Richard inserisce il minuscolo abete natalizio dello spazzolino interdentale nel manico bianco e lo infila negli spazi tra i denti davanti, sopra e sotto, incisivi, canini. Gli piace quella sensazione di aderenza, spingere e tirare, pulire perfettamente la cavità, anche se solo dietro, tra i molari e i premolari, si sente quell’odore appagante di marcio prodotto da tutti quei batteri saturi di zucchero. Judy Hecker, la caposala. Un alito pestilenziale. Era ridicolo che farglielo notare venisse considerato piú offensivo del suo stesso alito. Arnica sul ripiano sopra il suo rasoio. Chi era l’imbecille che la usava? Adesso il sistema sanitario nazionale passava anche i farmaci omeopatici. Il principe Carlo che faceva pressioni su qualche dipendente della pubblica amministrazione, chiaro. Buffone. «Buongiorno, alberi, come state stamattina?» Come se bastasse buttare un paio di pastiglie di Nurofen nel fiume a Reading, per far passare il mal di testa alla gente di Londra. Si risciacqua la bocca col Corsodyl.

Quell’insopportabile solitudine dopo che Jennifer se ne era andata. I rumori che una casa faceva di notte. Capire l’importanza di saper parlare del piú e del meno a quarantadue anni. Andare al pub. L’aveva sempre considerata una perdita di tempo.

Sputa il collutorio, si sciacqua la bocca con l’acqua fredda e si strofina la faccia con l’asciugamano bianco appeso al portasalviette elettrico.

Si gira e si vede nello sportello a specchio dell’armadietto, la faccia ancora gonfia dei fluidi che la ingrossano di notte, in attesa che la gravità gli restituisca la sua. Dicono che a un certo punto dovresti vederti davanti la faccia di tuo padre, ma a lui non succede mai. Tira il cordone della luce e va in camera da letto a vestirsi.

Alex si solleva in piedi sul punto di triangolazione. Nel raggio di cento, o forse duecento chilometri non c’è niente che sia piú alto di lui. Si gira lentamente, quasi facesse ruotare la terra intorno a sé come una ruota, i crinali delle Black Mountains che si allontanano verso sud, e a nord, in fondo alla valle-giocattolo, Hay. Il vento lo schiaffeggia. Immagina di scopare Louisa contro la porta del bagno. Le caviglie di lei bloccate dietro di lui, lei che dice: «Sí, piú forte, sí», la porta che sbatte, bang, bang, bang.

– Hanno creato il piú grande deficit fiscale della storia recente.

Dominic si pentí di aver sollevato un argomento del quale apparentemente Richard sapeva anche troppo e lui troppo poco, perché ogni volta che si avventurava nelle pagine finanziarie del giornale gli piombava addosso una specie di torpore, come se il tema fosse protetto da un oscuro incantesimo tessuto apposta per allontanare gli intrusi. – E allora eleggiamo uno che non ha un vero programma e si rifiuta di ammetterlo? – Ma stava arrancando in salita, praticamente al buio.

All’altro capo del tavolo Angela stava leggendo la rubrica di viaggi dell’«Observer». Durante la notte, un messaggio era riuscito a valicare la collina. «Mi manki. TVB, Amy X». Se non le avesse mai raccontato di Amy sarebbe stato sempre lui il genitore migliore, la persona migliore, perché amava Daisy senza riserve. Ed eccola lí, che entrava con una ciotola di cereali in mano. – La gente è avida ed egoista, – disse Daisy, sedendosi il piú possibile lontano da Melissa, anche se l’unico a notare la geometria fu Dominic. – Vota solo per chi gli promette esattamente quello che vuole. Come i bambini con le caramelle.

Ma non era della gente che parlava. Stava parlando di Richard e stava parlando di Melissa, no?

– Però le cose migliorano, – disse Richard, cauto. – È un processo confuso ma le cose migliorano.

– Per chi? – disse Daisy.

A nessuno di loro interessavano particolarmente le elezioni, che consideravano alla stregua di una soap opera nazionale in cui l’incertezza del risultato finale era piú interessante dell’identità del vincitore. Dal punto di vista individuale, c’era chi sosteneva la necessità di fondi gestiti dai medici di base per fornire servizi sanitari agli assistiti, chi appoggiava i finanziamenti pubblici per le scuole indipendenti, chi si batteva per il diritto d’asilo, ma nessuno di loro confidava nella possibilità che un partito politico mantenesse promesse al riguardo. Per Louisa era già una lotta convincersi di poter cambiare se stessa, figurarsi il resto del mondo, e salvare vite umane sembrava dispensasse Richard da ogni altro compito di piú ampia portata. Angela e Dominic un tempo avevano manifestato a sostegno dei minatori di Doncaster e dei tipografi di Wapping, ma il loro entusiasmo per la vittoria di Blair si era trasformato rapidamente in rabbia e poi delusione, e infine indifferenza nei confronti della politica in generale. Alex stava pensando di votare per i Conservatori perché era cosí che votava il tipo di persona che voleva diventare lui. Melissa ostentava un disprezzo che la faceva apparire sofisticata e Daisy un’ignoranza che la faceva apparire umile. Benjy, dal canto suo, era piú che altro interessato al destino della tigre, del panda e della balena, il che significava che era piú preoccupato per il futuro del pianeta di tutti gli altri messi insieme.

Daisy non aveva mai parlato davvero con Lauren finché non avevano cominciato ad allenarsi insieme in piscina per la squadra della scuola, in piedi alle sei del mattino, settanta vasche al Wheelan Centre prima delle lezioni. A sedici anni Lauren era alta un metro e settantotto, tanto aggraziata in acqua quanto era goffa fuori, con le spalle curve e una vocina flebile che le serviva da compensazione, né ragazza né donna. Portava vestiti larghi per non attirare l’attenzione ma quando indossava l’olimpionico verde della Speedo Daisy restava ipnotizzata dalla lunghezza e dal biancore delle gambe e del collo, come quando non riesci a smettere di fissare qualcuno senza un braccio o una voglia di fragola. Lauren si attaccò a Daisy con una foga che nessun altro le aveva mostrato da quando aveva sei o sette anni, ed era come se vivessero in un mondo tutto loro, una specie di casetta sugli alberi. C’era qualcosa nell’altezza dell’altra che faceva sentire Daisy preziosa, protetta. I ragazzi consideravano Lauren una specie di mostro e si tenevano alla larga, ma a Daisy era chiaro che quando l’amica fosse cresciuta e fosse diventata piú sicura di sé e a loro non fosse piú importato delle opinioni degli amici si sarebbero accorti di quanto era bella. Lauren reagiva fingendo che non esistessero, persino Jack, che non tollerava di essere ignorato da una che leggeva ancora romanzi pieni di maghi, un disprezzo che lei ricambiava di tutto cuore, tanto che ben presto Daisy si stancò di essere il premio di una gara senza senso.

