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Emmerich comprò tabacco e cartine e salì sul tram elettrico che portava a Meldemannstraße. Trovò posto accanto al finestrino e si strinse nel cappotto, rabbrividendo. Mentre avanzavano a fatica tra le strette stradine del centro e varcavano il confine del secondo distretto l’ispettore guardava fuori e tentava di non pensare alle ore che passavano, lente ma inesorabili.

Gli sembrava di vedere davanti agli occhi la misera figura di Peppi. La protesi facciale, il moncherino del braccio e la disperazione che lo avvolgeva come un’aura nera.

«Biglietti, prego». Il controllore lo riscosse dai suoi cupi pensieri col ticchettio della punzonatrice con cui vidimava i biglietti. Duecentosettanta Heller, ecco quanto costava adesso un biglietto. L’anno precedente ne costava ottanta, e quello prima ancora appena quaranta. Se i prezzi continuavano a salire così in fretta, presto una semplice corsa in tram sarebbe diventata per molti cittadini un lusso inaccessibile. «Il suo biglietto, prego» sentì di nuovo, stavolta proprio accanto a sé.

Emmerich si infilò una mano in tasca e tirò fuori un pezzetto di carta tutto spiegazzato. In quel momento il tram si fermò con gran stridio di freni.

«Ehi, idiota, sei forse cieco?» gridò il conducente a un passante che aveva attraversato i binari senza guardare.

Emmerich non si curò del successivo diverbio. Gli era caduto l’occhio su un grappolo d’uomini in fila davanti a una vecchia locanda in Obere Augartenstraße. Figure smagrite e cenciose che speravano di ottenere una scodella di brodo caldo dalle suore.

In realtà si trattava di uno spettacolo quotidiano che ormai non faceva più pena a nessuno, tuttavia una donna attirò l’attenzione di Emmerich. Indossava un cappotto rattoppato e i capelli, nascosti sotto un cappello malconcio, apparivano fragili e spenti. Rughe profonde le circondavano la bocca e aveva occhiaie così scure che sembrava si fosse sfregata gli occhi con polvere di carbone.

Luise…

Il corpo di Emmerich si irrigidì. Premette i palmi delle mani e la punta del naso contro il finestrino, così a lungo da appannarlo col suo fiato. Quando lo sguardo gli cadde sui tre esili esserini che le stavano accanto, anche loro pallidi e ossuti, con lo sguardo spento e le guance scavate, si sentì attraversare da un misto di profondo dolore e incoercibile furia. Emil, Ida e Paul non erano carne della sua carne, ma li amava come se lo fossero.

Che cosa era successo? Quando li aveva visti per l’ultima volta, a novembre, avevano un aspetto completamente diverso. Poveri, certo, ma comunque vestiti come si deve e più o meno ben nutriti.

Come avevano fatto ad arrivare a quel punto?

C’era una sola spiegazione: Xaver. Il marito resuscitato di Luise… quel maledetto non si occupava della sua famiglia.

Emmerich si alzò in piedi, sbatté il biglietto sul petto del controllore già spazientito e si fece strada verso l’uscita quasi travolgendo il suo vicino di posto.

«Eh, che modi sono questi?» si lagnò quest’ultimo, prima di dare uno sguardo al viso conciato male di Emmerich e ammutolirsi.

Il tram si era rimesso in moto. «Devo scendere! Fatemi passare!». Emmerich spostò cose e persone, ignorò gli insulti e gli sguardi piccati e si fece strada attraverso la vettura stracolma dirigendosi verso la piattaforma esterna. «Si fermi!» gridò nell’aria gelida smossa dal veicolo. «Fermi il tram!».

«La prossima fermata è a Gaußplatz. Prima non possiamo fermarci». Il controllore gli era andato dietro con sguardo preoccupato e al contempo sospettoso.

Emmerich fissò la strada grigia e sporca, che scorreva sotto i suoi occhi in modo pericolosamente rapido. Quando il tram si avvicinava alle fermate i bambini e i ragazzini spesso si divertivano a saltare dal veicolo in movimento – ma per una simile manovra la velocità era già troppo elevata, e in più c’era la sua gamba da considerare.

«Luise…» mormorò fissando l’edificio davanti al quale l’aveva vista in fila. Si faceva sempre più piccolo, finché non diventò solo un minuscolo puntino grigio prima di scomparire dalla sua vista.

Furono minuti strazianti mentre il tram serpeggiava verso Brigittenau, la roccaforte del sottoproletariato. Quando finalmente si fermò, Emmerich si calò giù dalla vettura e tornò indietro zoppicando fino alla mensa dei poveri.

Luise e i bambini non c’erano più.

«Mi dispiace, per oggi abbiamo finito tutto» disse una donna alta e robusta con i capelli grigi e corti e una voglia di vino sulla guancia destra. Si pulì le mani sul grembiule e guardò Emmerich con compassione. «Torni domani, ci sarà di nuovo una zuppa. E forse anche del pane».

Emmerich si osservò, guardò il suo vecchio vestito, si fissò le dita magre e macchiate di nicotina e si immaginò che aspetto dovesse avere il suo viso. Non c’era da meravigliarsi che già per la seconda volta, quel giorno, qualcuno avesse pensato che gli servisse un’elemosina.

Si rullò una sigaretta, l’accese, fece un cenno alla donna e zoppicò verso il pensionato.