27
Si svegliò di soprassalto. Era una mattina di pioggia, quella domenica, il giorno del comizio, e Joan aveva avuto una nottata inquieta. Aveva di nuovo sognato Gricey e adesso sapeva dov’era nascosto. Oh stupida donna, si disse, dovevi capirlo che avrebbe fatto così! Invece non le era venuto in mente. Molto male. Doveva tornare là e affrontarlo, intimargli di lasciare in pace Vera. Ma non ancora. Si sedette alla macchina da cucire e lavorò su un pezzo di seta da paracadute che si era procurata. Stava cucendo un paio di pantaloni per la figlia. Oh, quella ragazza – non aveva nemmeno idea del pericolo che la sovrastava. Un paio di pantaloni di seta non erano sufficienti ma erano già qualcosa. Joan non aveva bisogno di modelli, si limitava ad aggredire la stoffa con le lunghi forbici da sarta. Sapendo che a Vera piacevano larghi stava aggiungendo dei pannelli lungo le cuciture; tanto bisognava farlo comunque, con la seta. Avrebbe usato un ago appuntito e il filo da seta, e quanto le sarebbero stati bene, a Vera, questi pantaloni, e che delizioso fruscio avrebbero prodotto le cosce, sfregando una contro l’altra. Strano non avere più le regole dell’austerità, pensò, tipo il limite al numero di pence che potevi mettere, quanti bottoni eccetera eccetera. Non più. Adesso poteva fare quello che voleva con i pantaloni per Vera, e che piacevole sensazione avrebbero dato sulla pelle, mica come il nylon che era sempre umidiccio, oltre che molto più difficile da cucire. La seta era scivolosa ma se Vera li avesse indossati solo in camera da letto non sarebbe stato un problema. No, no, ci voleva la seta.
Così si rincorrevano, inquieti, ansiosi, distratti, i suoi pensieri mentre Joan cuciva i pantaloni da camera per Vera e ai suoi occhi il pericolo diventava ogni momento più concreto. Era da un po’ che non cuciva indumenti per la figlia e farlo le dava ora uno strano, trepidante conforto. Più tardi li avrebbe tinti nel lavandino della cucina. Vecchie foglie di tè in sacchetti di mussola, sarebbero venuti un incanto—
Poi all’improvviso divenne irrequieta, c’era qualcosa che bisognava fare e non poteva rimandare un secondo di più. Mise da parte i pantaloni, uscì rapidamente dalla stanzetta e indossò cappotto e cappello. In men che non si dica era in bicicletta. Cadeva una pioggerellina leggera. Erano le dieci e mezzo quando arrivò alla casa di Lupus Mews. Gustl venne ad aprirle.
“Ciao Liebste, non sapevo che avresti fatto così presto. Julius non è credo ancora pronto.”
“No, no, devo salire in camera di Vera.”
Erano nell’ingresso e Gustl stava cercando di farsi dare il cappotto e il cappello bagnati ma Joan non volle, troppa era la fretta. Gustl le disse che Vera non dormiva più in soffitta ma di nuovo con suo marito.
Poi Joan stava salendo le scale della casa con il cappotto bagnato indosso, su per le scale fino in soffitta, dove si fermò sulla porta della piccola stanza con il tetto spiovente, le vecchie travi e l’abbaino. A ricoprire le tavole del pavimento soltanto un tappetino di rafia accanto al letto. Il letto era stato disfatto. C’era un guardaroba adesso, nella stanza, un vecchio affare nero addossato al muro di fronte al letto, un’anta aperta. Ma a Joan non importava niente di quel guardaroba, era il ripostiglio sotto lo spiovente che le interessava. Attraversò la stanza e sollevò il chiavistello. Sbirciò nell’oscurità e capì immediatamente di avere ragione: macabro residuo spirituale. Ne fiutava il puzzo.
“Sto arrivando, adesso,” disse, ed entrò abbassando la testa.