Però Lauren fu l’unica a non rimanere sconcertata quando Daisy si avvicinò alla Chiesa. Avrebbe dovuto esserle grata ma… cos’era? Il modo in cui Lauren si mostrava compiaciuta di aver vinto la gara per abbandono dell’avversario? La sua incrollabile fedeltà da cagnolino? Cosí la spinse via e dato che Lauren non mollava la presa spinse piú forte, perché certo è offensivo che un’amica si rifiuti di reagire ai tuoi sentimenti. Lasciò il nuoto, smise di telefonarle, smise di rispondere al telefono. Una volta Lauren si presentò alla porta e Daisy chiese ad Angela di dirle che era fuori, e non capí cos’era peggio, il modo in cui si stava comportando o il godimento di sua madre per quel gesto ipocrita e cosí poco cristiano.

Il fatto che Lauren fosse cosí alta, che i suoi genitori stessero divorziando e che anche lei avesse smesso di allenarsi in piscina fece sí che passasse molto tempo prima che qualcuno si accorgesse della sua anoressia. Daisy non pensò affatto che la cosa avesse a che fare con lei, perché sarebbe stato un pensiero egocentrico. Ma nemmeno si mise in contatto con Lauren per offrirle aiuto o sostegno. Lauren passò un breve periodo in ospedale, ma Daisy non andò mai a trovarla, e quando l’amica si trasferí a Gloucester con la madre Daisy avvertí un sollievo che non era affatto un sollievo.

Benjy versò tre centimetri d’aceto nella grossa vaschetta di plastica.

– Adesso, – disse Richard, – riempi il portauovo di bicarbonato.

– Evvai. – Benjy lo riempí malamente. – Lo facevi anche tu da bambino, zio Richard?

– Ero decisamente troppo educato. – Cercò di non pensare ai figli che avrebbe potuto avere. – Dai, adesso lascia fare a me.

– Credi che arriverà fino al tetto?

– Vediamo –. Con cautela, mise il portauovo nell’aceto. Il bordo emerse appena dal liquido. Perfetto. Lo spinse giú.

– Posso farlo io? – chiese Benjy.

– Dai una scrollata e poi allontanati in fretta.

– Dieci, nove, otto… – Benjy si accovacciò… – due, uno… Fuoco –. Scrollò la vaschetta, ci mise sopra il suo orsacchiotto di pezza e si dimenticò di farsi da parte, cosí Richard lo afferrò per la spalla e lo trascinò via. E non accadde niente. – Forse dobbiamo riprovare, – disse Benjy, ma Richard vide il coperchio di plastica gonfiarsi sotto l’orsacchiotto. – Aspetta –. Si sentí uno scricchiolio, come di una nave incastrata nel ghiaccio, un pop molto piú forte di quanto si aspettasse Richard, poi la schiuma gli schizzò sui pantaloni e nell’aria si diffuse un odore flatulento (acetato di sodio?) e anche se l’orso non finí proprio sul tetto rimase impigliato nella rosa rampicante sotto la finestra del primo piano. Benjy urlava trionfante e Richard vide tutto dal suo punto di vista, ed era davvero la cosa piú divertente a cui assisteva da molto tempo. Benjy ripeteva: – Ancora, ancora, ancora, – e fu a quel punto che sulla porta comparve Angela. – Credevo fosse scoppiata una bomba.

– Posso inserirti dopo, – disse Alex. – Come il portiere di riserva –. Lei non aveva idea di cosa stesse parlando, ma nella sua testa passò velocemente in rassegna il modo in cui era vestita. Stivali Ugg, collant fantasia sotto gli shorts di jeans, camicia a quadri… Non sapeva se essere lusingata o disgustata ma non era certo il momento giusto per far incazzare un’altra persona. – Sorridi –. Clic. – Girati verso la casa –. Clic. Sapeva di essere attraente. La sua unica preoccupazione qualche volta era di non distinguersi abbastanza, che gli altri la considerassero parte della massa. Vedeva una ragazza con gli anfibi a disegni o i capelli cortissimi e tinti di rosso e rimpiangeva di non avere le palle per imitarla. Clic. – Adesso siediti sul muretto –. Come un vecchio sporcaccione. Clic. Dovresti fare la modella, tesoro. Dai, faccela vedere. – Direi che adesso abbiamo finito.

– Evviva, – disse Alex. – Fantastico.

Probabilmente però non si sarebbe fatto una sega sulla foto perché avvertiva una perfidia in Melissa che le restava appiccicata addosso persino nelle sue fantasie sessuali, anche se ormai non aveva piú importanza perché era attratto da Louisa, ed era fiero del fatto che i suoi gusti stessero maturando.

– Non è lontano –. Richard si china sulla cartina dell’Ordnance Survey come se stesse pianificando un attacco aereo sulla Francia settentrionale. – Al massimo cinque chilometri.

Louisa si spazza via briciole di pane tostato dal maglione. – Quelle lineette marroni sono molto vicine tra loro.

Daisy è seduta vicino alla finestra e legge Dracula («Non devono esserci segreti tra noi. Se lavoriamo insieme e con assoluta fiducia, saremo certo piú forti che se qualcuno di noi fosse al buio»).

Angela compare sulla porta della cucina. – Qualcuno vuole ordinare altri panini? Mozzarella e pomodoro, cheddar e sottaceti, marmellata, prosciutto…

– Puoi portare quelle pere e quelle banane?

Entra Benjy, cantando sovrappensiero Whip Crack-Away.

– Hai tirato l’acqua?

Lui si gira e torna imbronciato sui suoi passi.

Negli ultimi dieci anni Angela non ha percorso piú di due chilometri a piedi ma non vuole dare forfait per il secondo giorno di fila, decisa com’è a dimostrare a Dominic che si sbaglia, che è anche lei parte della famiglia.

