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Lake District, 1812

La zolla di terra bagnata colpì la bara provocando un rumore sordo. Dalla sua postazione dietro il muro di pietra ricoperto di licheni del cimitero di Saint Mawe, Lucy Rushton percepì quel rumore come uno schiaffo. Dalle sue labbra serrate uscì un lamento appena percettibile che il vento autunnale si portò via prima che qualcuno potesse udirlo. Stava assistendo alle esequie del capitano Jeremy Strickland, ferito a morte in Spagna in uno scontro secondario durante la campagna peninsulare di Wellington. Per ironia della sorte, quello scontro secondario, com’era stato definito, l’aveva precipitata nella peggiore situazione che una donna potesse sperimentare: era infatti nubile e incinta di un amante defunto.

Lucy si mordicchiò un labbro, pregando inutilmente di svegliarsi da quell’incubo. Aveva amato con tutta se stessa il bellissimo e ardito Jeremy Strickland per la maggior parte dei suoi vent’anni, anche se da una certa distanza, e alla fine il capitano si era accorto di lei, aveva ricambiato le sue occhiate corteggiandola con l’impeto e la premura caratteristici di chi sta per partire per la guerra. Davanti al meraviglioso spettacolo della cascata di Amber Force aveva chiesto la sua mano, mentre in un angolo appartato sulle rive del fiume Mayeswater l’aveva convinta a consumare l’unione dei loro cuori, promettendole che sarebbe tornato alla prima occasione per sposarla con una cerimonia fastosa.

Pur sapendo che prima o poi le sue condizioni l’avrebbero esposta alla censura e all’ostracismo di tutti, Lucy non provava rimorsi per ciò che aveva fatto. Al contrario pensava che sarebbe stato ancora più straziante trovarsi lì a guardare il suo adorato Jeremy che veniva sotterrato sapendo di avergli negato la gioia della comunione dei loro corpi. Senza il ricordo dei suoi baci ardenti e dei suoi abbracci teneri a sostenerla, non ce l’avrebbe fatta a sopportare una tale perdita.

Le poche persone presenti chinarono la testa mentre il padre di Lucy, il vicario di Saint Mawe, recitava un’ultima preghiera. Un uomo, più alto degli altri, attirò la sua attenzione. Aveva un aspetto severo e l’abito che indossava per la cerimonia funebre non era molto diverso dal suo solito abbigliamento. Lucy lanciò uno sguardo ostile al terribile Drake Strickland, Visconte di Silverthorne.

Il visconte aveva voluto che i funerali di suo fratello si svolgessero in forma strettamente privata impedendo agli abitanti di Saint Mawe di piangere il coraggioso giovane ufficiale sempre gentile con tutti. Se non fosse stato per il visconte, ora Lucy si sarebbe trovata in mezzo alla folla, libera di esprimere in pubblico il dolore che provava.

Come attirato dall’animosità delle sue occhiate, Lord Silverthorne si voltò a guardarla. Lucy sostenne il suo sguardo senza batter ciglio, dimostrandogli con l’ennesima occhiataccia tutto il risentimento che provava nei suoi confronti.

Come avete osato escludermi in un giorno come questo?, lo sfidò con lo sguardo. È per colpa vostra che Jeremy si arruolò nell’esercito, come sempre per dimostrare di essere all’altezza del modello irraggiungibile che voi incarnate e per fallire come al solito. Jeremy si sforzava in ogni modo di emergere dalla vostra ombra e di avere successo. Se non fosse per voi, oggi sarebbe ancora vivo.

In quel preciso istante il vicario intonò la benedizione. «Terra alla terra, cenere alla cenere, polvere alla polvere.»

Le lacrime che pungevano gli occhi di Lucy le conferirono un’espressione ancora più infuriata. Distogliendo lo sguardo dall’odioso Lord Silverthorne si portò le mani sull’addome in un gesto protettivo nei confronti del bambino di Jeremy che stava crescendo dentro di lei. Era difficile accettare che il suo grande amore e i suoi sogni si fossero trasformati in cenere e polvere.

