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Per tutti i diavoli! Che razza di lettera è questa?» risuonò una voce nella sala lettura al pianterreno.
«Penso che sia una F» si udì rispondere un’altra.

«No, deficiente. È una S».

Emmerich gettò uno sguardo nella sala in cui Theo, insieme a un altro paio di ospiti del pensionato, brontolava su una pila di giornali. Dato che non aveva voglia di compagnia si avviò zoppicando verso la scala – non abbastanza in fretta, però. Theo si era accorto di lui.

«Ehilà, che hai fatto alla faccia?» gridò.

«Quell’altro è conciato peggio» tagliò corto Emmerich continuando a camminare.

«Sei andato da Peppi?».

«Sì, stamattina. Resiste, è coraggioso». Emmerich aveva appena teso la mano verso il corrimano della scala quando Theo gli corse dietro.

«Non è che ci aiuti?» chiese. «Volevamo leggere che dicevano i giornali su questo caso». Arrossì. «Solo che Ludwig è in infermeria, non sta per niente bene. E io e i ragazzi…» ritentò, «noi…».

Emmerich capì. «Neanch’io sono un granché» tentò di svicolare, ma Theo lo guardò così supplichevole che non riuscì a dirgli di no. «E va bene. Ma solo cinque minuti». Era così scosso dall’aver intravisto Luise e i bambini che di certo non sarebbe riuscito a dormire.

«Che ci fa lo sbirro qui?» mormorò un tizio pallido dallo sguardo cupo. Fulminò Emmerich non appena questi mise piede nella stanza.

«Chiudi il becco» replicò Theo. «Sta dando una mano a tirare Peppi fuori di prigione».

«Certo, come no. Di sicuro vuole solo impicciarsi degli affari nostri per scoprire se uno di noi viola la legge. Sempre coi poveri se la prendono. Ecco come funziona il sistema». Sollevò in aria una copia dell’Illustrierte Kronen-Zeitung e indicò una foto. Mostrava Peppi che guardava terrorizzato verso la macchina fotografica. «Possiamo già iniziare a fare una colletta per il suo funerale».

«Non se dipende da me». Emmerich si accese ostentatamente una sigaretta, prese il giornale untuoso e scorse rapido il testo.

«Che c’è scritto?».

«Non molto. Il pubblico ministero sta preparando il processo. Vuole formulare l’accusa al più presto».

«E qui invece?». Theo gli porse un ritaglio dal Reichspost.

Emmerich strinse gli occhi. «Scrivono che il consigliere Otto Völzer si occuperà dell’agenda di Fürst finché non sarà nominato un sostituto».

«’Fanculo» imprecò uno degli uomini, un tizio bassetto con dei baffetti ispidi. «Quella merda di Völzer, il più grande stronzo da qui a Trieste. Uno che trova da ridire su tutto. Quel cazzo di ospizio non verrà mai costruito».

«Ve l’ho detto» si intromise il tizio pallido. «A rimetterci sono sempre i poveracci».

«Che ospizio?». Era la prima volta che Emmerich ne sentiva parlare.

«Fürst voleva costruire un ospizio, giù nel bosco a Laa. Una sorta di casa per i matti». L’uomo fece ruotare l’indice accanto alla tempia.

«E tu che ne sai?».

«Me l’ha detto Schiller. Quello che ha la giostra delle bici al Böhmischer Prater. Ha origliato due tizi che stavano facendo un sopralluogo al terreno».

«Esiste ancora il Böhmischer Prater? Pensavo che la guerra l’avesse fatto fuori».

«L’erba cattiva non muore mai. Schiller e compari vogliono rimetterlo in piedi».

«E dove dovrebbero costruirlo di preciso, questo ospizio?».

«C’è una radura, proprio in fondo al terreno. Era lì che Fürst voleva costruire. E Schiller era tutto contento. Diceva che ci sarebbe stato un bel po’ di materiale per il gabinetto dei mostri. Bastava andare lì e raccoglierne un paio».

Alcuni dei presenti risero, gli altri lo guardarono con rabbia.

«E pure quelli del circo se ne sono dovuti andare. Hanno dovuto levare le tende, perché il terreno serviva per l’ospizio. Meno concorrenza per Schiller. Ma adesso ci penserà Völzer a mandare tutto all’aria. Non sborserà mai nemmeno un centesimo per i matti. A quello dei poveracci non gliene frega niente. Schiller si incazzerà di brutto».

«Però quelli del circo saranno felici» considerò Emmerich a voce alta. «Bella la storia che tutti amavano Fürst e nessuno aveva un movente per ucciderlo. Tu lo sapevi?» chiese rivolgendosi a Theo.

«No» disse questi e mollò un bel ceffone sulla nuca del tizio con i baffi ispidi. «Il povero Peppi è finito in prigione, innocente, e tu, brutto cretino, sai di un possibile movente e non dici niente».

L’uomo impallidì e si diede una botta in fronte. «Mica ci avevo pensato!».

«Il Signore ti ha messo la paglia nella capoccia, giusto per non farti cascare gli occhi dentro la testa» brontolò quello che ce l’aveva col sistema.

Emmerich si alzò. «C’è qualcun altro che sa qualcosa e magari vorrebbe dirmela?».

Gli uomini ci pensarono un po’ su, ma nessuno riuscì a tirare fuori altre informazioni utili.

«Quand’è così…». Emmerich guardò il grande orologio a pendolo che ticchettava in fondo alla stanza. Erano da poco passate le tre. Aveva a disposizione abbastanza tempo per cambiarsi e fare un salto al Böhmischer Prater prima di andare al Rote Bretze. «Devo andare».

Fece per incamminarsi quando gli arrivò all’orecchio un gemito. Proveniva da una poltrona logora accanto alla porta. Vi era seduto un vecchio dalle guance scavate ricoperte da spuntoni di barba bianca. Il mento ossuto era sprofondato nel bavero della giacca.

«Che hai? Stai male?».

«Sento guai nell’aria» sussurrò facendo schioccare le labbra flaccide. «Riesco a sentirne il sapore». Tirò fuori la lingua e diede una leccatina all’aria.

Emmerich si strinse nelle spalle. «Uh, sai che novità» disse, e uscì dalla stanza.