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Se vi foste trovati a passare per la stradina a fondo cieco con la schiera di ex scuderie, a Pimlico, non lontano dal Builders Arms e dal parchetto con la sinagoga profanata e le rovine di una casa apparentemente infestata dal fantasma di un soldato tedesco, avreste potuto osservare, verso le dieci del mattino di un freddo giorno di quella primavera, due persone che uscivano dall’ultima casa sulla sinistra. Lui in cappotto di cammello a doppiopetto, sciarpa di seta e basco nero. Lei indossava invece un soprabito di panno nero con le spalline, stretto sul seno e in vita, calze di una pesante lana grigia e mocassini da uomo. E in testa, vezzosamente ad angolo, un cappello di feltro grigio a tesa larga abbellito da un’elegante piuma e appuntato con uno spillone d’argento che aveva incastonata nella capocchia una piccola gemma. Intorno al collo una stola di volpe rossa. La donna portava una voluminosa borsetta, lui un ombrello avvolto ben stretto. Ci fu una breve conversazione, nervosa da ambo le parti, per stabilire se lei uscendo aveva chiuso il portone a chiave. Poi eccoli sul marciapiede sottobraccio, per risalire la strada in direzione della fermata dell’autobus. Un particolare in loro suggeriva che non fossero marito e moglie o, se lo erano, che fossero clamorosamente mal assortiti: era tutto un fermarsi, un divincolarsi, uno spazientirsi. Camminare insieme in quel modo rappresentava un’evidente seccatura per entrambi.
“Julius, non andare troppo veloce.”
“Ti prego, Gustl, non trascinare i piedi. Mi sembra di camminare con una bambina svagata. Dobbiamo essere sempre convincenti. Non ci devono essere dubbi.”
“Sì, sì. Sag mir nochmals ihren Namen.”
“Hilda Bacon.”
“Mio dio. Frau Speck. Gib mir eine Zigarette.”
Proseguirono di buon passo, soffiando il fumo verso la pungente aria del mattino, finché non si misero in fila per l’autobus vicino al sito di una bomba, presso la chiesa di St George. C’erano tre casalinghe con i bigodini, coperti dalla retina coperta a sua volta dal foulard legato dietro la nuca, in mano borse della spesa vuote. C’era un signore con una bombetta e la ventiquattrore, la faccia come un molle impasto per dolci. E due giovani che battevano i piedi dal freddo. Finalmente un autobus. La scoordinata coppia si sedette al piano di sopra, davanti, la loro destinazione una traversa di Fulham Road.
Li vediamo poco dopo di fronte al portone di un edificio bianco a tre piani, appartenente a una schiera, con una piccola libreria al livello stradale. La vetrina espone volumi accademici di storia europea moderna, perlopiù tedesca. Accanto c’è una porta nera con una targa lucidata che la identifica come la sede del Brompton Club. Dopo un minuto la porta viene aperta da una donna alta, di corporatura massiccia, in testa una cofana di biondi capelli intrecciati. Indossa un tailleur di tweed verde scuro. Gli occhi sono nascosti sotto palpebre pesanti. Una scintilla si accende in lei, nel vederli, poiché Julius le è noto, e Gustl altrettanto. Il proprietario del teatro colpito dalla bomba e sua sorella, l’eccentrica signora tedesca.
“Accomodatevi, prego,” dice, e lancia un’occhiata lungo la strada mentre i due entrano.
Li accompagna di sopra, in un ampio soggiorno dalle tonalità chiare che offre la piacevole vista di un giardino murato. Sopra il camino è appesa la fotografia incorniciata di un uomo dalla faccia sottile, in divisa nera. Un occhio è strabico.
Quando lo sguardo dei suoi ospiti scivola sul ritratto, Hilda Bacon non ha bisogno di dire loro che quello è il Leader. Mosley. Parlamentare di origini altolocate che rinunciò a tutto per fondare la British Union of Fascists. Aveva trascorso gran parte della guerra nel carcere di Holloway. Liberato nel ’43 per motivi di salute. Flebite.
Si siedono su basse poltrone intorno al camino. Su un tavolinetto ci sono fotografie ingiallite, montate su cartoncino, di un uomo in fluente tunica araba accanto a dei cammelli. Hilda Bacon spiega che il marito ha avuto un contrattempo. Julius si adagia alla poltrona, fissando Hilda e tirando boccate di sigaretta. Hilda Bacon è seduta con placida maestà e soltanto una volta tradisce disagio, quando si toglie un pelucco dalla gonna.
