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Emmerich girò con cautela il pomello e aprì la porta di uno spiraglio. La prima cosa che vide fu la faccia di Winter, che lo osservava a occhi sgranati. La seconda, invece, fu la canna della pistola che premeva contro la tempia del suo assistente.

A impugnare l’arma era Ignatius Častolowitz in persona. «Finalmente è arrivato. L’aspettavamo. Dov’è il manifesto?» chiese. Ma Emmerich lo ignorò.

La sua attenzione era tutta rivolta a Winter, che era ripiegato su se stesso, la bocca tappata da un bavaglio. «Stai bene? Tutto a posto?».

Winter annuì, ma non ci voleva molto a capire che stava soffrendo come un cane.

«Dov’è il manifesto?» ripeté Častolowitz.

«Lasciatelo entrare».

Quando Emmerich riconobbe la voce gli mancò il fiato. Spalancò la porta e sbuffò. Accanto a Častolowitz c’era nientepopodimeno che Otto Völzer.

«Maledizione» gli sfuggì. «Non si sarà mica fatto infinocchiare? È davvero così ingenuo e stupido? Dopo tutto quello di cui voleva accusarla?».

Völzer sbottò. «Stupido? Io? Lei, piuttosto!». Si alzò, disarmò Emmerich e si sedette di nuovo.

Emmerich strinse le labbra, furibondo. Non ricordava quand’era stata l’ultima volta che si era sentito così furioso. Nemmeno Brühl era stato in grado di scatenargli un tale disgusto. Se avesse potuto avrebbe ammazzato di botte Völzer con le sue stesse mani. «Anche lei è uno di loro, allora».

In quel momento un’altra persona uscì dall’ombra. Ci volle qualche istante perché Emmerich riuscisse a digerire lo shock e chiudere la bocca.

«Lei?» chiese. Gli tremava la voce. «Come… com’è possibile?».

Völzer rise di nuovo, stavolta ancor più fragorosamente. «È evidente che lei non conosce il latino. Mi sono dovuto mordere la lingua, quando è piombato in casa mia sostenendo che Jordan, Schemann e tutti gli altri facessero parte della Misericordiae Nuntius». Era piegato in due dalle risate. «E poi, quando ha detto che il signor Častolowitz voleva imputare a me la responsabilità degli omicidi… e mi ha restituito il gemello…».

Emmerich non badò minimamente a Völzer. «Da lei non me lo sarei mai aspettato». Sul volto gli si dipinse una smorfia di puro odio.

Davanti a lui c’era Gustav Bahrfeldt. Anche lui era uno di loro. Uno degli eliminatori.

«Jordan e gli altri sono scienziati che hanno affrontato il tema della selezione umana, e hanno scritto alcuni saggi sull’argomento» spiegò il medico.

«E poi il viaggio in macchina fin qui…». Völzer non ne voleva proprio sapere di smetterla. «Era così nervoso che non si è neppure accorto che stavo soltanto cercando di scoprire dove fosse il taccuino. Purtroppo non ci sono riuscito».

«Ora basta!» gli ordinò Častolowitz rivolgendosi poi a Emmerich. «Conto fino a tre» disse. «E se a quel punto non mi avrà detto dov’è il manifesto il suo amico si becca una bella pallottola in testa. Uno…».

«È al sicuro». Emmerich sollevò le mani, come a difendersi. «E se dovesse capitare qualcosa a me o al signor Winter, verrà consegnato ai nostri colleghi».

«Due…».

«Aspetti!». Stavolta era stato Bahrfeldt a intervenire. «Mi lasci parlare con lui».

«Non servirà a niente. Ne abbiamo già discusso. Non riuscirà a convincerlo».

«Mi ci faccia almeno provare».

Častolowitz sbuffò e abbassò l’arma.

«Lei ha servito la patria». Bahrfeldt si rivolse a Emmerich. «È un uomo del popolo. Mi lasci spiegare le nostre motivazioni, e vedrà che capirà perché certe misure sono necessarie».

«Misure?». Emmerich aggrottò la fronte sbuffando. Avrebbe soltanto voluto sputare in faccia a quell’ipocrita del dottore. Bahrfeldt, il bravo, stimato medico. Ancor più che per i due omicidi e il suo rivoltante bagaglio ideologico lo odiava per averlo abbagliato con la sua clinica e tutte le ciance filantropiche. «Maled…» iniziò, poi uno sguardo a Winter lo riportò a più miti consigli.

«Come di certo saprà, la guerra si è portata via i nostri uomini migliori». Bahrfeldt parlava con voce dolce e profonda. Parole di velluto, morbide e calde, per confondere il suo interlocutore, stregarlo e domarlo. «Lei c’era. L’ha vissuto sulla sua pelle. Solo i più coraggiosi, i più sani, i più idonei sono stati arruolati. I deboli rimasti a casa sono stati risparmiati. E in questo modo la popolazione si è indebolita e rammollita».