La vedova del Marchese di Cranbrook guardò con disprezzo il nipote seduto all’altro capo del grande tavolo della sala da pranzo di Silverthorne. Le sue labbra erano atteggiate a una smorfia di disgusto. Sebbene fosse addolorata per la morte del suo nipote preferito, la marchesa non aveva un aria afflitta. Durante i suoi settantacinque anni di vita aveva visto morire tre mariti, cinque figli e quattro nipoti. Per lei perdere i propri cari faceva parte della vita ed era perfettamente inutile disperarsi per circostanze a cui nessuno poteva porre rimedio. Al contrario, era necessario intervenire ed esercitare la propria influenza nei casi in cui era possibile farlo.

«Drake, che cos’è questa pietanza?» Con aria sospettosa la marchesa mosse il cucchiaio nello strano stufato in cui galleggiavano troppe foglie di cavolo. «È immangiabile. Questo pane nero poi! Ti assicuro che la mia servitù mangia meglio. Devi venire a Londra con me, se non altro per assicurarti i servigi di una nuova cuoca.»

Dal momento in cui era arrivata, la marchesa non si era lasciata sfuggire occasione per invitare il nipote a seguirla a Londra e a trovarsi una moglie. Dall’altro capo del tavolo il Visconte di Silverthorne sollevò gli occhi al cielo lasciandosi sfuggire un lungo sospiro esasperato che si udì distintamente al di sopra del ticchettio insistente della pioggia che batteva contro le finestre.

Giovanotto impudente!, imprecò tra sé la marchesa, adombrandosi. Pensava forse che la sua vista e il suo udito fossero troppo deboli per notare il suo atteggiamento offensivo?

«Mi dispiace che la nostra cucina non sia di vostro gradimento, nonna» replicò Drake a denti stretti. «Il fatto è che non siamo abituati ad avere ospiti importanti come voi» concluse indicando con un cenno del capo lei e gli altri commensali: l’onorevole cugino Neville Strickland e Lady Phyllipa Strickland, vedova di Clarence, un altro cugino.

Rispondendo al cenno di Drake con un sorriso forzato, Phyllipa si portò elegantemente il cucchiaio alla bocca. Phyllipa era una creatura mite, insipida e dalla pelle giallastra, la cui sollecitudine a rimpinzarsi mandava la marchesa su tutte le furie. Neville invece sembrava ignorare del tutto il cibo, impegnato com’era a scolarsi un bicchiere di vino dietro l’altro.

«Personalmente» continuò Drake, «trovo la cucina della signora Maberley nutriente e appetitosa e, per quanto mi riguarda, non cambierei mai un caldo piatto di minestra del Lancashire per i fagiani o le ostriche che si mangiano a Londra. Io sono un uomo semplice, perciò amo vestirmi sobriamente e cibarmi in modo sano.»

«Ma non la pensate nello stesso modo per quanto riguarda le donne, scommetto» lo stuzzicò Neville giocherellando con il bicchiere.

La marchesa trattenne il respiro in attesa della replica di Drake. Neville doveva essere o molto ubriaco o molto stupido per sfidare suo cugino in quel modo. Più di una volta Drake aveva saldato i debiti del giovane damerino limitandosi a commentare che, a parer suo, la dissolutezza era uno dei peccati più odiosi.

«Parlando di donne...» intervenne Phyllipa rompendo il silenzio imbarazzato che era sceso nella stanza, «chi era quella ragazza che ci guardava al funerale di Jeremy, questo pomeriggio? Mi è sembrata addirittura sconvolta.»

Drake era perplesso. «Una ragazza? Ah, ma certo, si trattava di Lucy... la signorina Rushton, la figlia del vicario.»

«Ah, davvero?» rise Neville. «Ed è suo compito assumere quell’espressione disperata a tutti i funerali?»