Accanto a Gustl, su un tavolo, sono appoggiati alcuni bollettini rilegati a punto metallico, quello in cima intitolato, a caratteri gotici, Imperial British Patriot, e altrove, sulla copertina, l’acronimo IBP. Il sottotitolo è Wir Kommen Wieder. Gustl lancia un’occhiata a Julius. Noi Torneremo.
Dieci imbarazzanti minuti dopo sentono alcune voci lungo le scale e nella stanza entrano con gran fracasso cinque uomini, tra cui il marito di Hilda, Frederic Bacon. Cinquant’anni, pelata e sguardo cupo, porta i baffi ben curati e un completo a tre pezzi e cravatta blu scuro sopra una camicia grigia con un fermacravatte a forma di freccia. Quando scopre i polsini si nota che come gemelli indossa due piccole svastiche. È considerato uno degli ufficiali più fidati di Mosley. In passato ha combattuto con Lawrence in Medio Oriente, dove era divenuto un esperto di malattie dei cammelli. È un cattolico devoto con una concezione religiosa dello stato, noto ai suoi sottoposti come un inflessibile despota. I quattro che lo accompagnano hanno tra i venticinque e i trent’anni, in impermeabile o montgomery, tutti ex camicie nere.
Hilda prende il cappotto del marito e Bacon si avvicina al fuoco, sfregandosi le mani. Vengono scambiati cenni di saluto, poiché Julius e Gustl sono noti a questi uomini. Si bofonchia qualche Heil, si fanno schioccare i tacchi. Alcuni di costoro hanno trascorso gli anni della guerra in carcere. Continuano a ritenersi degli idealisti in lotta per una causa persa che tuttavia potrebbe ancora ritrovare slancio. Nutrono una fede profonda nei loro leader. Tutti sono violentemente antisemiti. Gustl è impassibile come marmo e Julius, al solito, è colpito dalla sua compostezza. Frederic Bacon, in piedi, dà la schiena al camino, poi giunge le mani.
“Al lavoro,” tuona. “C’è un problema, signori. Abbiamo un problema.”
Tutti sanno di cosa si tratta. Riguarda la sicurezza. Gustl osserva gli uomini sparpagliati per la stanza. Li trova estremamente spaventosi. Ne è terrorizzata. Julius ha unito le mani sotto il mento e fissa il soffitto. Si sposta sulla poltrona e scuote la testa. Dal fondo della stanza arriva un borbottio ma Bacon lo zittisce.
“Che c’è, Edgar?”
Un giovane con la folta chioma bionda è seduto in avanti con i gomiti sulle ginocchia. Raddrizza improvvisamente la schiena. Sembra arrabbiato.
“Non si tratta di noi che parliamo al pub,” dice. “Ma di peggio.”
“Che cosa intendi, Edgar?”
“Sanno tutto. Arrivano sul posto addirittura prima di noi. Sanno quanti siamo, sanno quali cazzo saranno gli oratori—”
Gustl lancia un’occhiata a Hilda sollevando le sopracciglia e arricciando le labbra, come a dire: linguaggio scurrile per un salotto.
“Chiudi il becco, Edgar,” dice Hilda Bacon, “non sei in un locale pubblico in questo momento.”
Edgar volta la faccia di lato. Il rimprovero lo fa arrossire.
“Tuttavia, ha toccato un punto dolente,” interviene Frederic Bacon.
“Quale?” chiede Julius.
Gustl si meraviglia del fatto che Julius afferri l’ortica con tanto coraggio. Qualcuno sta passando i loro piani al nemico e più in generale mettendo i bastoni fra le ruote alle loro iniziative. Ci sono state adunanze cancellate dopo che i proprietari o i municipi locali sono stati informati della reale identità delle persone a cui stavano affittando un salone e del fatto che sarebbero scoppiati tafferugli. Per quanto riguarda i comizi, quando gli uomini di Bacon arrivano a montare il palco scoprono il nemico già in possesso del luogo, quale che sia il terreno incolto, il sito bombardato, l’angolo di strada dell’East End che avevano scelto. E chi è il nemico? Un gruppo di ex militari ebrei che, di ritorno dalla guerra, hanno scoperto che ciò che avevano combattuto stava rifiorendo nei loro quartieri. È ormai chiaro che hanno infiltrato qualcuno nel rinascente movimento fascista. Si fa il nome di Peter Ryder.
