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Il piano più alto del nostro studio legale era occupato da un unico ufficio, quello del Queen’s Counsel Rupert Stubbs.

Il suo ex socio, Aston Miller, anch’egli QC, era morto sette anni prima lasciandolo solo al timone, ormai settantunenne, ma sulla targa all’ingresso, quattro piani più in basso, erano rimasti entrambi i loro nomi.

Dopo aver conosciuto Zara avevo ripensato spesso ai miei primi giorni tra quelle mura; a distanza di decenni, Rupert aveva mantenuto l’identico pragmatismo e l’aspetto esteriore di quando mi aveva invitato a lavorare per lui. Era come se cercando di giocare d’anticipo sul processo di invecchiamento si fosse calato prima del tempo nei panni del gentiluomo anziano e maturo. Da quando lo conoscevo era sempre stato grigio e leccato, e tuttavia persino il mio fisico ingombrante rimpiccioliva, davanti alla grandezza della sua personalità e del suo intelletto. Sarebbe stato un genio in qualunque campo avesse scelto di applicarsi, ma come ausiliare della giustizia era sia feroce che giusto, uno dei migliori avvocati che io, l’unico ad avere avuto il privilegio di essere suo apprendista, avevo visto in azione.

Ricordo ancora le parole con cui aveva accolto me e i miei capelli arruffati nell’illustre ufficio al piano più alto, sogno proibito degli etoniani che si candidavano vanamente all’Inner Temple.

“Mai sedersi con la giacca abbottonata, ragazzo mio. Rovina il taglio.”

In seguito risi di quel giorno, ripensando alla mia giacca gessata extralarge, comprata per meno di due sterline all’Oxfam di Drury Lane. Ma in fin dei conti, di come mi vestivo non gli interessava affatto.

Il suo ufficio rimaneva una celebrazione concreta dell’avvocatura “all’antica”; laddove i miei scaffali erano disordinati e disseminati di Kafka, Dostoevskij e Dickens, i suoi erano organizzati e imponenti, con file di volumi accademici rilegati in pelle avvolte nel bagliore verde di una lampada Emeralite originale, accesa anche quando il sole illuminava il panorama di tetti fuori dalle finestre immacolate. Per anni Rupert aveva fumato la pipa, e l’odore legnoso del tabacco impregnava ancora la pelle delle poltrone e l’imponente scrivania di noce.

Quando entrai, una settimana dopo il colloquio improvvisato con Zara, Rupert Stubbs camminava avanti e indietro davanti alle finestre, spostandosi con la precisione di un pendolo grigio fra la parrucca di crine da avvocato, appoggiata al piedistallo in un angolo – la stessa di quando ci eravamo conosciuti – e, dalla parte opposta, quella da cerimonia alla Luigi XIV che indossava da quando lo avevano nominato giudice.

«Volevi vedermi, Rupert?»

Mi indicò di sedermi su una delle poltroncine senza sorridermi e andò a chiudere la porta.

«Il cappello» mi apostrofò, e lo levai. «Mi è giunta informazione che hai nominato Charles Stein tuo junior in quel processo per truffa, ma a condizione che prendesse una praticante, la quale riferisce direttamente a te.»

«È così» risposi, accomodandomi sul cuoio affumicato. Stein l’avevo scelto quasi a caso, poco importava che fosse lui o un altro; le regole vietano ai QC di avere praticanti e perciò, non potendo essere io a fare da mentore a Zara, avevo contattato il primo junior barrister dello studio che mi era venuto in mente e, offrendogli una fetta del gigantesco caso di truffa, lo avevo convinto ad arruolare la nuova arrivata.

«Sai bene che secondo le convenzioni un QC non può servirsi di un praticante, e non importa se stai sfruttando Stein come intermediario.»

«Ho mai sostenuto di essere un tipo convenzionale?»

Ancora nessun sorriso. «Ma almeno ricordi che di solito qui accettiamo i praticanti per votazione?»