Alex legge le pagine sportive dell’«Observer» («Bowyer ha ricevuto su un piatto d’argento un cross in area ma lo ha messo fuori con un colpo di testa»).

In lontananza, si sente lo sciacquone.

– Dov’è Melissa? – Richard si sorprende a preoccuparsi per lei come non ha mai fatto prima. Quei vaghi pensieri di paternità, forse. – Non è che ha tentato di fuggire un’altra volta, eh?

– È di sopra, – dice Alex. – A farsi bella –. Una frase che potrebbe pronunciare suo padre.

Louisa vorrebbe andare in cucina a dare una mano ma è ancora a disagio in presenza di Angela. Non riesce a figurarsela come insegnante. Si era aspettata piú calore, un atteggiamento piú aperto.

Daisy volta pagina («Sentita tutta la terribile storia della morte di Lucy e di tutto quello che ne è seguito, mi sono abbandonata esausta sulla sedia»).

Dominic guarda i piedi di Benjy. – Non penserai di salire su quella collina in sandali.

Clic. Tutti riuniti in posa per un istante, a sorridere a se stessi nel futuro. Spiagge e cattedrali, autoscontri e feste di compleanno, bicchieri levati intorno a un tavolo da pranzo. Ogni foto è un breve intervallo tra un evento e l’altro. Niente capricci, malattie, brutte notizie, tutte le cose grosse succedono prima, dopo, in mezzo. La vera magia ha luogo solo quando non funzionano le piccole magie, la figlia fantasma che si muove durante l’esposizione, il viso illeggibile ma piú vivo di quello di tutta la famiglia congelata. Doppie esposizioni, come se una strisciolina di tempo si fosse riavvolta su se stessa. Rigature e lampi di sole. Foto strappate dopo i divorzi, facce grattate via o cancellate con la biro. La macchina dice la verità solo quando qualcosa le scivola tra le dita d’argento.

– Se potessimo riposarci ancora un po’ –. Angela era spaventata dalla sua pessima forma fisica. Negli occhi le fluttuavano protozoi luminosi.

Richard spense il cellulare e scosse stancamente la testa. – Ti aspetteresti che a venticinque anni siano in grado di farsi sostituire quando sono in vacanza. E hanno in mano delle vite umane. Qualche volta perdo la speranza.

– Possiamo mangiare qualcosa? – disse Benjy.

– Puoi mangiare una banana.

– Ma è solo frutta.

– Alle scimmie piace.

– Le scimmie mangiano le mosche.

Aria fresca e grigia. Angela si girò a guardare giú per la collina verso la casa rimpicciolita. Tanto sforzo per salire… quanto, trecento metri? Seicento? Per renderti conto che viviamo sulla superficie di un pianeta, che ci muoviamo all’indietro e in avanti e in cerchio, ma siamo intrappolati per sempre fra la terra e il cielo. Immaginò il panorama come una riproduzione in papier mâché nell’atrio della scuola. Perle ai porci. Pensò ai ragazzini che non avevano mai visto davvero la campagna. Kaylee, Milo. Il padre di Mikela che trovava tutta la questione rurale altamente sconcertante. «“Andiamo a fare una bella passeggiata” dovrebbe essere scritto sulla bandiera del Regno Unito». Anche se l’unica volta che lei e Dominic avevano passato qualche giorno in un cottage del National Trust avevano trovato stampe che raffiguravano il traffico degli schiavi appese alle pareti. Negri in catene traghettati in canoa verso una nave che li aspettava al largo.

Daisy si sedette di fianco a Melissa e le offrí il caffè che le rimaneva nella tazza. – Mi dispiace per ieri –. Aveva voglia di raccontarle di Lauren, ma era una storia troppo lunga e non voleva darle un vantaggio del genere. Melissa taceva. Daisy si alzò in piedi. Che l’altra l’avesse perdonata o meno, il fatto di essersi scusata la faceva sentire piú leggera.

– Hai molti amici?

Daisy si domandò se Melissa intendesse essere sarcastica.

– Insomma, tipo altri cristiani…

– Possiamo anche avere amici non cristiani, non è proibito.

– Scusa, ho detto una stupidaggine.

Anche se papà aveva ragione, i suoi vecchi amici si erano davvero allontanati, e quella che all’inizio le era sembrata un’operazione di pulizia aveva lasciato un buco piú doloroso di quanto si aspettasse. Sapeva che quel buco c’era sempre stato, che gli amici erano stati la fasciatura su una ferita che adesso era in grado di curare, eppure non riusciva a rispondere alla domanda, cosí la rigirò. – Tu sí che devi averne tanti, di amici.

Melissa scoppiò a ridere. – Li odio tutti, cazzo. – Fece un profondo respiro e si girò verso Daisy. – Scusa per tutte queste parolacce.

– Anche noi abbiamo il permesso di dirle –. Una volta però Tim le aveva dato una lavata di capo perché aveva detto «Merda».

– A volte mi sento cosí sola, cazzo. – Il mondo smise di girare per un attimo. – Ecco, ci risiamo. Occazzo-cazzo-cazzo –. Strizzò gli occhi ma non riuscí a trattenere le lacrime.

– OK, gente, – disse Dominic, – armiamoci e partiamo.

Daisy guardò a terra, in mezzo ai piedi. Un piccolo arcipelago di muschio giallo su una pietra grigia screziata.

– Venite o no? – gridò Dominic.

– A Melissa si è infilata una scheggia in un dito. Vi raggiungiamo –. Guardò sua madre alzarsi in piedi e si rese conto che era dolorante.

– Grazie, – disse Melissa, piano.

