almeno si riposi un po’. Alla vedova e all’ufficio riconoscimenti posso pensarci da solo. Si fidi di me. E poi la signora Fürst non la farebbe mai entrare in casa conciato così. Dubito persino che la facciano entrare al Rote Bretze». Winter indicò le macchie di sangue sulla camicia e sui pantaloni del suo superiore.

«Come vuoi» si arrese Emmerich. Il ragazzo aveva ragione, e del resto era stanco e sfinito. Una dormitina gli avrebbe schiarito le idee. «Mi stendo un attimo, mi cambio e ci vediamo alle sette davanti al Rote Bretze».