IL VOLO

Il signor Pym, presidente dell’Accademia reale di orticoltura, non aveva simpatia per i treni, mal sopportava i pullman e fieramente detestava i traghetti. Quel viaggio, tuttavia, si mostrava necessario. La faccenda andava chiarita. E lui l’avrebbe chiarita.

Il signor Pym si era trovato nell’imbarazzo di dover comunicare al signor Greenway, dopo una copiosa corrispondenza, l’invio di un’ispezione.

“Caro signor Greenway…” aveva provato più volte a iniziare la lettera cercando una formula che rendesse naturale quell’operazione. “Le comunico la necessità di inviare…” e il signor Pym aveva dovuto farsi forza, “un ispettore a verifica, e certificazione, delle sue tecniche di coltivazione.”

Era per via dei suoi successi: non puoi vincere il primo premio per le lattughe, per il sedano e anche la miglior resa per metro quadrato assieme al miglior contenuto in zinco e selenio. Troppa grazia! Gli invidiosi avevano protestato con l’Accademia reale di orticoltura.

Pertanto il signor Pym aveva dovuto prendere l’insolita decisione di svolgere personalmente l’ispezione. Tali controlli, per correttezza, andavano annunciati, senza tuttavia indicarne la data esatta, nel pieno rispetto del regolamento.

Il signor Pym aveva soffocato l’impulso di una breve telefonata, certo non avrebbe potuto essere un avviso esplicito, piuttosto un saluto di cortesia ma tale da far intendere a un uomo intelligente, e il signor Greenway lo era, che qualcosa, giocoforza, si stava per mettere in moto e che, se necessario, si regolasse secondo coscienza.

Il signor Pym aveva analizzato con freddezza quell’impulso, ricavandone la convinzione che lui stesso, nel profondo del suo animo, sospettava qualche abilità proibita.

Egli, probabilmente, non riteneva del tutto immotivate le proteste degli altri affiliati all’Accademia.

E, allo stesso tempo, non aveva elementi per poter escludere del tutto che il signor Greenway possedesse davvero un orto paradisiaco, dove sole, acqua e terreno fossero unici e le sue personali capacità tanto singolari da produrre risultati ineguagliabili. Sarebbe partito, pertanto, animato dall’imbarazzo quanto dalla curiosità.

Aveva preparato con cura la valigia contenente la strumentazione necessaria: cartina al tornasole, reagenti chimici, tabelle di pezzatura, tavole tassonomiche delle principali varietà vegetali coltivate. Poi un quaderno per appunti, schede di rilevazione, penne, inchiostro e un temperino. Avrebbe preso, in loco, dei campioni delle verdure coltivate e ne avrebbe tratto tutte le considerazioni possibili. Un esame obiettivo e incontestabile.

Quando il signor Pym giunse di fronte al cancello della Villa, tirò un sospiro di sollievo. Protese la mano verso il pulsante del campanello, sbirciando nel contempo attraverso le inferriate, soddisfatto per quel che poteva vedere: il lungo viale, la scalinata della Villa e il riquadro di un prato che gli sembrò inondato di luce. Attese pazientemente sino a quando, dal viale, vide avanzare una persona, un giovane al quale spiegò i motivi della visita.

Il giovane non parve impressionato nell’udire l’altisonante nome dell’Accademia reale di orticoltura. Aprì il cancello ben oliato.

Il signor Pym stava per chiedere al giovane di condurlo dal signor Greenway, ma questi, quasi avesse percepito la sua intenzione, gli fece cenno di avanzare in silenzio. Il signor Pym, guardando il giovane con maggior attenzione, notò la sua andatura mesta, quasi addolorata. A metà del viale, iniziò a scorgere la facciata della villa e si sorprese nel vedere, alle finestre, piccoli lumi di vetro rosso, tre per ogni davanzale. E ancor più si sorprese, giunto innanzi alla gradinata, nel vedere sul prato lunghe tele fluttuanti di garza bianca stese tra pali e corde.

Il signor Pym si rese conto che si trattava di un rettangolo chiuso, una sorta di stanza le cui pareti erano fatte di tessuto.

Il giovane gli aveva bisbigliato di attendere un solo istante ed era entrato nella villa.

Il luogo gli produceva un’impressione viva, di luce, spazio e profumi. C’erano segni evidenti di uno stile; un pensiero aveva agito sopra ogni elemento connettendo masse inorganiche e organiche: il reticolo di sentieri, le dimensioni del prato, la fittezza delle siepi. C’erano, persino, convincenti sequenze cromatiche tra l’edificio, i fiori perenni, il verde stesso del prato e quello sfumato dei meli e degli albicocchi. Il signor Pym ebbe un piccolo brivido nell’immaginare l’armonia degli orti.

Era immerso in questi pensieri quando si sentì chiamare. Si voltò e gli sfuggì un’espressione di sorpresa nell’osservare il sopraggiungere affannato del signor Greenway.