Il gruppo delle New Leaves si staccò dalla Vineyard Church nel 1999. Tim e Lesley Canning si sentivano sempre piú lontani dalla direzione in cui stava andando la Chiesa. Musica rock, il Toronto Blessing, la glossolalia. Cominciarono a riunirsi nelle loro cucine, e poi in altri luoghi di preghiera man mano che i membri aumentavano, e infine riuscirono ad affittare una sala che in precedenza aveva ospitato un circolo di judo. Erano vicino all’università e fornivano un rifugio sicuro a giovani che spesso vivevano molto lontano da casa. Singapore, Uganda, le Filippine. Avevano un chiosco alla Festa delle matricole e in estate organizzavano ogni settimana pomeriggi in cui si giocava a frisbee e si mangiavano krapfen. Come parte del Programma di guarigione spirituale, la maggioranza dei membri della Chiesa faceva un paio d’ore settimanali di volontariato in Lever Street. A Tim non erano mai piaciuti i predicatori da strada con striscioni e bandiere perché sicuramente il Signore salvava le anime e non le masse, perciò cercavano di avvicinare persone che sembravano sole o in qualche modo in difficoltà, molte delle quali avevano un disperato bisogno di aiuto. Si mettevano in cerchio e pregavano e spesso si sentiva la presenza di Gesú percorrere quella catena di mani come una scossa elettrica. Un uomo ammalato di cancro ebbe una remissione spontanea della malattia. Un altro posseduto dal demonio fu esorcizzato e smise di sentire voci nella sua testa.

A Daisy sembrava tutto un po’ insensato, all’inizio, ma in seguito quell’insensatezza, l’assoluta distanza tra la Chiesa e il mondo che l’aveva trattata cosí male, divenne parte del fascino. Accettò l’invito a quella prima funzione come prova della propria ampiezza di vedute e ne ebbe un gran bisogno per resistere sino alla fine. Imbarazzo, perlopiú, per il modo in cui queste persone parlavano e cantavano come bambini sovraeccitati, e un lieve disgusto quando tutti furono invitati ad abbracciare il proprio vicino e lei si ritrovò per un attimo tra le braccia di un uomo che, francamente, puzzava. E quella sarebbe rimasta la sua impressione, se mentre andava dritta filata verso l’uscita non fosse stata intercettata da una piccola indiana con cerchi ai polsi, un vestito rosso sgargiante e un sorriso che a Daisy sembrò l’unica cosa genuina su cui aveva posato gli occhi da quando era arrivata. La ragazza le tese la mano: – Anushka. Tu devi essere Daisy.

– Ho fatto cose terribili –. Erano seduti un po’ in disparte dagli altri, abbastanza lontani da avere un minimo di intimità ma vicini quel tanto da impedire a Richard di urlare o di fare una scenata. Quella sensazione di trovarsi sotto vetro, tutto cosí ovattato e distante. Era convinta che avrebbe vomitato.

– Stiamo parlando della tua fedina penale? – Si mise a ridere, senza sentire l’incrinatura nella voce di lei.

– No, non si tratta di questo.

Allora la sentí, ma lui non pensava a Louisa come a qualcuno che avesse fatto qualcosa di particolarmente significativo, bello o brutto che fosse, piuttosto come a una persona che si era messa al servizio degli altri perché fossero loro a poter fare cose significative. – Raccontami.

Lei chiuse gli occhi. Non c’era piú modo di tornare indietro. – Dopo che io e Craig ci siamo lasciati sono stata a letto con un mucchio di uomini.

– Quanti? – Adesso era il medico che parlava.

– Dieci. Dieci uomini –. Una piccola bugia pietosa. Era cosí terribile? Solo se si teneva conto delle date, forse. – In quel periodo bevevo parecchio –. Non sembrava cosí spaventoso adesso che era tutto lontano. Si era sentita sola. Aveva fatto degli errori. – Di’ qualcosa. Ti prego.

– Ci sto pensando –. Voleva sapere i dettagli e non voleva saperli.

Se solo l’avesse abbracciata. – Ho fatto il test per l’Aids –. Ma quando lo disse ad alta voce suonò tutt’altro che rassicurante… Sangue e sperma. – Mi dispiace davvero –. Ma perché si stava scusando con lui? Perché lui non l’aveva salvata prima?

A lui non veniva in mente niente da dire. Era un moralista? Certo che lo era, ma come si faceva a cambiare?

– Richard…?

– Sono un po’ turbato.

– Cosa? – Rimase sorpresa dalla rabbia che provava. Era disgustato, invece. Cercò di parlare a bassa voce per non farsi sentire da Dominic o Angela.

– Sto solo cercando di essere sincero.

– Io ho sempre avuto fiducia in te. La ragazza. Quella che è finita in sedia a rotelle. Nemmeno per un momento ho dubitato di te quando…

– È una cosa diversa.

– Perché è diversa, Richard…?

– Perché non è stata colpa mia.

– Tu credi che io abbia deciso intenzionalmente di fare…?

Lui non riuscí a trattenersi. – Una non va a letto con dieci uomini per caso –. Non stava cercando di essere sgradevole, gli sembrava un semplice dato di fatto.

– Ma tu mi ami davvero, Richard? O ti piace semplicemente avermi intorno finché non ti creo problemi?

– Certo che ti amo –. Suonò come una risposta di circostanza. Lo sentirono tutti e due, ma lui non poteva certo tornare indietro e cambiare tono.

– Non sono sicura che tu sappia cosa significa amare qualcuno –. Non aveva mai parlato cosí prima di allora, non con Richard. Cavalcare l’onda aveva un che di morbosamente eccitante.

– So benissimo cosa significa.

– Allora dimmelo.

– Significa… – ma cosa poteva dire? Non era qualcosa che si potesse tradurre in parole.

Lei si alzò in piedi. – Quando trovi la risposta vieni a dirmela.

Il monastero, eretto nella Valle di Ewyas, «in una zona popolata di tribú barbariche», è oggi un albergo con quattro camere, ciascuna delle quali si apre sulla scala a chiocciola della torre. «Si consiglia agli ospiti di arrivare durante gli orari di apertura del bar cosí da evitare attese all’esterno». Arcate in rovina che si allungano come zampe di un grosso ragno di pietra. Transetti, triforio, lanterna. Ottocento anni di vento e pioggia e saccheggi. Sir Richard Colt Hoare vede cadere la grande finestra a ovest nel 1803. Pendii d’erba rasa come panno verde. Holly Hop e birra Brains Dark nella frescura del bar col soffitto a volta. Barrette Snickers al cioccolato e coppette di gelato Ben & Jerry con il cucchiaino di legno sotto il coperchio di plastica. Le macchine che risalgono la valle fino a Gospel Pass in senso contrario alle antiche glaciazioni, fermandosi per permettere ai camion di fare inversione, procedendo a passo di lumaca dietro i ciclisti. Quattro escursionisti a cavallo su dei pony. Uno grigio, uno fulvo, due biondi. Per un attimo il sole formò un cono di luce, come se il cielo volesse perlustrare la terra.