«La signorina Rushton ha tutti i diritti di essere addolorata. Conosceva Jeremy fin da quando era bambina...» Drake rimase in silenzio per un attimo, poi continuò in tono brusco: «Inoltre sappiamo tutti come sono fatte le ragazze a quell’età. Hanno un senso della tragedia esagerato, in particolare quando la morte colpisce giovani gentiluomini che combattono coraggiosamente per proteggere la loro patria. Sono in troppe le persone che al giorno d’oggi hanno ancora un’idea romantica della guerra».

«Perché, voi non considerate forse la morte di Jeremy come una vera e propria tragedia?» lo sfidò Neville.

«Io la considero solo uno spreco.» Un tuono sottolineò le parole di Drake. «Jeremy non avrebbe dovuto arruolarsi e partire per la Spagna come se l’esercito fosse un diversivo. Aveva delle responsabilità nei confronti miei e della nostra gente.»

«La vostra gente?» rise Neville. «Mio caro, vi esprimete come se i vostri fittavoli fossero vostri sudditi.»

La marchesa aveva seguito lo scambio di battute tra i suoi nipoti come se avesse assistito a una partita di gioco del volano, spostando lo sguardo dall’uno all’altro, e ora fissava Drake aspettando una sua replica piccata.

Drake la deluse respirando a fondo prima di rispondere in tono severo: «È una questione di doveri, Neville, un concetto del tutto estraneo a voi. I miei fittavoli, come tutte le persone che lavorano al mio servizio, dipendono da me. Se le miniere, i mulini e la conceria producono dei profitti, le famiglie sono in grado di sfamare i loro figli e mandarli a scuola e, servendosi nei negozi locali, impediscono al denaro di scivolare via a Liverpool o a Manchester.»

«Ma, cugino, mi sembra di sentir parlare un commerciante, non un visconte. I gentiluomini non dovrebbero occuparsi di ricavare profitti con squallide fabbriche e nemmeno di immischiarsi troppo nell’amministrazione dei loro beni. Per questo ci sono i commercianti.»

«Voi credete dunque che sia più volgare possedere una congrua fortuna che guadagnarsi da vivere ai tavoli da gioco o contare sulla carità dei parenti?» Il tono trattenuto e falsamente calmo di Drake lasciò intendere alla marchesa che suo nipote era molto arrabbiato. Neville era proprio un idiota a scambiare l’ira contenuta di suo cugino per debolezza.

Neville tuttavia ignorò i segni d’avvertimento. «Vecchio mio, voi siete troppo modesto a considerare il vostro patrimonio una congrua fortuna» dichiarò indicando con un gesto della mano l’arredamento della sala da pranzo riportato di recente alla sua antica gloria. «Possedete una delle fortune più cospicue di tutta l’Inghilterra. In fondo siete saggio a restare lontano da Londra. Persone importanti potrebbero contattarvi per avere prestiti.»

La marchesa fulminò Neville con lo sguardo, ma lui la ignorò.

«Certo non è volgare possedere una fortuna, solo essersela guadagnata» concluse ridendo di gusto della sua facezia. «Non capisco per quale motivo vi ostiniate a occuparvi dei vostri affari quando potreste sposare un’ereditiera bruttina con un rozzo padre commerciante.»

«Nessuno ti impedisce di seguire tu stesso questa strada, Neville» dichiarò Drake in tono asciutto. «Per quanto mi riguarda, preferisco costruire qualcosa di buono e di duraturo di mia propria iniziativa.»

«Temo di non essere adatto per temperamento al lavoro onesto. Io sono un giglio della società, io non cucio né filo la lana, tuttavia re Salomone in tutta la sua gloria non aveva un panciotto così riccamente ricamato come il mio.» Neville si appoggiò allo schienale della sedia per mostrare il panciotto di finissima fattura.

La marchesa ritenne che fosse un indumento troppo vistoso per un funerale, tuttavia non era del tutto seccata dai commenti di Neville che in realtà le fornivano un eccellente pretesto per affrontare un certo discorso con l’altro nipote.