«E quindi?» disse Emmerich. «Era così anche in passato. Non è la prima guerra che abbiamo combattuto, ma la nostra nazione in qualche modo si è sempre ripresa».

«Questo è vero, ma prima ci pensava la natura a fare la contro-selezione. Con carestie e pestilenze, che eliminavano deboli e malati, risanando così la popolazione. Cosa che continua a fare, ma oggigiorno per mezzo della medicina moderna e delle politiche sociali gli uomini tentano di interferire in questo meccanismo di regolazione».

«E non è nel loro pieno diritto ribellarsi?» lo interruppe Emmerich. «La gente non dovrà mica subire in silenzio tutto ciò che il destino gli vomita addosso!».

«Rifiutarsi di riconoscere la volontà della natura ci manderà tutti in rovina. Bisognerà aspettare solo la prossima guerra per accorgersene, questo è ormai chiaro. Se nel frattempo la popolazione non sarà riuscita a rafforzarsi non avremo la benché minima possibilità. E allora tutti i sacrifici fatti da lei e dai suoi compagni d’arme sui campi di battaglia saranno stati inutili. È questo che desidera?».

Emmerich non rispose. «Non le è mai venuto in mente che anche negli altri stati succede la stessa cosa? Crede che siamo gli unici ad aver perso gli uomini migliori? Tutti sono morti come mosche, anche gli italiani, i francesi, i britannici, i russi… La morte non tiene conto della nazionalità».

«Bah» sbuffò Častolowitz. «E a lei non è mai venuto in mente di opporsi al trattato che ci hanno imposto le potenze vincitrici? Si sono prese tutto: la Boemia, la Moravia, la Slesia, l’Alto Adige, l’Istria… Ci hanno trattati come una dispensa da cui servirsi a piacimento. Come una puttana da scoparsi a turno. E in più le riparazioni di guerra, l’abolizione della leva obbligatoria, la distruzione della nostra industria degli armamenti, tanto per citare un paio di cosette. Mentre si risollevano con i nostri soldi e i nostri possedimenti, tentano di indebolirci sempre di più. E non appena saranno abbastanza forti faranno di noi un solo boccone». La sua voce tonante di rabbia riempiva la stanza. «Ci sottometteranno, ci asserviranno e alla fine ci assimileranno. Si prenderanno le nostre donne, le nostre materie prime e anche il nostro orgoglio. Se non agiamo adesso, se non prendiamo qualche contromisura non ci sarà più nulla che potremo fare. È questo che vuole?».

«No, ovviamente no…».

Ma Častolowitz non aveva ancora finito. «Vuole prendere ordini dai mangiaspaghetti?» gridava. «Vuole dividere la sua donna con i mangialumache? Finire a servire i turchi? Leccare gli stivali ai russi?».

«No, ovviamente no…» ripeté Emmerich.

Bahrfeldt sorrise. «Vede» disse. «Ed è proprio per questo che bisogna liberarsi di tutti i ritardati mentali, degli alcolizzati, dei moribondi, dei malati contagiosi, dei sottosviluppati, di prostitute, criminali, psicotici e ogni sorta di stravaganti. Sono il nemico interno. Indeboliscono la società. Per avere un orto produttivo bisogna estirpare le erbacce».

«Quando tutte quelle miserabili canaglie la smetteranno di affollare ospedali, prigioni e ospizi lo stato avrà più risorse per aiutare quelli che se lo saranno davvero meritato» rincarò la dose Častolowitz. Aveva il volto paonazzo, il naso imperlato di sudore. «Prenda lei come esempio: lei è un uomo volitivo e intelligente. Un’operazione e poi la giusta riabilitazione potrebbero salvarle la gamba e metterla di nuovo in condizione di combattere per il nostro Paese. Ma ha sperimentato sulla sua pelle che lo stato non ha i soldi per curarla».

A Emmerich girava la testa per tutte quelle parole. «Ma non potete essere voi a decidere chi può vivere e chi deve morire. Quella gente, quelle miserabili canaglie, come le chiama lei, molti di loro magari non saranno particolarmente forti o furbi, ma hanno altri talenti che potrebbero comunque risultare utili al nostro Paese».

«Gliel’avevo detto che non avrebbe capito» constatò Völzer alzando gli occhi a cielo.

«Aspetti un attimo» replicò Bahrfeldt rivolgendosi di nuovo a Emmerich. «Forse potremmo concludere un accordo». Lo guardò insistente. «Potremmo trovare una soluzione che accontenti tutti».

«E lei crede che sia tipo da rispettare gli accordi?» gridò Völzer.