Benjy apre il panino e a turno lecca via la marmellata da ciascuna fetta.

– Sorridi, – dice Alex. Clic.

– Ehi –. Dominic si siede di fianco ad Angela. È tornato ad amarla. O forse amare non è la parola giusta, ma in sua presenza sente un benessere che non sentiva da anni. È lui quello che si preoccupa. Non c’è bisogno di dirlo. Può elargire il suo perdono senza fretta. In albergo era andato in bagno e aveva mandato un messaggio a Amy: «Solo due parole ti penso bacio D». Si domanda se in effetti Angela non sia affetta da qualche disturbo psichiatrico. Anche questa è una consolazione. – E di quelle due cosa ne pensi? – Accenna con la testa a Daisy e Melissa, sedute a parlare su un contrafforte diroccato.

Le fanno male i polpacci e ha una vescica sul tallone sinistro. – Forse Melissa la sta portando sulla cattiva strada –. Il giorno prima, quando si era allontanata, Daisy aveva visto tutto dal proprio punto di vista. Che poi era anche quello di Dominic, no? – Forse le farà bene.

– Perché la faccenda della religione ti disturba tanto?

Non aveva voglia di parlarne adesso. – Perché crede di aver ragione e che tutti gli altri abbiano torto.

– Ma non è cosí per tutti gli adolescenti del mondo?

Angela sentiva la presenza di Karen.

– In effetti, – disse Dominic, – credo che abbia paura di avere torto, e che tutti gli altri abbiano ragione –. Si sentí recitare la parte dell’uomo saggio, ma questo non toglieva che le sue preoccupazioni fossero reali.

E improvvisamente passò loro davanti Louisa, diretta verso il bar con lo sguardo fisso davanti a sé. Dominic ebbe l’impressione che avesse pianto, ma in quel momento Angela lanciò una salvietta umida a Benjy dicendo: – Hai la faccia tutta sporca di marmellata, ragazzo.

– Pelle bianca e un sacco di peli neri, – disse Melissa. – Tipo anche sulla schiena. È la cosa piú schifosa di tutte.

– Muscoli enormi. – Daisy si mise a ridere. – O i tatuaggi. Odio i tatuaggi.

– Io ho un uccellino azzurro sul sedere –. Melissa si interruppe. Erano ai margini della foresta incantata, i re e il loro giudizio lontani. – Dopo te lo faccio vedere se prometti di non dirlo a nessuno –. «E gliene stillerò l’umor sul ciglio».

– Be’, credo che dovrò fare un’eccezione nel tuo caso –. Daisy si domandò se anche la Chiesa non fosse il tatuaggio di un uccellino azzurro. Il dubbio, quel cancro del cuore.

– Il principe Albert si era attaccato un anello al pene per poterselo legare a una gamba. Doveva essere un mostro –. Melissa scoppiò a ridere e tutti si girarono domandandosi di cosa stessero parlando.

– OK, hai vinto. Questa è assolutamente la piú schifosa.

– Allora… – Melissa le sfiorò il braccio, per mostrarle che non la stava prendendo in giro. – Raccontami un po’ di questa religione –. Non era invidia. Piú che altro una specie di fascinazione zoologica. E quell’impressione che fosse fatta d’acciaio… Forse c’era anche un po’ di invidia.

Daisy indugiò. Aveva immaginato quel momento molte volte in quegli ultimi pochi giorni ma adesso che era arrivato… Come faceva a dirlo senza disperdere quella cosa senza nome che aleggiava tra loro due? – Non ti chiedi mai se è tutto senza senso o invece c’è qualche significato piú grande? – La frase clou. Avrebbe voluto essere piú originale.

– Qualche volta, forse.

– Shakespeare, le piramidi, gli esseri umani… – Guardò Benjy che giocava col Nintendo e pensò davvero che fosse straordinario. – Non può essere tutto frutto del caso, no? Cioè… – Come faceva a esprimere tutta quella meraviglia? – Guardi il cielo di notte ed è bellissimo ma è anche spaventoso. Non credi?

– Piú o meno –. Ma era vero? Le sue paure erano appostate piú nell’immediato e avevano i piedi ben piantati per terra.

– E se non riuscissi a smettere di pensarci?

– Credo che prenderei degli antidepressivi veramente potenti –. Melissa scoppiò a ridere. Era esattamente quello che avrebbe fatto.

– Qualche volta mi sento invisibile. Mi guardo e non vedo niente.

Melissa ebbe un sussulto di identificazione. L’attenzione di Alex che stava svanendo. Ma non era pronta ad attraversare il fiume.

– Una volta recitavo, – disse Daisy. – Recite, commedie, sai… E quando ero qualcun altro, allora sapevo chi ero –. Non l’aveva mai detto prima.

– Dovresti recitare adesso.

– Cosa?

– È un esercizio che facevamo a scuola. Fingi di essere qualcun altro per tutto il giorno. Un cieco, un sordo, uno zoppo, qualcuno che non sa parlare inglese –. In realtà non aveva mai smesso davvero di fare quel gioco.

– E cosa dovrei essere?

Melissa sorrise. – Credo che dovresti essere una vera stronza.

Ma era possibile essere qualcun altro? La foresta, quella magia fatata. La mia padrona si è innamorata di un mostro.

Con lui non sarebbe mai stata infedele. Sciocca, forse, incauta, ma mai infedele, mai disonesta. Strano che la sua rivelazione desse a Richard quella certezza. Lei voleva che gli altri fossero felici. Qual era il problema, il fatto che avesse dato piacere ad altri uomini, dispensato i suoi favori con tanta prodigalità? Richard si domandava se lui non fosse semplicemente il primo uomo decente che le era capitato. Lo disturbava anche il pensiero che gli altri fossero stati… cosa? Piú avventurosi? Piú rudi? Piú virili? E che lei accettasse le sue carenze in cambio della sua affidabilità, la sua rispettabilità, i suoi soldi.

La relazione di Jennifer aveva accelerato la fine del loro matrimonio, non per il tradimento né per il fatto che lei non fosse riuscita a nasconderlo, ma perché a lui non era importato granché. Non riusciva a immaginarsela che si dava a qualcuno, che qualcuno la prendesse. All’inizio pensava che fosse una donna passionale. Non aveva mai capito cosa vogliono le donne, e si era sentito eccitato e insieme sollevato nel trovarne una cosí esplicita riguardo ai propri bisogni, eppure c’era sempre qualcosa di meccanico nei loro amplessi e col tempo si rese conto che alla radice della passione c’era una rabbia di cui non era mai riuscito a comprendere l’origine.