“Quale?!” esclama Frederic Bacon. “Il punto, mio caro Julius, è la qualità delle loro informazioni. Edgar ha ragione. Non sono informazioni che arrivano dai ranghi. E Peter Ryder non è l’unico.”
Quello che Julius assume per questa riunione, e che sta interpretando da quando è stato presentato a Frederic Bacon e introdotto nella IBP, è un personaggio dall’incurante letargia, interrotta di tanto in tanto da una feroce espressione di volgarità xenofoba, il più delle volte riferita alle difficoltà dell’uomo d’affari onesto, come è lui, in questo paese infestato dagli ebrei. Essendo un inglese biondo dal cognome tedesco e sposato con un’affascinante attrice, le sue credenziali non hanno avuto bisogno di verifiche. Gustl, in quanto sua sorella, è una varietà più appartata di antisemita. Nessuno le dà retta, ma a loro piacciono le donne grandi e grosse con la pelliccia intorno al collo e che credono nel destino di una più grande Germania.
“E allora da dove, precisamente, arrivano,” chiede Julius. “Da uno di voi ragazzi?”
Tira su la schiena e con le mani piantate sui braccioli, a gomiti in fuori, scruta tutto il salotto. Sottopone all’esame persino Hilda Bacon.
“Julius, ti prego,” dice Frederic Bacon.
“In questa stanza?” dice Gustl. “Mein Gott!”
C’è animosità, sorrisini sarcastici. Il giovane nell’angolo, Edgar Cartridge, schiumante rabbia, indignato, si appoggia contro un tavolo e osserva con gli occhi socchiusi.
“Basta così,” taglia corto Frederic Bacon. “Di Peter Ryder mi occuperò io a tempo debito.”
La riunione prosegue. Si parla di un quantitativo di opuscoli, anzi di letteratura fascista da ritirare presso uno stampatore di Hammersmith e portare nella libreria al piano terra dell’edificio. Emergono altre questioni. Alla fine Julius si alza in piedi. Sul viso, un accenno di noia.
“Non rimane per un po’ di sherry, Mr Glass?” gli chiede Hilda Bacon.
“Purtroppo no, mia cara. Io e mia sorella siamo attesi a un pranzo di lavoro in città.”
“Aspettate!” dice Frederic Bacon, chinandosi a spegnere la sigaretta in un posacenere. Julius e Gustl si fermano stupefatti per qualche secondo.
“Che notizie della Grice?”
“È dalla nostra parte. Vuole rendersi utile.”
Bacon getta un’occhiata verso gli altri.
“La vedova di Charlie Grice è con noi. Che ne pensate, signori?”
C’è un mormorio soddisfatto. Gricey non aveva detto a nessuno con che tipo di donna era sposato. Ah, non sarebbe stato molto benvisto se si fosse saputo! Anzi, l’avrebbero cacciato a calci, e senza tanti complimenti. Certo che aveva tenuto il becco chiuso su Joan.
“Possiamo quindi aspettarci la sua presenza il cinque?”
“Sì,” confermò Julius. “La porteremo qui. È ansiosa di conoscervi. Ora però, ahimè—”
Guarda l’orologio.
“Allora vi accompagno,” dice Hilda.
Mentre la porta si chiude alle loro spalle, Edgar Cartridge guarda Frederic Bacon, che si limita a fare spallucce.
Julius e Gustl sono seduti al piano superiore di un autobus diretto a Pimlico.
“Sei stato brillante, Liebste,” dice Gustl.
“Che volpe, quello. Gli opuscoli non si trovano a Hammersmith. Punteranno il dito su di noi quando andranno perduti.”
Tengono lo sguardo fisso davanti a sé mentre l’autobus ansima lungo Ebury Street. Comprendono il pericolo che li sovrasta. Ma quella mattina era andata bene, tutto sommato.
“Stanno per smascherarci, è ovvio.”
“Ma Joan gli piace.”
“A loro piace Gricey. Se però Joan entra in gioco, ci fa guadagnare tempo. È la nostra arma segreta.”
Gustl ride sommessamente, e sotto la stola di pelliccia rossa le sue spalle si scuotono.