«Le daremo soldi, molti soldi. In cambio del suo silenzio» propose Bahrfeldt. «E io le garantisco un posto nella clinica di riabilitazione».

Winter si agitò e cercò di sputare il bavaglio. «La salvi…».

«Salvare chi?» chiese Emmerich.

Častolowitz gli rificcò il bavaglio in bocca con tale foga che gli spaccò il labbro facendogli schizzare il sangue sulla camicia. «Un’altra iniziativa del genere e finisci in fondo al Danubio». La minaccia fu accompagnata da uno schiaffo. «Non te l’ha insegnata nessuno, l’obbedienza?». E dopo aver caricato di nuovo gli diede un pugno sulla tempia.

«Basta, basta!» ringhiò Emmerich nel vedere il suo assistente ormai privo di sensi. «Può comprarsi il manifesto e il nostro silenzio. Tanto, non abbiamo altra scelta, no?».

Bahrfeldt annuì. «Molto ragionevole» disse in tono paterno. «Lo sapevo che avrebbe capito».

«Ma che diavolo…?». Völzer si prese la testa tra le mani. «Davvero gli credete? Siete diventati matti? Sta mentendo. Direbbe qualsiasi cosa pur di salvare la pelle». Incrociò le braccia. «Io dico di farli fuori. Qui e subito. Altrimenti il manifesto non ha alcun senso».

«Forse non ci può far finire dietro le sbarre, ma se la nostra missione diventa di pubblico dominio certamente ci saranno delle difficoltà» replicò Častolowitz. «Il popolo non è ancora pronto alla nostra ideologia rivoluzionaria. Anche di questo abbiamo già parlato».

«Il popolo è più avanti di quel che pensiamo» disse Völzer caparbio.

«La smetta, una buona volta» lo rimbeccò Bahrfeldt. «Se non avesse combinato quel disastro con la Abele adesso non ci troveremmo in questa situazione incresciosa».

«Fa presto a parlare, lei. Eliminare Fürst è stato molto più semplice».

«Forse ho semplicemente preparato meglio la cosa».

Dunque è così, pensò Emmerich. Si sono suddivisi gli omicidi: Bahrfeldt ha sparato a Fürst, e Völzer ha strangolato la Abele. E Častolowitz, chi aveva fatto fuori? O chi stava per ammazzare. La salvi… l’aveva implorato Winter.

«Siamo d’accordo, allora». Častolowitz tese la mano a Emmerich. «Lei adesso va a prendere il taccuino e noi in cambio le diamo il suo assistente e un bel po’ di soldi. Va bene?».

Era ovviamente una sceneggiata, Emmerich non aveva alcun dubbio. Forse Bahrfeldt intendeva davvero ciò che diceva, ma Častolowitz e Völzer non si sarebbero mai attenuti a quell’accordo. Una volta recuperato il taccuino avrebbero fatto fuori sia lui che Winter. Cadaveri senza nome in una tomba anonima o, ancor peggio, nomi annotati nel registro delle persone scomparse.

Doveva farsi venire in mente qualcosa ma gli serviva tempo, almeno un paio d’ore. «E va bene… è solo che… il taccuino… non posso portarvelo subito. La persona a cui l’ho affidato è un venditore ambulante e non tornerà prima di sera».

Častolowitz ci pensò su. «Bene» disse alla fine. Poi si rivolse a Völzer. «Vada a chiamarmi Seebold!».

Völzer sparì e tornò poco dopo in compagnia del pelato, che fulminò Emmerich.

«Torniamo stasera, nel frattempo non perderlo di vista» gli ordinò Častolowitz. «Assicurati che non faccia sciocchezze e stagli alle costole».

«Può fidarsi di me» obiettò Emmerich.

«Da soldato a soldato. Da uomo d’onore a uomo d’onore». Častolowitz tese nuovamente la mano a Emmerich, che nello stringerla disse: «Affare fatto».

 

Sulla piazza antistante il museo Emmerich si pulì la mano strofinandola sui pantaloni. Uomo d’onore… ma figuriamoci! Si accese una sigaretta e sperò in un’idea illuminante. Che cosa poteva fare?

Lanciò un’occhiataccia a Seebold che gli stava alle calcagna. «Deve proprio starmi così addosso? Le ha detto di non perdermi di vista, non di starmi appiccicato al culo».

Seebold mormorò qualcosa di incomprensibile e arretrò di un paio di passi.

Emmerich prese un lungo tiro dalla sigaretta e si avviò lentamente a piedi verso l’edificio della cittadella. Poi affrettò un po’ il passo, in modo da aumentare la distanza tra sé e il suo pedinatore. Quando raggiunse la macchina di Völzer gettò via la sigaretta, saltò a bordo e girò la chiave, che era davvero ancora infilata nel quadro.