L’alcol giustificava il comportamento di Louisa o lo aggravava? Forse tutti possedevano un lato oscuro della personalità che le circostanze tenevano a bada. Chissà che tipo di vita avrebbe potuto fare sua madre se il marito non fosse morto inaspettatamente. Romanzacci da aeroporto disposti sugli scaffali in base all’altezza. Le scodelle di melamina verde.

Avevano attraversato il punto piú alto di Offa’s Dyke e camminavano incontro a un vento gelido che si alzava dalla valle. Si tirò su la cerniera della giacca impermeabile arancione. Pioggia nebbiosa, ciuffi di nuvole trascinati in alto come tende bianche stracciate.

Avevano raggiunto il sentiero di ghiaia sopra la casa. – Tutto bene? – le stava gridando Dominic. – A posto –. Angela si fermò un attimo prima di sollevarsi sopra il muretto. Aveva bisogno di un bagno caldo, di una crema antisettica e delle pantofole di montone che non si era portata da casa. Alzò lo sguardo. Una farnia. Quercus robur. In una vita precedente si era laureata in biologia. Peduncolata, non sessile, come mostravano i piccioli sotto le ghiande. Impacchettava quelle nozioni e le offriva in regalo a ragazzini che le dimenticavano subito dopo gli esami. O prima. Mitocondria e ribosomi. Il ciclo del carbonio, Banting e Best. La Natura con la N maiuscola. Che strano che la detestasse in tutte le sue manifestazioni. Passeggiate nella brughiera e una visita ogni tanto allo zoo safari con Benjy. Pinguini e pipistrelli. Era quello il suo limite, in realtà. Un tempo era appassionata, andava in giro con una torcia e un canovaccio di mussola a raccogliere falene. Lithophane leautieri, Abraxas sylvata, Rodilegno, Carpocapsa del melo. Tutto svanito. Difficile appassionarsi a qualcosa ormai. Pensò a sua madre. Era fisiologico, naturalmente. Demielinizzazione, nodi neurali. Ma era impossibile non porsi degli interrogativi. Essere annoiati dalla vita, aver voglia di mollare tutto.

Qualcosa si muoveva in lontananza. Era…? Doveva smetterla. Se ne avesse parlato con qualcuno, forse. Un orologio ticchettante e una scatola di kleenex sul tavolino di legno di pino. Non aveva mai chiesto a Richard di Jennifer, perché stavano insieme, perché non stavano piú insieme. Dominic aveva ragione. Lei si considerava una persona che si preoccupa per gli altri, ma tutta quella preoccupazione la esauriva a scuola. Posò il piede sul piccolo gradino di legno e sollevò la gamba dolorante.

– Per cominciare inseriamo un ago nell’arteria femorale.

– Quello è l’inguine? – domandò Benjy.

– Proprio cosí. – Richard allungò una mano e prese il pezzo di puzzle con l’immagine dell’impiccato. – Ecco –. Lo diede ad Angela.

Louisa li guardava dal suo posto vicino alla finestra. Richard non ci stava nemmeno pensando, chiaro. Almeno Craig era esploso e aveva cambiato aria. Aveva fatto un errore tremendo? Le lauree, i libri, la musica.

– Questa, – disse Melissa guardando il puzzle, – è sicuramente l’attività piú noiosa dell’universo –. Ma la punta di fastidio era scomparsa.

– Credo che mi terrò i puzzle per quando sarò in casa di riposo, – disse Daisy. Le due ragazze. La loro piccola massoneria.

– Mi sa che io ci andrò presto, – disse Angela. – Sherry alle cinque e gli studenti della Scuola d’arte drammatica che vengono a cantare i successi degli anni Settanta –. Solo che non ci sarebbe stato nessuno sherry, perché questa volta non sarebbe stato Richard a pagare. Un posto gestito dagli enti locali. Lisoformio e Tv a tutto volume, come a Guantanamo.

Melissa trovò il suonatore di liuto.

– I raggi X non sono particolarmente dannosi, – disse Richard. – Il pilota. È quello il lavoro da evitare. Il cancro al seno è molto diffuso tra le assistenti di volo.

– Ti sembra un buon argomento di conversazione? – disse Angela.

Entrò Alex e andò a sedersi vicino alla finestra, di fianco a Louisa. – Tieni –. Le porse un bicchiere di vino. Stava flirtando, era chiaro. Lei si spostò di un centimetro e gli sfiorò la spalla con la sua. Richard li guardò. Lei toccò il bicchiere di Alex. – Cin cin.

Dominic staccò le infiorescenze dal broccolo e le mise nel cestello del vapore, poi aprí un attimo il forno per controllare le patate dolci. Che strano che ormai cucinare fosse una professione piú che altro maschile. Marco Pierre White, Gordon Ramsay. «Quel risotto non lo darei nemmeno al mio cane, cazzo». Richiuse il cartoccio di carta da forno, tagliò una piccola piramide di burro dall’angolo del panetto e la lasciò cadere nella padella. Exile on Main Street in sottofondo. Il miglior doppio album nella storia del rock. A meno che Blonde on Blonde non fosse un doppio. In quel caso il migliore subito dopo, forse. Registrato in quel castello utilizzato dalla Gestapo. Tumbling Dice. Keith Richard che si addormentava con una siringa infilata nel sedere. Ora solo ospitalità aziendale e sponsorizzazione Volkswagen. Bob Dylan che faceva pubblicità a una marca di biancheria femminile. Mise la cipolla affettata nel burro sfrigolante. Anche lui era vegetariano quando era studente. Prima del morbo della mucca pazza mettevano grassi animali dappertutto. Nei biscotti, nei gelati. La spesa nel reparto kosher del Safeway di Stamford Hill, assieme alle casalinghe hassidiche con le loro parrucche anni Cinquanta. Lavò gli spinaci nello scolapasta e li aggiunse alle cipolle, schiacciandoli. Strano provare questa soddisfazione per i difetti di Angela. Una volta tornati a casa avrebbe rotto con Amy. Ormai non aveva piú senso. Era solo un modo per dare un valore a se stesso come persona, per sentirsi meglio. Non ne aveva piú bisogno. Gli spinaci si scurirono riducendosi. Karen, la figlia che non aveva mai avuto, che lo benediceva dall’oltretomba. Mezzo litro di latte intero nel microonde. Però quello che stava succedendo tra Daisy e Melissa. «Mi è abbastanza simpatica, in realtà». Chiuse le virgolette. Occhi bassi, quel goffo imbarazzo adolescenziale che non vedeva da tanto tempo. Avrebbe aiutato Angela a riprendersi, si sarebbe impegnato perché la famiglia tornasse a funzionare, comportandosi come un vero padre. Versò un misurino di farina negli spinaci burrosi e mescolò il tutto. Avrebbe potuto dare lezioni private come una volta. Guadagnare un po’ di soldi extra. Il profumo mielato delle patate dolci arrosto. Sarebbe andato tutto bene. Physical Graffiti. Anche quello era un doppio album, no? Forse Exile era al terzo posto.

