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Nella penombra del pronto soccorso dell’Ospedale generale c’erano una serie di barelle con uomini, in parte bendati, che si lamentavano dal dolore.

Emmerich ignorò la confusione e li oltrepassò di gran carriera.

«Neanche per idea» gridò l’infermiera al bancone. «Non è orario di visita e, se anche lo fosse, non la farei certo entrare conciato così».

In effetti l’incursione lungo il tunnel e la breve visita al macello avevano lasciato il segno. I vestiti di Emmerich erano pieni di polvere e ragnatele, e le scarpe sporche di sangue. «Sono della polizia». Esibì il distintivo. «E avrei bisogno di vedere il signor…». Solo in quel momento si rese conto di non conoscere il cognome del suo coinquilino al pensionato. «L’uomo che sto cercando è arrivato martedì sera con l’ambulanza. Si chiama Ludwig».

«Polizia?». L’infermiera squadrò il distintivo e poi passò un dito sul mantello di Emmerich. «State indagando su qualche affare particolarmente sporco, si direbbe». Rise alla sua stessa battuta.

«Sarebbe così gentile da dirmi dove posso trovarlo?».

L’infermiera prese una pila di cartelle cliniche e le sfogliò. «Luwig Jankowsky? Dal pensionato di Meldemannstraße? È nel reparto sifilide, tra il padiglione 3 e il padiglione 5. Primo piano, stanza numero 8. E cerchi di non toccare niente. Di norma non potrei neanche farla entrare in ospedale, con degli abiti così conciati».

«“Di norma” purtroppo non so neppure cosa voglia dire» replicò Emmerich facendo un occhiolino alla donna, che sorrise.

«I padiglioni 3 e 5 sono da quella parte, in fondo» gli spiegò.

«Pensavo ci stessero i matti, laggiù».

«Anche. Matti e malati di sifilide. Ci sarà pure un motivo per cui certa gente viene tenuta il più lontano possibile dagli altri».

«Perché la società è intollerante?».

«No, perché quelli sono pericolosi».

Emmerich pensò ai compagni di sventura del pensionato di Meldemannstraße, agli artisti del Böhmischer Prater e alle prostitute del Salon Flora. Anche loro venivano considerati pericolosi, come deleteri per il decoro e la virtù, il buon gusto o la morale pubblica. Anche loro ogni tanto venivano banditi, relegati in periferia, istituti sociali o in galera. «Sciocchezze» disse, e se ne andò senza neppure salutare.

Era un bene che Winter non fosse lì, pensò Emmerich entrando nel reparto sifilide. I grandi ospedali pubblici di Vienna non erano posti per animi sensibili, e sicuramente non per quelli che avevano il terrore di virus e bacilli.

Si diresse al reparto accompagnato da un concerto di colpi di tosse, rantoli e flebili lamenti. Quando aprì l’alta porta a battenti contrassegnata dal numero 8 fu avvolto da una nube di vapore umido, un misto di sudore e putrefazione.

La sifilide era una malattia fortemente stigmatizzata. La lebbra del XX secolo. Al contrario di altre malattie veniva spesso associata a degenerazione e depravazione, e chi ne soffriva era bersaglio di disprezzo e ribrezzo.

Emmerich ricacciò indietro tutti gli scrupoli ed entrò in uno dei tanti stanzoni rettangolari: soffitto alto, piastrelle alle pareti, pavimento in legno scuro e due file di venti letti per parte, da cui si levavano gemiti e ronfi. I letti erano così vicini tra loro che a separarli c’era solo un piccolo comodino. Nel mezzo dello stanzone si trovava un grosso tavolo con ogni sorta di flaconcini di medicine e attrezzature mediche.

Con cautela Emmerich si addentrò tra i letti e osservò le figure smagrite dei pazienti. Erano pieni di rughe e butterati, segnati dalla vita e dalle malattie. Alcuni dormivano, altri lo guardavano assenti. In fondo a destra individuò finalmente un volto conosciuto. «Ludwig».

Il suo compagno di pensionato era pallido ed emaciato, quasi come se gli avessero spremuto via tutta l’energia vitale, fino all’ultima goccia.

«Come va?».

«Emmerich». Un sorriso si dipinse sul volto dell’ammalato, che si sforzò di mettersi seduto. «Questa sì che è una sorpresa». Ludwig lo guardò sollevando le sopracciglia e mutò espressione, passando dal felice al preoccupato. «È successo qualcosa?».