Seebold arrivò di corsa, imprecando. Si tuffò sulla maniglia della portiera, ma Emmerich non si fece distrarre. Ingranò la marcia, premette sull’acceleratore e filò a tutta velocità verso Ghegastraße trascinando Seebold per un paio di metri, finché questi non si arrese, lasciò la maniglia e finì lungo sull’asfalto lanciando improperi.

Emmerich sporse la mano dal finestrino, fece un gestaccio e sfrecciò via.

Senza davvero godersi il fatto di trovarsi al volante di un simile gioiellino Emmerich percorse in lungo e in largo la città, senza meta. Si sentiva terribilmente in colpa e non riusciva a pensare lucidamente. Se solo si fosse attenuto alle regole, lui e Winter adesso non si sarebbero trovati in quella situazione. Meglio lavorare come dattilografe fino alla fine dei loro giorni, piuttosto che morire prima del tramonto.

Doveva escogitare un piano, elaborare una strategia per salvare Winter e sbattere in galera gli eliminatori. Ma come? Che cosa poteva inventarsi?

Častolowitz, Völzer e Bahrfeldt avevano soldi, potere e prestigio. Lui, niente di tutto ciò. Come avrebbe mai potuto avere la meglio su quei tre e liberare Winter dalle loro grinfie? Come poteva produrre prove inoppugnabili? Prove ancora più evidenti di un malevolo manifesto?

Servivano indizi a prova di bomba per dimostrare che la Misericordiae Nuntius era coinvolta negli omicidi di Fürst e della Abele. Non potevano restare impuniti. Non dovevano avere la possibilità di reclutare nuovi membri né tantomeno di proseguire con i loro atti scellerati.

Imboccò il quarto e ultimo viale del Ring. Il vento gli frustava il viso, ma la cosa non lo disturbava: il freddo lo aiutava a pensare in maniera più lucida. Gli serviva un’idea, un’intuizione, un colpo di genio. La vita di Winter, la sua e quella di altre migliaia di bisognosi dipendevano da lui.

Nonostante avesse la precedenza, Emmerich inchiodò nel bel mezzo dell’incrocio davanti al teatro dell’Opera. Qualcosa aveva catturato la sua attenzione.

Dietro di lui un cocchiere non la finiva più di inanellare improperi irripetibili, ma Emmerich non gli badò. Che cos’era? Che cosa, in quella scena, esigeva di essere osservato più attentamente? Il teatro dell’Opera? Il grosso orologio pubblico a forma di poliedro? Uno dei tanti passanti che si affrettavano sull’acciottolato?

Alla valanga di insulti si unì il cocchiere di una vettura a noleggio e, a seguire, la tromba di una macchina.

«Va bene, va bene, ho capito» gridò Emmerich. E poi finalmente arrivò l’illuminazione: Rita Haidrich. Enorme e raggiante gli sorrideva da una colonna per le affissioni.

Pensò al lunedì, a quando era piombata in commissariato in preda alla disperazione, e lui aveva ricevuto ordine di spezzare la presunta maledizione gettata sul suo ultimo film. Quanto si era arrabbiato pensando al suo lavoro, quanto si era infastidito per quello stupido incarico. Ah, se solo avesse saputo apprezzare quanto era bella la sua vita e quanto inutile tutta quella rabbia, quanto fossero misere quelle preoccupazioni. Che ironia che adesso il destino glielo sbattesse in faccia così, proprio lì e in quel momento.

Mentre gli insulti al suo indirizzo erano un crescendo, nello specchietto retrovisore Emmerich vide un vigile avvicinarsi minaccioso.

Fece per rimettere in moto, ma qualcosa continuava a tenergli il piede premuto sul freno e lo sguardo incollato al cartellone. Sogno di primavera, c’era scritto subito sotto il volto della Haidrich. Ballo di beneficenza in maschera a favore dei bambini rachitici. Con la partecipazione di tanti beniamini del pubblico, tombola e sorpresa di mezzanotte. Giovedì 25 marzo, ingresso a partire dalle ore 18.

Un ballo di beneficenza per i poveri orfani. La salvi… Ecco chi intendeva Winter: la Haidrich! Era lei la prossima vittima. Quella di cui si sarebbe occupato Častolowitz. Quel maiale aveva intenzione di ammazzarla poco prima o addirittura durante il gala.

Emmerich imprecò e si strofinò gli occhi. Proprio quando credeva di aver toccato il fondo il destino colpiva di nuovo. Oltre a tutte le altre vite, ora gli toccava salvare anche quella di Rita Haidrich.

Un attimo prima che il vigile lo raggiungesse Emmerich diede gas. Era ora di riscuotere un paio di favori.