«Ecco, seduto qui accanto a te, l’erede di tutte le tue fortune duramente guadagnate, mio caro Drake» annunciò la marchesa lanciando un’occhiata sdegnata a Neville. «Quanto gli ci vorrà per dilapidarle? Sei mesi? Un anno?»

«Io mi aspetto di vivere a lungo e in salute, nonna.» Le parole di Drake risuonarono calme e precise.

«Quello che mio cugino intende dire, nonna, è che si aspetta che io sia già cibo per i vermi quando lui si godrà un’arzilla vecchiaia trotterellando per la campagna, occupandosi dei suoi mulini e delle sue miniere, mangiando orrendi pentoloni di minestra di cavoli e di trippa. Ah, e soprattutto restando celibe. Non fa forse parte anche questo del vostro piano, cugino?»

«Per l’amor del cielo, Neville, smettetela di tormentare questo pover’uomo» intervenne Phyllipa.

La marchesa spostò lo sguardo leggermente stupito sulla vedova di Clarence. Non l’avrebbe mai creduta capace di una tale enfasi.

«Drake è il padrone di casa e noi siamo suoi ospiti» continuò Phyllipa. «Senza contare che ha appena perso il suo unico fratello. Inoltre le tue frasi a sproposito finiranno per turbare la povera cara nonna.»

«Sciocchezze!» esclamò la marchesa. «Non c’è niente che mi diverta di più di una bella lite familiare. È d’obbligo litigare dopo i funerali; impedisce di intrattenere pensieri morbosi sulla mortalità.»

Neville sollevò il bicchiere verso la nonna. «Siete proprio una gran filosofa, voi.»

«Risparmiati i complimenti melliflui, damerino! Sono stata lusingata da uomini molto più abili in questa sottile arte di quanto tu possa mai ambire a diventare.»

La marchesa notò che le labbra di Drake si erano increspate in un mezzo sorriso e, non intendendo permettergli di passarla liscia, incalzò: «Tuo cugino non ha tutti i torti, Drake. Nessuno può averla vinta sulla morte. Che cosa ne sarà delle tue imprese quando te ne sarai andato? Hai bisogno di un figlio che erediti il tuo titolo e che porti avanti il tuo lavoro. Vieni a Londra con me e scegli una tra le tante ragazze che anche quest’anno si metteranno sul mercato dei matrimoni».

«Preferirei tuffarmi in un pozzo nero» replicò Drake arricciando il naso leggermente aquilino.

«Il tuo atteggiamento è esasperante!» La marchesa non era abituata a sentir disprezzare i suoi consigli. «Contavi forse che fosse Jeremy a fornirti degli eredi? Be’, ora dovrai pensare tu stesso alla tua successione, mio caro.»

Drake si alzò di scatto dalla sedia. «Considerate conclusa questa discussione, nonna. Io non sono un bambino che potete comandare minacciandolo con il vostro bastone. E adesso, se volete scusarmi, voglio fare una cavalcata prima di ritirarmi.»

«Oh, Drake, non potete uscire con questo tempo» lo sconsigliò Phyllipa indicando le ampie finestre della stanza sulle quali la pioggia batteva incessantemente spinta da un forte vento.

Drake aveva già raggiunto la porta e, stringendosi nelle spalle, dichiarò: «Non temete, Phyllipa, non ho intenzione di dissolvermi nell’acqua, ma preferisco l’ostilità degli elementi della natura alle dispute familiari cui sembra essere tanto affezionata la nonna. Buona notte a tutti. Sono sicuro che la mancanza della mia compagnia non vi impedirà di godervi con gioia il mio porto, Neville».

Quando Drake si fu chiuso la porta alle spalle, Neville spinse indietro la sedia e appoggiò i piedi sul tavolo di mogano. «Niente affatto, caro cugino» replicò ridendo, «niente affatto.»

La vedova del Marchese di Cranbrook avrebbe volentieri strangolato il nipote con il cordoncino del suo monocolo.

Drake era bagnato fradicio quando raggiunse le stalle. Tuttavia la pioggia fredda non aveva placato la sua collera.