«È una lunga storia. Per farla breve: ho bisogno del tuo aiuto». Emmerich si guardò intorno in cerca di una sedia, ma non avendola trovata optò per il letto. «È per come viene rappresentata la misericordia… una donna con un vestito rosso. Hai presente?».

Ludwig tossì e annuì. «Ma certo, è un’allegoria… l’emblema della Misericordiae Vultus».

«E invece, quando tra le mani regge una spada?». Emmerich tirò fuori il taccuino in pelle.

L’espressione sul volto di Ludwig si raggelò. Con le mani ricoperte di croste prese il taccuino, ne accarezzò l’incisione e rabbrividì. «Dove l’hai trovato?» chiese aprendolo.

«Insomma, chiudete il becco. Voglio dormire, io» sbraitò il tizio nel letto di fronte.

«Appena muori puoi dormire quanto ti pare» replicò sgarbato Emmerich rivolgendosi poi di nuovo a Ludwig che con mani tremanti stava sfogliando il taccuino. «Saresti capace di tradurlo?».

«Certo, ma ci vorrà un po’ di tempo. Non sono più veloce come un tempo. Dove l’hai trovato?» chiese di nuovo, con sguardo così limpido e attento come Emmerich non gli aveva mai visto.

«Da Ignatius Častolowitz, il direttore del museo di storia militare».

«Da lui personalmente? O faceva parte della collezione?».

«Direi la prima».

Ludwig girò e rigirò il taccuino, come se si trattasse di un oggetto assurdo. «Bellum gerere cum homines nihilum» lesse il titolo ad alta voce, inspirò profondamente e poi espirò a denti stretti. «Porca miseria» mormorò. «Esiste davvero».

«Chi? Che cosa esiste davvero? Non tenermi sulle spine» lo incalzò Emmerich.

«Sì, infatti. Sputa il rospo» gridò il tizio di fronte senza dissimulare il sarcasmo. «Siam tutti qui che moriamo dalla voglia di sapere».

Emmerich cercò un paravento o una tenda, qualcosa da frapporre tra i due letti per garantirsi un po’ di privacy. Ma niente. «Chètati» disse, poi si rivolse di nuovo a Ludwig. «Di che parli?» mormorò.

«Gli eliminatori». Disse solo quelle due parole, ma il tono della sua voce bastò a far correre un brivido gelido lungo la schiena di Emmerich.

«Gli eliminatori?» ripeté.

Ludwig si guardò in giro e poi si sporse verso Emmerich, fin quasi a toccargli l’orecchio con le labbra. «Ufficialmente si chiamano Misericordiae Nuntius, i latori della misericordia. E vogliono sbarazzarsi di quelli come noi» sussurrò.

«Cioè?». Emmerich, che non aveva capito niente di niente, aggrottò la fronte. «Devi spiegarmi meglio. Quelli come noi? Intendi i malati di sifilide? E perché? Non fate male a nessuno…».

«Secondo loro, sì». Ludwig si lasciò ricadere sul cuscino. «Bellum gerere cum homines nihilum… ovvero, letteralmente: muovere guerra agli uomini indegni. Cioè, quelli come noi: i malati di sifilide, i nevrotici di guerra, minorati, alcolizzati, drogati di oppio, morfina e cocaina, puttane… insomma, tutti i deboli, i degenerati e i pervertiti».

Emmerich si guardò intorno. Che razza di minaccia poteva costituire un mucchio di uomini sfiniti? A chi facevano del male le prostitute? O i nevrotici di guerra? «Continuo a non capire».

«Quelli della Misericordiae Nuntius pensano che la pace non durerà. Credono che sia solo questione di tempo prima che scoppi la prossima, grande guerra. Se non subito, tra un paio di anni».

Emmerich pensò al fallito Putsch nel Reich tedesco, ai suoi connazionali e alla loro nostalgia di tornare a essere una potenza mondiale, agli oltraggi subiti dall’Intesa e ai continui disordini sociali. Pensò alle milizie civiche e alla instabilità politica dell’Europa, e dovette ammettere che la possibilità di un nuovo incendio mondiale non era per nulla irrealistica. «Continua».

«Molti dei nostri sono morti in guerra. Oltre un milione».

«Di più» disse il tizio di fronte. Stavolta la voce era sgombra da qualunque tono aggressivo o derisorio.

«I migliori soldati, quelli più forti, sono stati impegnati già nel 1914. L’imperatore era convinto che sarebbe stata una cosa breve. Ma, come sappiamo tutti, è andata diversamente. A un certo punto hanno dovuto chiamare alle armi la seconda scelta, poi la terza e così via. Alla fine gli unici a essere risparmiati sono stati i vecchi, i deboli e i malati».