– Guarda –. Melissa si fermò e lanciò un’occhiata sui due lati del ballatoio. Si alzò la gonna, si abbassò le mutande ed eccolo lí, un uccellino azzurro sulla natica, dove l’abbronzatura sbiadiva in un bianco lunare. «Io bagnerò col succo di quest’erba le sue palpebre». Daisy avrebbe voluto farle un complimento ma le sembrava una cosa indecente. – Ti ha fatto male? – Melissa la stava lasciando guardare troppo e Daisy non riusciva a staccare gli occhi. – Era un tipo carino perciò non mi è dispiaciuto particolarmente. – Si tirò su le mutande. – Se lo dici a qualcuno… – Ma perché avrebbe dovuto? Aveva la sensazione che la trasgressione fosse sua, non di Melissa.

Ad Angela piaceva tutto ciò che aveva un sapore latino. L’Orchestra Baobab, Buena Vista Social Club (aveva dovuto sorbirsi cosí tanti cori a scuola che nella sua mente i testi inglesi erano immancabilmente scanditi dal ritmo rimbalzante di una pallina). Ad Alex piacevano i Razorlight, i Kasabian, musica che uno ascoltava per strada col finestrino abbassato, mentre Daisy adorava il movimento ampio della musica corale, e la tastiera portatile in chiesa le dava un desiderio colpevole di essere a St. Catherine la vigilia di Natale, con le candele e il crepitio dell’agrifoglio, un organo da chiesa e i ragazzi che sembravano angeli. Ma era Benjy l’ascoltatore piú attento di tutti loro, dalla sera in cui era stato male ed era rimasto alzato a guardare Bulli e pupe con la mamma. Canzoni, danza, tutto compresso in una enorme torta dolce e appiccicosa. My Fair Lady. Calamity Jane. Perché non si poteva avere a disposizione un’orchestra nella vita vera? Qualche volta cantava The Deadwood Stage o The Surrey with the Fringe on Top quando nessuno lo guardava, e quando camminava per strada schioccando le dita, esibendosi nelle sue incerte piroette, solo quattro persone al mondo sapevano che stava interpretando la scena iniziale di West Side Story.

Ma adesso c’era Monteverdi in sottofondo. La teglia, ammaccata e scolorita come un’armatura elisabettiana. Cabernet Sauvignon Wolf Blass. Angela vede un topolino marrone che corre lungo il battiscopa lucido. – Fammi indovinare, – dice Richard. – I Vespri? – «Sembra fiacco stasera», pensò Dominic. Forse lui e Louisa avevano davvero litigato a Llanthony. Adesso che ci pensava, sí, anche Louisa sembrava un po’ giú di corda. E quando si sedettero sembrò che Dominic avesse ereditato il posto di Richard a capotavola, assieme al ruolo di pater familias. In realtà l’impressione era che i ruoli fossero stati tutti riassegnati, perché Louisa era seduta vicino a Benjy, certo non il posto che avrebbe scelto lei, e tuttavia gli chiese che materie gli piacevano a scuola, lui le disse quanto detestava la matematica e lei gli insegnò a fare le divisioni di due cifre su un tovagliolo di carta. Daisy e Melissa si stringevano l’una all’altra e Angela e Alex stavano ricordando la disastrosa vacanza a Barmouth, l’intossicazione, tutte quelle persone bloccate dall’alta marea che gridavano aiuto. La quiche di Dominic era venuta bene. Con la pasta brisée in eccesso aveva scolpito un cagnolino che aveva messo al centro della crosta dorata, e Benjy ottenne il permesso di mangiarlo. E piú tardi, mentre prendevano il caffè e Daisy e Alex lavavano i piatti, Angela si trovò seduta vicino a Richard e d’impulso decise di dirgli di Karen. Una sorta di esorcismo. Perché non gli aveva nemmeno mai detto di essere incinta, e dopo le era sembrato un fatto troppo fragile per condividerlo con qualcuno che era quasi un estraneo. Ma all’ultimo momento cambiò idea e si sentí dire: – Cosa ne fanno dei cadaveri in ospedale?

– Li mettono in cella frigorifera, – disse Richard, – poi, eventualmente dopo l’autopsia, li affidano a un’impresa di pompe funebri. Perché lo vuoi sapere?

– E un bambino nato morto? – disse Angela. I secondi oscillavano avanti e indietro come acqua contro un pontile.

– A seconda della durata della gestazione e del volere dei genitori, può essere affidato anche lui a un’impresa perché venga celebrata una sorta di funerale –. Teneva in mano un cubetto di zucchero in modo che sfiorasse appena la superficie del caffè, come faceva sempre Benjy nei locali.

– E in caso contrario?

– Viene portato all’inceneritore delle scorie e bruciato. – Lasciò cadere il cubetto di zucchero nel caffè. – Ma è un argomento abbastanza raccapricciante.

Se le avesse rivolto la domanda lei gli avrebbe detto tutto, ma lui non sapeva che domanda rivolgerle.