«Buona sera, visconte.» Uno degli stallieri si portò una mano al cappello in segno di saluto. «Che cosa posso fare per voi?» chiese poi guardandolo un po’ confuso.

Paragonate alla sala da pranzo di Silverthorne, le stalle erano invitanti e tranquille. Drake respirò a fondo l’odore del cuoio, dei cavalli e del fieno asciutto.

«Vorrei fare una cavalcata prima di ritirarmi per la notte. Sellami lo spagnolo.»

Il grande stallone nero era impaziente di uscire in mezzo alla tempesta almeno quanto il suo padrone. Insieme si lanciarono al galoppo nell’oscurità dove Drake poté finalmente sfogare la collera che provava per la morte prematura del fratellastro.

Per quindici anni aveva lottato e lavorato per riportare Silverthorne all’antico splendore, facendola rinascere dalla rovina causata da suo padre. Ma a che scopo? Perché Neville potesse perderla al gioco? Per lasciarla un giorno al piccolo Reginald, l’antipatico e capriccioso figlio di Phyllipa che chissà che cosa ne avrebbe fatto? Qualunque cosa sua nonna fosse, Drake dovette ammettere che non era una sciocca. In realtà aveva colto nel segno insinuando che lui contava su Jeremy per avere un erede. Ora, se voleva salvare il lavoro fatto, doveva assumersi personalmente quel compito odioso.

Era già stato a Londra quando era giovane e ne era tornato talmente nauseato da decidere di dimenticare per sempre l’idea del matrimonio. Perché Jeremy non si era preso una moglie prima di scappare via a combattere contro l’esercito di Napoleone? Che cosa gli era saltato in mente poi di arruolarsi? Del resto si era sempre dimostrato un ragazzo impulsivo, imprudente e inaffidabile.

All’improvviso Drake fermò il cavallo. Era meglio tornare a casa. Per quella sera si era già lasciato andare abbastanza. Inoltre non aveva nessuna intenzione di servire tutte le sue ricchezze a Neville su un piatto d’argento morendo di polmonite. Tuttavia, prima di tornare al suo letto caldo e alla tazza di tè che la signora Maberley gli preparava ogni sera, gli restava un ultimo compito da svolgere.

Una fievole luce brillava nel vecchio santuario di Saint Mawe. Drake fermò il cavallo davanti al muro a est, riparato dal vento. Era stata un’idea sciocca quella di recarsi lì, ma dal momento che aveva già commesso una serie di atti sconsiderati, l’ultimo dei quali era stato cavalcare sotto la pioggia di notte, decise che uno in più o in meno non avrebbe fatto molta differenza. Qualcosa lo spingeva a raggiungere la tomba di Jeremy e a chiedergli: Fratello, perché mi hai abbandonato?

Con calma si diresse verso il cimitero facendo bene attenzione a non calpestare le tombe sistemate in modo casuale. Il vento era così forte che non sentì i singhiozzi fino a quando non fu accanto alla figura minuta accovacciata vicino alla lapide.

Che cosa ci faceva un bambino in un cimitero in una notte come quella? Drake, sempre pronto ad aiutare i deboli e i disperati, abbandonò immediatamente l’idea di comunicare con il fantasma di suo fratello sollevando tra le braccia il ragazzo per dirigersi verso la chiesa. La porta della sacrestia non era chiusa a chiave, perciò non gli fu difficile aprirla con una spallata. Solo dopo aver depositato l’insolito carico riconobbe Lucy Rushton.

«Che accidenti... Signorina Rushton, che cosa ci fate voi qui?»

Lucy si sforzò di darsi un contegno. Con un gesto apparentemente noncurante si scostò una ciocca di capelli bagnati dal viso. «Perdonatemi, visconte» mormorò con un filo di voce. «Mi rendo conto che provvedete voi a dare uno stipendio a mio padre, ma non sapevo che consideraste il cimitero come vostra proprietà privata. Perdonatemi per averla violata.»