Si richiuse la porta alle spalle. Rimase lì dentro per un po’. Quando scese di nuovo a pianterreno aveva l’aria esausta. Non volle dire niente di ciò che aveva fatto in soffitta e, poco dopo, insieme a Gustl e Julius, partì alla volta di Hackney.
La domenica di solito gli attori non lavorano ma Vera vuole perfezionare la scena del corteggiamento. Avendo vestito i panni di Antonio solo una volta durante le prove, Frank Stone si è perso tutto il lavoro che lei ha fatto con Harry. Vera si rende conto che è questo il motivo per cui entra troppo forte e troppo presto. Raggiunge il picco quando la Duchessa gli infila l’anello al dito tremante dopodiché ha finito la benzina per le ultime tre pagine, che prevedono baci, uno sbrigativo matrimonio e infine l’uscita. Vera vuole che il pubblico sappia che questi due scoppieranno se non riescono a chiudersi in camera da letto immediatamente.
Chiede perciò a Frank di passare a Lupus Mews per lavorare sulla scena. Julius e Gustl non ci saranno, domenica pomeriggio, avranno la casa tutta per loro. Frank impiega circa mezzo secondo per accettare la proposta. Quando arriva, Vera lo porta in cucina, dove sul tavolo è posato il copione, parte centrale di Atto I, scena i. Frank le dice che tutte le sere, quando non era il proprio turno in scena, è rimasto a osservare Harry da dietro le quinte.
“Sto cercando di darti tutto quello che ti dava lui,” le spiega.
“No,” ribatte Vera, “non è questo che voglio, Frank. Lui era un pezzo di legno, da te io voglio di più.”
“Più cosa?”
“Emozione, stupido. Elettricità, cazzo.”
Frank a volte fa fatica a non ridere quando Vera si arrabbia con lui.
“Ti voglio sconcio. Ma non subito. Capisci?”
Gli prende la mano e se la tira verso l’inguine, senza staccare mai gli occhi dalla sua faccia. Frank sta per toccarla ma tutto a un tratto Vera lo allontana! Poi gli tira a sé la testa, ancora più vicino al proprio corpo adesso – respiri ansimanti, la lingua sulle labbra, la bocca socchiusa, gli occhi sempre sulla sua faccia – e di nuovo lo respinge – mollando la mano solo quando vede che ha capito.
“Sconcio,” dice Frank.
“Sì, caro.”
Sono in piedi nella cucina, lui si è sfilato il cappotto, lei cammina sinuosa avanti e indietro in scarpe di tela, leggings e maglietta grigia larga, i capelli raccolti in un disordinato chignon.
“Allora, cominciamo con Cariola che si nasconde dietro l’arazzo. Tu entri, io dico: ho voluto chiamarvi. Sedete: prendete penna e inchiostro. Siete pronto?”
Alza lo sguardo. Frank si siede. Sì, dice, prende una penna e fa per scrivere. E partono. Frank impiega poco a catturare le dinamiche e il tono della scena come li vuole Vera – ossia le schermaglie di seduzione, le improvvise scariche di elettricità erotica che si susseguono tra loro. Alla terza ripetizione comincia a sembrare una specie di danza e chi li guarda – siamo noi, naturalmente – ha davvero l’impressione che stiano danzando, e se all’inizio era un minuetto ben presto diventa un valzer sempre più veloce, via via che si abbandonano le formalità e la scena li avvicina sempre di più, finché non si ritrovano ansimanti lì nella cucina, madidi per lo sforzo e soddisfatti di se stessi e uno dell’altra.
È allora che sentono provenire voci dall’ingresso.
Vera spalanca la porta della cucina e grida. Un uomo grande e grosso, sporco di sangue, si adagia gemente al portone. È aggrappato alla spalla di Julius. Con l’altra mano si preme un fazzoletto insanguinato contro il viso. Lui e Julius adesso avanzano barcollando verso la cucina, Julius sorreggendo quest’uomo ferito che non riesce, è chiaro adesso, ad appoggiare una gamba. Frank è subito lì, e tra lui e Julius lo trascinano in qualche modo in cucina, lo mettono su una sedia, dove l’uomo reclina la testa sul tavolo ansimando di dolore.