Probabilmente, a giudicare dall’occhiata che mi lanciò, intuì il mio spavento: mi aveva appena assalito a sorpresa il ricordo di quando a scuola aspettavo le bacchettate. Dovetti ripetere a me stesso che le punizioni corporali erano state abolite da anni, e che ero almeno quattro volte più grosso di Rupert; ma sapevo per esperienza che non era poi un gran conforto. «Che cosa vinco se indovino chi si è lamentato?»

«Stavolta soltanto la maggioranza dei nostri juniors più anziani, la maggior parte dei quali è ancora in attesa di un praticante.»

«Sì, l’avevo immaginato.»

«Ti sarei grato se in futuro evitassi di minare l’autorità del nostro assistente Percy.» A forza di seguirlo con gli occhi avevo quasi le vertigini. «Mi dicono che questo sarà il suo terzo semestre. Significa che è disposta a seguire le cause da sola?»

«Più che disposta, ne sono certo. Ti piacerà, Rupert. Sembra sveglia. Entusiasta. Acuta.»

«Com’eri tu» rispose, sfiorando con la mano il driver da golf che teneva vicino alla scrivania insieme alle altre mazze, «eppure non c’è mai stato un tuo praticante che sia arrivato alla fine del tirocinio senza andarsene dallo studio o chiedere di cambiare supervisore. Anzi, sbaglio o un tuo ex tirocinante ha addirittura abbandonato la professione?»

Mi sforzai di non sorridere. «Io e il signorino Ainsworth non avevamo molto in comune. Inoltre, tecnicamente questa è la praticante di Stein, non mia.»

Scosse la testa. «Sei quasi un altro rispetto al ragazzo che ho tolto dalla strada, ma ogni volta che ne hai l’occasione giochi alla lotta di classe.»

Mi accorsi che mi stavo rosicchiando le unghie, un vizio che in sua presenza avevo sempre avuto.

«Ti sei mai vergognato delle mie origini, Rupert?»

«Non ho mai mentito una volta al tuo riguardo» rispose secco, sedendosi sul bordo della scrivania come avrebbe fatto uno molto più giovane e lisciandosi il bavero della giacca sportiva a quadretti. «Com’è andata la sua prima settimana?»

«Benissimo. Molto perspicace. Molto produttiva.»

Non era esattamente così.

I primi giorni, la mole dei documenti da analizzare per preparare il mio processo mi aveva assorbito al punto tale che con Zara non ci eravamo scambiati una parola; oltretutto, per buona parte della settimana si era dedicata al trasloco da Nottingham alla capitale, dove aveva trovato una stanza in affitto. A volte temevo di dovermi rimangiare una decisione così impulsiva – l’obbligo di condividere l’ufficio rianimava sgradevoli ricordi dei primi tempi, e la tensione del silenzio tra noi rischiava di diventare insopportabile –, ma il vero grande momento di imbarazzo era stato il pomeriggio del giorno precedente.

Mentre analizzava la contabilità del nostro assistito, Mr Kessler, Zara era incappata in un giorno in cui aveva emesso fatture per trenta ore complessive di consulenze professionali: una mossa particolarmente sbadata da parte del presunto imbroglione.

Lo avevamo invitato in studio per discuterne di persona, e lui, anziché attribuire l’inghippo a un errore di compilazione, come ci si sarebbe potuti aspettare – come io mi aspettavo – si era presentato con una specie di maschera artigianale di cartone, che si era infilato in testa stringendola con degli elastici.

Per capire che c’erano guai in vista mi era bastato veder spuntare dalla sua ventiquattrore quella che sembrava una scatola delle meraviglie ricavata da una confezione di cereali. Forse Zara lo scambiò per uno scherzo, tanto per rompere il ghiaccio.

Invece no.

Secondo il nostro cliente, il lungo pezzo di carta fissato in mezzo della maschera a mo’ di séparé tra gli occhi gli consentiva di leggere due documenti in simultanea. Kessler addirittura si vantava di aver letto per quindici ore con ciascun occhio, per un totale di trenta ore, e in quel momento mi ero reso conto che, dopo mesi di sfiancante preparazione, la mia tesi difensiva rischiava di andare a puttane.

