I ragazzi avevano atteso il pullman davanti alla Villa, il pullman che andava e tornava come un pendolo.
Dietro i cancelli, ognuno con la propria emozione, gli ospiti, Melchiorre ed Emily e il signor Greenway.
Piccoli saluti, qualche frase. Sguardi, il modo più profondo di parlarsi.
Sino alle porte che si chiudevano, al pullman che riprendeva la strada. Un cenno dai finestrini. Chissà chi lo stava salutando, aveva pensato Syd con le lacrime agli occhi.
Per il resto della mattinata Greenway e Melchiorre avevano parlato fitto.
Il giovane non se l’aspettava. L’inizio di un passaggio di consegne.
Greenway era stato molto chiaro: “Questa Villa dovrà continuare a esistere anche dopo di me.”
Gli aveva riempito la testa su come funzionava il farfallario, su quali specie di piante dovesse coltivare nelle serre per alimentare le farfalle.
Gli aveva detto che gli avrebbe dato dei grossi quaderni di appunti e che avrebbe dovuto studiarli. Gli aveva detto che si fidava di lui.
Melchiorre era rimasto intontito, le informazioni rimbalzavano tra i pensieri e s’infilavano negli scaffali della memoria. C’era moltissimo da sapere. Più di quanto avesse immaginato. Ma era stimolante.
Lo preoccupava soltanto l’ultima osservazione di Greenway: “Con le persone non si finisce mai di imparare e non c’è arte alcuna che ci metta al riparo dalla natura umana.”
Madame Lamarr era seduta sulla panchina del lato est del prato. Osservava la Villa da lontano, come a prenderne distanza. Vide alcuni uomini trasportare delle casse sulle spalle e dirigersi verso il farfallario.
Melchiorre impartiva ordini.
Greenway si era appena allontanato e non si vedeva più, dietro i cespugli.
“Stanotte ho sentito un colpo provenire dal bosco. È successo qualcosa?” gli aveva chiesto.
“Non dormiva?”
“Sembrava uno sparo. Mi sono anche spaventata.”
“Sì, era un sparo.”
“Chi è stato?’”
“Io. Ho messo fine a una guerra. Chiunque l’abbia combattuta, merita pace.”
Madame Lamarr finse di capire.
“E cosa vi siete detti lei e Daisy? Vi ho visti parlottare prima che i ragazzi salissero sul pullman,” aveva chiesto con una punta di gelosia nella voce.
“Mi ha fatto un regalo.”
“Davvero? Quale?”
“Un quaderno. Dove ha scritto quello che vedeva qui, alla Villa. Ci sono delle annotazioni su ciascuno di noi. La descrizione dei locali. E qualche riflessione. Senta questa: ‘La Villa è un convertitore di energia, è come se prendesse quel poco che rimane alle persone e lo trasformasse in bellezza.’”
Madame Lamarr aveva inspirato, a fatica.
“Sono state giornate bellissime. Ma non si possono avere giornate bellissime per sempre.”
“Hedy, io e lei, e tutti quelli che vengono in questa Villa, siamo ruggine, briciole, frammenti. E di tanto in tanto serviamo a far germogliare qualche seme.”
“Quei giovani… torneranno?”
“Chissà. Daisy mi ha anche confessato che sua madre scrive i racconti della signorina Peabody,” aveva risposto Greenway.
“Davvero?”
“Non so, secondo me li scrive Daisy. Quella ragazza ha del talento. In cambio del quaderno le ho dato la lettera che sir Attlee aveva scritto per il compleanno di sua figlia, prima che accadesse l’incidente fatale.”
“Perché?”
“Perché è una bella lettera sulla consistenza dell’amore.”
“E gli altri? Cosa avranno capito? Cosa gli rimarrà di tutto questo? Vorrei che non li avessimo spaventati o confusi. Vorrei che fossimo serviti a qualcosa. O mi illudo?” aveva chiesto madame Lamarr.
“Chissà. Prima, ai bruchi importa solo nutrirsi. Ma quando diventano farfalle, s’ubriacano volando.”
Erano rimasti seduti ancora per un po’. Rumori, foglie, fili d’erba, odori.
Luce.
Prima di alzarsi, Greenway aveva voluto sapere come si sentisse dopo questa incredibile avventura.
“Bene,” aveva risposto madame Lamarr, tutta occhi.
Bene.
Molto bene.