Pian piano Emmerich cominciò a intuire cosa intendesse Ludwig e tutto il suo corpo, dalla testa ai piedi, vene ricoperto dalla pelle d’oca. «Quando finalmente è finita, la guerra si era ormai mangiata gli uomini migliori, o li aveva danneggiati in modo irreparabile».

«E se scoppia un’altra guerra non potremo opporre alcuna resistenza al nemico».

«Ed è per questo che l’associazione dei Nuntius vuole ripulire la popolazione» concluse Emmerich ad alta voce. «Vuole fare fuori deboli, degenerati e malati inguaribili in modo che le poche risorse rimaste vadano a beneficio di quelli che sono ancora arruolabili o perlomeno possono ridiventarlo». La verità lo colpì come un pugno in faccia.

«Esattamente». La voce di Ludwig era velata. «Ho sentito dire che era in corso una cosa del genere in Germania, ma non avrei mai pensato che “gli eliminatori” potessero prendere piede anche qui».

«Siamo troppi. Non possono mica ammazzarci tutti» disse l’uomo dal letto di fronte. Ma era chiaro che mirava innanzitutto a tranquillizzare se stesso.

«Non devono, in fondo» disse Emmerich amaramente. «Devono solo mettere fuori combattimento le persone che continuano a fornire cibo, vestiti, alloggio e medicine agli “inutili”. Al resto poi ci pensa la natura».

Ludwig si portò una mano alla bocca. «E così il consigliere Fürst…» mormorò.

«Già. Peppi è innocente. È stato Častolowitz, il generale in persona». Emmerich si sentì invadere dalla furia. Dopo aver serrato le mani a pugno afferrò il taccuino. «Ma che cos’ha a che fare tutto questo con… con l’altra associazione? Quella della donna senza spada?».

«Tutto e niente. Misericordiae Vultus e Misericordiae Nuntius hanno lo stesso obiettivo: vogliono che la popolazione austriaca torni a essere forte, sana e combattiva. Per far sì che questo accada, però, hanno scelto di seguire due strade diametralmente opposte. La Misericordia Vultus ha scelto la via morbida, cercando di recuperare le persone in grado di difendere la patria garantendo loro buon cibo, alloggi puliti e vaccinazioni. Rivendicano istruzione e decoro per tutti, prevenzione dalle epidemie e riabilitazione».

«Ma per Častolowitz tutto questo era poco fruttuoso e soprattutto troppo poco rapido. È diventato impaziente, voleva vedere risultati e quindi ha scelto la via più radicale. Quella della violenza. Quella della spada». Emmerich affondò le dita nella morbida pelle della copertina. «Qui dentro devono essere indicati i nomi degli altri membri dell’associazione. Maledetti porci». Sfogliò le pagine. «Ecco, mi sa che ho trovato un elenco». Indicò una lista di nomi. «David Jordan, Karl Ludwig Schemann, Thomas Malthus, Albert Schäffle, Ernst Hackel, Alfred Ploetz, Wilhelm Schallmayer, Alfred Hoche, Karl Binding. Così tanti. Mi viene da vomitare». Continuò a sfogliare. «Visiones et consilii pro patria melior».

«Visioni e progetti per una patria migliore» tradusse Ludwig prendendogli il taccuino. «Penso di riuscire a tradurre il grosso entro oggi. È vero, sono debole, ma se posso dare una mano a denunciare questi maledetti eliminatori ci metto anche l’ultimo briciolo di forza».

«Io il latino non lo so, però so scrivere» gridò l’uomo di fronte.

«E io pure…» gemette quello nel letto accanto.

Emmerich sarebbe rimasto volentieri, però Brühl di sicuro si era inventato qualche altra vessazione e non voleva lasciare Winter a sbrigarsela da solo.

«Mi raccomando, state attenti al taccuino» li ammonì. «Non perdetelo mai di vista. Da lui dipendono molte vite, forse anche le vostre».

Gli uomini annuirono seri, la determinazione stampata in volto.

«Torno prima che posso. Conto su di voi». A queste parole Emmerich si affrettò verso l’uscita.

Mentre percorreva a ritroso i vari padiglioni lasciò sedimentare quello che aveva appena appreso. Častolowitz era ancora più pericoloso e privo di scrupoli di quanto avesse immaginato e poi c’erano anche i vari Jordan, Schemann, Malthus, Schäffle, Hackel, Ploetz, Schallmayer, Hoche e Binding. I loro nomi si erano come marchiati a fuoco nella sua mente. Infami bastardi. Li avrebbe fermati, a qualunque costo.