«Benissimo» ripetei. «Sta andando davvero benissimo.»

«Ottimo. Mi fa piacere vederti collaborare con gli altri.» Rupert aggrottò le sopracciglia e sospirò. «Dio sa che ti potrebbe servire tutto l’aiuto possibile, se accetti questo…» Fino al momento in cui la prese non mi ero accorto della grossa busta imbottita sulla scrivania intonsa; se la strinse al petto, e non me la diede subito. «Ti è stato assegnato un nuovo caso.»

«E?» Non c’era niente di insolito. In teoria, dei casi di gratuito patrocinio si occupano soltanto i juniors coadiuvati dagli assistenti, ma se si tratta di questioni davvero serie, a venire interpellati sono un più esperto e qualificato Queen’s Counsel e un junior che lavora con lui. «Perché non l’ho avuto da Percy?»

Un altro sospiro, che evidenziò le borse intorno agli occhi turchesi; gli anni recenti di moderato lusso non erano bastati a lisciare le pieghe di una giovinezza rabbiosa, e ogni ruga meritava rispetto; quest’uomo si era davvero meritato il prestigio che aveva. «Elliot, la nostra amicizia impone che sia io a consigliarti, e intendo farlo con una richiesta molto precisa, che mai mi sono permesso di avanzare lavorando con te…»

Non aveva ancora smesso di stringere la busta.

«Cioè?»

Mi fulminò con uno sguardo, ma subito abbassò gli occhi. «Non accettare questo caso.»

Credevo di avere capito male. «Pardon? Perché no?»

«Sai bene che secondo il pubblico e i media noi non siamo mai imparziali. E io dubito che accostare il tuo nome a questo caso così poco tempo dopo essere diventato QC sarebbe una mossa saggia, specialmente se consideriamo i tuoi legami con il territorio.»

«Quali legami?» Sentivo la curiosità montare. «Di cosa si tratta, Rupert?»

«Di un processo per omicidio, inizio fissato tra due settimane all’Old Bailey.»

«Tra due settimane?»

Annuì. «Avevi sentito di quella ragazza del Nottinghamshire trovata morta lungo una ferrovia in disuso, qualche mese fa?»

Sembrava l’inizio di una brutta barzelletta. «Sì, lo ricordo vagamente.»

Certo che me lo ricordavo. Era successo a uno sputo dai luoghi della mia infanzia, il segreto che nel mondo degli avvocati avevo nascosto a tutti, escluso il mio mentore.

«Ne ho già fin sopra i capelli con il processo per truffa» risposi. «Perché mai dovrebbe interessarmi questo?»

«Per l’imputato.»

«Cioè?»

Finalmente si allungò a porgermi la busta, che era persino più pesante di quanto sembrava.

«Dice che vi conoscete.»

Strappai la linguetta e con una mano tirai fuori le carte mentre Rupert spiegava, riducendo la sua voce a poco più che un sussurro.

«L’avvocato istruttore ha già preparato una lettera di presentazione al carcere di Belmarsh per andare a parlare con l’imputato, lunedì mattina, se decidi di accettare il caso. A quanto ho capito, il cliente ha licenziato il suo legale precedente per avere te.»

«Due settimane prima del processo? Ma chi cavolo è?»

Stavo guardando il nastro bianco che teneva insieme il fascicolo e per un beato momento non riconobbi il nome sui fogli. Per qualche motivo, quando i giornali avevano annunciato il suo arresto, mi era sfuggito.

Dopotutto, io non lo avevo mai chiamato William.

A quel punto capii.

Per me, e per tutti quelli che lo avevano conosciuto, che avevano combattuto al suo fianco, che erano stati terrorizzati da lui, era sempre stato solo Billy, e adesso l’aveva fatta grossa sul serio.

Omicidio all’Old Bailey. Che idiota, che testa di cazzo.