Per una qualche strana ragione a lui sconosciuta, quell’affermazione pronunciata con quel tono fiero e altezzoso lo spinse a increspare le labbra in un sorriso di aperta ammirazione.

Quella ragazza aveva un aspetto derelitto, bagnata fradicia com’era, con il naso e gli occhi rossi per il pianto, il viso pallido e tirato, tuttavia c’era una luce nei suoi occhi che né la pioggia né la malasorte avrebbero mai potuto spegnere.

«Sapete benissimo che il cimitero non è una mia proprietà» obbiettò lui estraendo dalla tasca un fazzoletto che poi le consegnò in un gesto conciliatorio. «E anche se così fosse, voi sareste la benvenuta ogni qual volta voleste andarci.»

Durante le sue cavalcate nella tenuta, Drake aveva incontrato spesso Lucy Rushton seduta all’ombra di un albero con un libro sulle ginocchia e una mela in mano. Assorta nella lettura lei non lo aveva mai notato, tuttavia da quei brevi incontri Drake aveva tratto una certa gioia, proseguendo ogni volta per la sua strada con animo più leggero.

Lucy si asciugò gli occhi. «Sarei la benvenuta? Questo pomeriggio però non lo ero quando avete sepolto il capitano Strickland» puntualizzò lei soffiandosi rumorosamente il naso con un comportamento intenzionalmente maleducato.

«Non lo eravate?» Drake la guardò sorpreso. «Che sciocchezze, io...»

«È stata una cattiveria esigere che la cerimonia fosse privata. E poi chi era quella gente? Quel ridicolo ometto con quel panciotto vistoso che non sembrava per niente affranto, chi era? Giurerei che stava esultando.»

«Si tratta del cugino Neville, il figlio del fratello di mio padre.» Drake si guardò bene dal correggere l’opinione che Lucy si era fatta di Neville.

«Ho riconosciuto vostra nonna, ma chi era la signora più giovane? Non l’ho mai vista a Silverthorne, prima.»

«È Lady Phyllipa Strickland, la vedova di mio cugino Clarence.» Se qualcuno gliel’avesse chiesto, Drake non avrebbe saputo dire per quale motivo rispondeva così prontamente alle domande di quella ragazza.

«Ah» commentò lei, poi aggiunse in tono enfatico: «Quelle persone saranno anche parenti del capitano Strickland, ma dubito che lo conoscessero o che gli volessero bene come i suoi vecchi amici...».

Nuove lacrime le impedirono di continuare. Drake cercò di prenderle una mano tra le sue, ma lei lo respinse.

«Voi tremate» osservò lui. «State gelando. Vi offrirei il mio mantello, ma, bagnato com’è, temo che non vi servirebbe a nulla.»

«Mio pa... mio padre» balbettò lei battendo i denti, «tiene un mantello di scorta in quell’armadio.»

Drake andò a prendere il mantello e lo avvolse intorno alle spalle della ragazza.

«Credetemi, signorina Rushton, non era nelle mie intenzioni mancarvi di rispetto. Volevo solo risparmiare ai miei fittavoli l’obbligo di partecipare al funerale. Se aveste parlato prima con me vi avrei permesso di unirvi alla famiglia. Jeremy era molto affezionato a voi, credetemi.» A quelle parole, invece di calmarsi, Lucy ricominciò a singhiozzare. «Accidenti, ma che cosa vi prende adesso? Mi siete sempre sembrata una persona saggia, ma devo dirvi che ritengo la vostra reazione alla morte di Jeremy decisamente esagerata. Solo perché non siete riuscita ad avere un posto in prima fila al suo funerale non c’è bisogno che rischiate di ammalarvi di tisi restando inginocchiata sulla sua tomba sotto la pioggia.»

I rimproveri non funzionarono meglio delle premure dal momento che Lucy continuò a piangere, scossa dai singhiozzi.

«Avanti, non fate così» mormorò Drake battendole una mano sulla spalla in un goffo tentativo di consolarla. «Mi dispiace se ho detto qualcosa che vi ha offeso, ma ora dovete smetterla di piangere altrimenti vi sentirete male.»

