L’oscurità aveva dispiegato le sue ali sulla città. Le persone perbene – o perlomeno quelle che si ritenevano tali – si erano ritirate nelle loro case lasciando il campo ai protagonisti della notte: le prostitute prendevano posizione agli angoli delle strade, i contrabbandieri decantavano le loro merci e bande di delinquenti si mettevano in cerca di qualche fonte di introito.
Ovunque i locali danzanti dalle insegne luminose invitavano a festeggiare e chi se lo poteva permettere si concedeva champagne, musica e belle donne.
La porta di uno di questi bar si aprì proprio nel momento in cui Emmerich ci passava davanti. L’aria satura di fumo che ne fuoriuscì portava con sé risate, canti e il suono di lingue straniere. Il buttafuori gli fece un cenno d’invito, ma Emmerich scosse la testa. Non aveva voglia di divertirsi, aveva la mente invasa da tutt’altri pensieri – Luise.
Negli ultimi giorni era passato e ripassato davanti al palazzo di casa sua, ma alla finestra non c’era mai stata una candela accesa. E neppure aveva rintracciato altri segni di vita, suoi o dei bambini.
Qualcosa non quadrava. E quella sera era fermamente deciso a scoprire che cosa.
Sgusciò dentro il portone, come sempre aperto, e si intrufolò nel palazzo. In silenzio, arma in pugno, risalì le scale. Le parole di Luise gli risuonavano in testa. Non so cosa gli abbiano fatto in Russia, ma credimi: Xaver è capace di tutto.
«Signor Emmerich?».
Si voltò. Alle sue spalle c’era la sua ex vicina, la signora Ganglberger. Sembrava sorpresa di vederlo, ma non dispiaciuta. Emmerich mise via la pistola in quattro e quattr’otto.
«Che ci fa qui?» chiese la donna.
«Volevo accertarmi che Luise e i bambini stessero bene».
La donna aggrottò la fronte e inclinò la testa. «Non capisco».
Emmerich si avvicinò al suo orecchio. «Volevo accertarmi che Luise e i bambini stessero bene» ripeté.
«Non sono mica sorda» sbraitò lei. «Intendevo dire che non ci sono. Sono andati via».
«Adesso? A quest’ora?».
«Oh, buon Dio!». La signora Ganglberger unì le mani davanti a sé. «Lei non sa, poverino».
«Cosa? Che cosa non so?». Il cuore prese a battergli furiosamente e avvertì un senso di vertigine.
«Be’, se ne sono andati. Tutti. L’altro ieri. Da un momento all’altro. Luise non voleva, ha puntato i piedi, ma quando Xaver decide tutti devono obbedire. Altrimenti…». Agitò le mani, come per prendere a schiaffi un invisibile dirimpettaio.
«E dove sono andati?».
Lei fece spallucce. «Pure Luise l’ha chiesto, ma Xaver ha detto che non erano affari suoi». Si toccò le braccia. «Ah, signor Emmerich, con lei quella povera donna stava tanto meglio. E anche quei poveri bimbi» aggiunse sospirando.
Emmerich non perse altro tempo. Salì di corsa l’ultimo paio di gradini e con la gamba sana prese a calci la porta finché la serratura non cedette.
In effetti tutti i mobili, i vestiti e gli effetti personali erano spariti. Restavano solo un paio di stracci e alcuni fogli di giornale appallottolati sul pavimento consunto.
«No» mormorò. «No». Non poteva essere vero. Dove li aveva portati Xaver? In un altro distretto, in un’altra città, in un altro paese? Che gli aveva fatto?
Si avvicinò alla finestra, le mani strette a pugno, e guardò fisso fuori. Si sentì invadere da una forza inedita. Non importava quel che avrebbe dovuto fare, dove sarebbe dovuto andare e quali mezzi avrebbe dovuto usare: avrebbe ritrovato la sua famiglia e spedito Xaver all’inferno.
Quella storia non era ancora finita.