“Che entrata, caro,” dice Vera fissando l’uomo insanguinato nella loro cucina. Lo conosce, naturalmente, è Peter Ryder, che adesso rialza la testa dal tavolo e le chiede se ha una sigaretta. Vera è già al telefono. Gli dice che non ha bisogno di una cazzo di sigaretta ma di un cazzo di dottore.
*
Dopo che è stato chiamato il medico e Frank ha versato del whisky a tutti, Julius spiega che cosa è successo. Per gran parte del resoconto tiene lo sguardo fisso a terra.
Al comizio erano venute molte più persone del previsto. C’erano un mucchio di fascisti e un mucchio di persone che odiavano i fascisti e poi un altro gruppo che aveva preso il tutto per una specie di messinscena, di burla. Ma la tensione nell’aria era palpabile, disse Julius. Il sole era uscito molto tardi nel pomeriggio, disse, e la luce era strana dopo la pioggia, con il crepuscolo che cominciava a scendere, una specie di spettrale chiaroscuro trapuntato di goccioline in realtà, con una specie di arcobaleno verso occidente, verso Hampstead, ma non così marcato, più un tentativo di arcobaleno, in realtà—
Julius balbettò; si interruppe. Ancora con lo sguardo sul pavimento alzò le sopracciglia, come in seguito a una piccola sorpresa. Peter Ryder ingollò il suo whisky, spinse il bicchiere lungo il tavolo e ne chiese un altro. Alternava gemiti e boccate di sigaretta.
“Dov’è quel maledetto dottore?” disse Vera prima di uscire in corridoio per andare a vedere se stava arrivando. Quando fu di ritorno, Julius riprese il racconto.
“Poi è comparso quello scemo,” disse.
“Quale scemo?”
“Edgar Cartridge. È arrivato col furgone. Indossava l’uniforme.”
“Oh Cristo, è contro la legge!”
“Doveva essere arrestato. Dovevano portarlo via subito. Ha fatto scattare qualcosa in lei, non so, l’ha resa furiosa. Gli stivali, la cintura—”
“Fatto scattare qualcosa in chi?”
Julius fissò Vera per un secondo o due, con una terribile compassione, così ci parve.
“Tua madre.”
“Che cosa ha fatto, Julius? Julius?”
“Aveva un paio di forbici.”
“Oh Cristo, no—”
“Nella borsetta. Quelle lunghe e appuntite per tagliare la stoffa.”
“Oh Gesù, no, non dirmelo!”
Le mani di Vera scattarono verso la faccia.
“Era a bordo palco, in attesa di prendere la parola, doveva tenere un discorso ma ho visto che aveva qualcosa di strano—”
Vera adesso era in piedi e Julius stava per scoppiare in lacrime.
“Non lo so, cara, era, oh, era fuori di sé, io mi ero allontanato giusto un secondo, c’era Gustl con lei quando è arrivato Edgar Cartridge in camicia nera e le ha fatto venire una specie di choc—”
“Non ce la faccio!”
“L’ha scombussolata, ecco, ha cominciato a ondeggiare e poi quando... be’, ha tirato fuori le forbici dalla borsetta e l’ha pugnalato.”
“No.”
“In un attimo. Le ha tirate fuori dalla borsa e gliele ha affondate nella pancia, è stato tutto talmente fulmineo che la povera Gustl non ha avuto modo di fermarla—”
Julius si sedette. Vera, accanto al lavandino, lo stava fissando.
“L’ha pugnalato? Ma—”
Frank guardava Julius a bocca aperta. Peter Ryder aveva i gomiti sul tavolo e la faccia tra le mani. Julius guardava la moglie con le lacrime che adesso gli solcavano le guance.