Fu allora che, come se avesse considerato il suo avvertimento alla stregua di un invito, Lucy vomitò violentemente a pochi centimetri dagli stivali di Drake.

«Oh, mio Dio! Voi aspettate un figlio da mio fratello!» esclamò Drake in tono convinto.

Un semplice sguardo bastò a Lucy per confermare le parole di Drake, che lasciò scivolare le braccia lungo i fianchi in preda allo sconcerto più assoluto.

«Avanti, dite quello che pensate, che sono una donnaccia e che mi merito tutto quello che mi succederà» sibilò lei in preda a una profonda angoscia.

All’improvviso il colletto di Drake era diventato troppo stretto. La voglia di dissotterrare il corpo di Jeremy e di togliersi la soddisfazione di strangolarlo era forte.

Maledizione!, imprecò tra sé. Con i suoi capelli biondi e i suoi modi accattivanti, Jeremy aveva sempre avuto più donne di quante potesse gestirne. A Drake non era mai importato di quanto il ragazzo spendesse del suo vitalizio in gioielli per le varie attrici e cameriere, ma approfittare di una ragazza innocente come Lucy Rushton era stato un errore imperdonabile.

«Donnaccia?» Le labbra di Drake si incresparono in una smorfia nel pronunciare quella parola. «Sciocchezze. Mia cara bambina, voi non riuscireste a comportarvi in modo sconveniente nemmeno se lo voleste.»

«Io non sono una bambina! Ho vent’anni e sono stata a Bath» replicò lei, piccata.

E questo che cosa significa?, si chiese Drake, poi aprì la bocca per spiegare che con quella frase non aveva inteso offenderla, anzi... ma lei lo zittì.

«Come potete sapere ciò di cui sarei capace? Voi non mi conoscete, perciò andatevene e lasciatemi sola.»

«E se preferissi restare a commiserarmi un po’? A quanto pare la morte di Jeremy ci ha messo entrambi nei pasticci.»

«Non capisco che problemi possa aver causato a voi la morte di vostro fratello in confronto a quelli che ha causato a me. Quando le mie condizioni saranno note a tutti sarò emarginata dalla società e in seguito il mio bambino verrà consegnato a degli estranei o a un orfanotrofio. Siete ancora convinto che i vostri problemi possano essere paragonati ai miei?»

«Be’, io dovrò sposarmi anche se non ne ho nessuna voglia, per avere un erede. Altrimenti, alla mia morte, quel damerino di mio cugino erediterà Silverthorne

«Siete obbligato a sposarvi? Oh, poverino. Fate sembrare la cosa spaventosa quanto un patibolo. Jeremy non la pensava come voi; infatti intendeva sposarmi approfittando della sua prima licenza.»

Drake avrebbe voluto credere a quella promessa così come ci credeva Lucy.

«È un peccato che non vi abbia sposata prima di partire. Se l’avesse fatto avrebbe risparmiato una quantità di problemi sia a voi sia a me.»

A quel punto la collera di Lucy svanì. «Perdonatemi, visconte. Mi rendo conto di aver abusato in modo imperdonabile della vostra pazienza questa sera. Ora devo tornare al vicariato prima che mio padre si preoccupi per me. Conto sulla vostra discrezione affinché non divulghiate il mio segreto prima del tempo» lo pregò lei pronta ad andarsene.

«Quando è stato concepito il bambino?» le chiese Drake.

Lucy si bloccò, turbata da quella domanda irrispettosa. «Sei settimane fa» rispose poi con un filo di voce. «Jeremy e io facemmo l’amore una sola volta, il giorno prima della sua partenza.»

Drake respirò a fondo. Stava per tuffarsi in acque infide e burrascose, ma sfortunatamente la sua coscienza non gli permetteva di agire in altro modo.

Doveva parlare subito, prima che Lucy se ne andasse e prima di cambiare idea. «In questo caso mi permetto di proporvi una soluzione dalla quale potremmo trarre vantaggio entrambi.»