“Dio mio! Spero di non essere giunto in un momento difficile. Non intendevo recarle disturbo…”

“Egregio signor Pym, in effetti c’è un’operazione delicata che mi accingo a compiere e mi scuso, ma dovrò farla attendere. Potrebbe accomodarsi nella villa, a meno che non intenda farmi compagnia.”

“Ne sarei lusingato, signor Greenway.”

“Ecco, vede, questa notte ci ha lasciato una degli ospiti. Io, come sempre, eseguo alcune delle volontà testamentarie del defunto…”

“Non vorrei essere d’impiccio…”

“Nessun fastidio. Madame Lamarr desiderava che le farfalle che abbiamo allevato per lei fossero raccolte entro uno spazio chiuso. Come può vedere abbiamo allestito un recinto con della garza bianca. Sul soffitto abbiamo praticato un foro. Madame Lamarr era certa di rinascere come farfalla. Lei troverà quel foro per prima e volerà via. Libera.”

Il signor Pym rimase interdetto.

“Celebrate la morte con un volo di farfalle?”

“Se, in vecchiaia, diventassimo pesanti come il piombo significherebbe che tutta la nostra vita non lascerebbe altro che tracce tossiche nel mondo. Ma se riuscissimo a diventare leggeri, come l’elio, come una farfalla, allora parteciperemmo alla sua tessitura.”

“Se ha bisogno di una mano…” riuscì a dire il signor Pym.

“Le affiderò uno dei contenitori con le farfalle.”

“Di che farfalle si tratta?”

“Ce ne sono molte varietà. Madame Lamarr le amava tutte.”

Il signor Greenway andò a prendere due contenitori di rete fittissima e ne porse uno al signor Pym.

Il volume interno del cilindro turbinava, come un inquieto caleidoscopio, di variazioni cromatiche e Pym scorgeva onde azzurre e gialle, striature nere e arancione.

“Presto! Presto!” lo incitò il signor Greenway che tornava correndo verso la grande gabbia formata dalle garze tese tra i pali.

S’infilarono attraverso un’apposita apertura e, su indicazione di Greenway, i cilindri vennero aperti e lasciati al centro del rettangolo di garza. Rimasero a osservare la timida, casuale, fuoriuscita degli insetti. Il loro caotico spandersi, come un gas colorato, nella gabbia di garza.

Melchiorre aveva disposto, di fronte al rettangolo, una fila di sedie e vi si erano già accomodati il signor Stones, il signor Flood che stringeva la mano a Syd e il signor Boyle, rabbuiato come non mai. Emily stava all’estremo della fila, gli occhi velati.

Greenway colse l’occasione per chiedere al signor Pym il motivo della visita, anche se immaginava quanto nell’Accademia reale di orticoltura si mormorasse a proposito dei suoi risultati.

“Nulla d’importante,” disse il signor Pym, catturato da quell’atmosfera surreale e, davvero, non trovava più la necessaria rilevanza nelle motivazioni che lo avevano condotto alla villa. Da quella sedia, i cumuli di lettere lo abbandonavano, i francobolli sparivano, la sua scrivania si dissolveva. Forse non era nemmeno lui, quel signor Pym partito ore prima, a rispondere che, sì, avrebbe proprio gradito un volo di farfalle ad accompagnare il suo distacco dal mondo.

“Se ne può discutere.” Il signor Greenway però guardava altrove.

Flood faceva cenni con le mani, mimando numeri e cifre che avevano del misterioso. Si fermò per un attimo a riflettere, avvertendo che le sedie gli stavano parlando a proposito della data del trapasso del signor Greenway.

“Morirò anch’io fra poco?” chiese questi.

“In merito, c’è molta discussione tra le sedie,” rispose pacatamente Flood.

All’improvviso Melchiorre indicò qualcosa sul soffitto di garza.

Una piccola macchia di colore appariva sull’orlo del foro.

Un lepidottero, come sollevato da una bolla d’aria, trepidante e incerto, stava conquistando i liberi volumi del cielo.

Una monarca, sgargiante di nero e arancione, s’innalzò e a saltelli, a tratti frenetici, sorvolò l’intero rettangolo, e discese sopra gli estasiati spettatori, quasi intendesse salutarli.

“Addio madame Lamarr!” esclamò il signor Stones.

Emily, sommessamente, piangeva.

Greenway socchiuse, un istante, gli occhi. Vide le mani di madame Lamarr che aveva sfiorato, le gocce che aveva appoggiato sulle sue labbra, come aveva fatto anche con Eugene, così che tutto fosse più dolce, come dovrebbe essere.

Quando la farfalla virò, puntando alle distese del prato, tutti si alzarono in piedi e presero a seguirla.

Le batterono le mani, accompagnandone il volo sino a quando si perse lontano.