– Tenetevi forte, – gridò la testa rimpicciolita. – Adesso si balla –. E l’autobus sfrecciò via nella notte. Benjy aveva insistito e tutti gli altri suggerimenti riguardavano cose troppo violente o troppo spaventose o contenevano storie d’amore su cui Benjy pose decisamente il veto, cosí si piegarono ai suoi voleri e, per quanto alcuni di loro fossero restii ad ammetterlo, c’era qualcosa di confortante in quella scelta. Incantesimi e pozioni, la Cura delle Creature Magiche. Perché, in definitiva, il luogo in sé è irrilevante, Combray, Meryton, San Pietroburgo, a patto che sia sulle colline, lontano; e il viaggio, che un tempo affrontammo semplicemente schioccando le dita, con gli anni si è fatto piú lungo e periglioso.

– Ehi, Tigre, – disse Dominic. Benjy si era raggomitolato con la testa in grembo a suo padre. Guardava il film a un’angolatura di novanta gradi, ma lo conosceva talmente bene che non aveva quasi bisogno di vedere. – Sarebbe ora di andare a letto.

Se solo avesse potuto dormire lí, come faceva da piccolo, il fuoco che guizzava e scoppiettava nel camino, le voci familiari, le bestie lontane.

Melissa voltò pagina e la schiacciò per appiattirla.

«Il proiettile entrò nel torace di Tapp, sollevandolo verso l’alto e all’indietro. Furono tante e cosí intense le impressioni compresse in quei due secondi da farli sembrare minuti. Sembrò che Tapp fosse impegnato in un pezzo di danza moderna. Chinando gli occhi e vedendo una grande lingua di liquido rosso estendersi ad arco sulla tovaglia bianca, ricordo con intensa chiarezza di aver pensato dapprima che fosse il sangue di Tapp, e poi di essermi reso conto che era il sorbetto al lampone sfuggito dalle mani di Jocelyn».

«Lo sforzo ad ogni modo gli ha fatto bene. Non è mai stato cosí risoluto, forte e pieno di vulcanica energia…» Ma Daisy non riusciva a leggere, non voleva leggere, non voleva essere in altri luoghi che questo. Da tempo non provava quell’entusiasmo per la vita. Voleva riportare Melissa all’ovile. «Mi sento cosí sola, cazzo». La mietitura delle anime. Ma non voleva rompere l’incantesimo. Era cosí brutto aver trovato un’amica?

Louisa si lavò la faccia e se la asciugò con l’asciugamano azzurro. Aprí l’armadietto a specchio e quando lo richiuse lui era sulla porta alle sue spalle.

– Mi dispiace molto.

Il dispiacere costa poco, diceva sempre la mamma. Rimorsi dopo l’acquisto, merce avariata eccetera. – Be’, dispiace anche a me –. Adesso l’avevano detto tutti e due, anche se non lo pensavano.

– Perché non me l’hai detto prima?

Lei prese il suo dentifricio dall’armadietto. – Per darti la possibilità di tirarti indietro?

– Non mi sarei tirato indietro –. Era una bugia?

Si lavò i denti. Per un attimo lui la guardò come se fosse un altro uomo. Altri uomini. Gli vennero le vertigini. Chiuse gli occhi. – Qualche volta mi sento un bambino.

Ma lei non voleva essere sposata con un bambino.

Marja, Helmand. Il cecchino che si allontanava dalla finestra quel tanto da impedire al sole di riflettersi sul mirino. Scoppio e contraccolpo. Un marine inciampa sotto il peso del fucile automatico rosso. Sui Monti Khentii la luce dell’alba sfiora i cavalli selvatici. Huddersfield. Bollicine di zucchero scuro in un cucchiaio ossidato. Tartarughe annegate nell’olio. Il ronzio del codice binario, un trilione di uno e di zeri. La brodaglia di bond e future. Reckitt Benckiser, Smith and Nephew. Fosse tettoniche e camere magmatiche. L’Eyjafjallajökull che fuma come un calderone delle streghe. Il sonno che mescola gli eventi della giornata come un mazzo di carte. Coppe e denari. Il Mago. L’Appeso. Punte di lancia e guardinfanti spezzati e sparpagliati nelle città dei morti. Il riscaldamento globale. Cadmio, arsenico, benzene. Baby, please. Un ranch che brucia nella prateria. Brando e la Hepburn che fanno avanti e indietro nelle loro gabbie d’argento, a ripetizione. Ogni mente al centro dello spazio e del tempo. La piccola stella spietata del qui e ora. I passeri che svolazzano nella sala dei banchetti «dove ceni nei mesi invernali in compagnia dei tuoi vassalli e dei tuoi consiglieri». Un breve passaggio di calore e luce tra buio e buio. La mano del patrigno sulla bocca del bambino. «Mein Irisch Kind, wo weilest du?» Una balena azzurra scivola veloce nel gelo abissale. Vipera di mare, pesce degli abissi, anguilla inghiottitrice. Un treno della Burlington Northern esce dalla stazione di Fort Benton carico di granaglie. Fulmini nube-nube sopra Budapest. La corrente che muta corso nel Tamigi. La Arklow Surf attraccata al molo di White Mountain, la Cymbeline a quello di Fords. Enormi abeti natalizi di luce sull’acqua nera. Avvoltoi su una Torre di Silenzio. Base Aerea Creech, Nevada. Un ragazzo di ventitré anni preme un pulsante. A piú di diecimila chilometri di distanza un missile Hellfire sibila staccandosi dalla pancia di un drone Predator. Tre case di pietra e terra compressa. Una bambina si sveglia e non ha il tempo di ricordare il sogno pieno di uccelli.

Angela è in piedi in cucina. Un buio azzurro, lunare. Un sussulto tintinnante e il motore del frigorifero si attiva. Cos’è stato a svegliarla? Di chi è quella cucina? Il terrore che la perseguita da quando si è ammalata sua madre, il terrore di fare anche lei quella fine. I nomi che sfuggono di continuo. Oggetti persi. Chiavi, portafoglio. I consueti inciampi della mente, amplificati forse. Ma qualche volta… quel vuoto assoluto. Atterrita dalle domande piú semplici. «Che anno è? Come si chiamano i tuoi figli?» Si tocca la faccia ma non riesce a ricordarsi com’è.

«Allora il re Nebukadnetsar, sbalordito, si alzò in fretta e prese a dire ai suoi consiglieri: – Non abbiamo gettato tre uomini legati in mezzo al fuoco? – Essi risposero e dissero al re: – Certo, o re.

Egli riprese a dire: – Ecco, io vedo quattro uomini slegati, che camminano in mezzo al fuoco, senza subire alcun danno; e l’aspetto del quarto è simile a quello di un figlio di Dio».