L’inconcepibile: l’infantilizzazione dei disabili

Adolescenti e adulti con ritardo mentale sono visti come eterni bambini: in qualsiasi contesto sono trattati come se fossero più giovani, e i loro bisogni reali non sono tenuti in considerazione.

L’essere trattato come un minore lede certamente l’autostima di queste persone e conduce a una dipendenza sempre più marcata, in antitesi con gli obiettivi di integrazione e di autonomia.

Il processo di infantilizzazione dei disabili si evidenzia in diversi settori: nel linguaggio, nelle autonomie personali e sociali, nell’abbigliamento e nella sessualità. In realtà il disabile non può venire considerato “mente infantile in un corpo adulto” perché ciò che caratterizza il ritardo mentale è l’atipicità e l’eterocronia delle linee di sviluppo, e queste cose devono essere tenute in considerazione.

Il dover fare i conti con la sessualità delle persone con ritardo mentale costituisce un problema per il personale che se ne occupa e per la società. Lo scarto tra la fisiologia sessuale di un adulto e la mentalità che si intuisce pone problemi educativi, di tipo sociale ed etico.

La sessualità viene negata e ciò non consente al disabile di essere riconosciuto come persona. La sessualità, bisogno primario e aspetto fondamentale della vita di un individuo, è un modo essenziale per comunicare con se stessi e con gli altri e questo, nonostante le rimozioni effettuate, vale anche pe la persona con un handicap.

L’atteggiamento generale nei confronti della sessualità della persona disabile è sempre di condanna, in quanto scattano delle dinamiche particolari, poiché molto spesso la sessualità è associata a una idea del corpo sano e si trova difficile immaginare le persone con difetti fisici psichici in atteggiamenti sessuali.

La persona con handicap mette in ansia il gruppo in quanto ricorda ai sani la loro fragilità e l’ineluttabilità della morte. Toglie sicurezza dimostrando le diverse sfumature della natura.

Parlare di sessualità chiama certamente in causa l’affrontare anche la nostra sessualità e ci coinvolge emotivamente: la dimensione emotiva è alla base di molti tabù nei riguardi di questo argomento, che poi crea ansia e viene negato.

Per il disabile l’unico modo per risolvere le pulsioni sessuali è la “sublimazione” della libido o la repressione di certi istinti: non si riesce a trovare una via di mezzo tra considerazione del disabile come sessuato e quella di bruto o maniaco. Incidono su ciò anche paure di sfruttamento e di gravidanza ai danni del disabile che creano pregiudizi.

Quando il disabile si trova in uno stato di chiusura autistica nei confronti del mondo, si alternano attacchi masturbatorii a comportamenti auto-eteroaggressivi, e ciò funge da scarico di tensione, ma tali reazioni sono per la maggior parte delle persone difficilmente tollerabili.

Negli istituti in cui spesso i disabili si trovano a vivere non c’è possibilità alcuna di condurre una vita attiva, desiderosa di affetti e di sesso. Poiché regna l’intolleranza, l’handicappato spesso reagisce con senso di colpa, autodisprezzo e inadeguatezza.

Senza contare che nessuna forma di educazione sessuale viene messa in atto nei confronti dei disabili. Anche i genitori, rispetto alla sessualità del figlio, hanno un atteggiamento negativo, soprattutto quando il figlio fa una scelta e si dimostra autonomo; molti mettono in atto atteggiamenti iperprotettivi, dicendo che non sono pronti, in realtà mascherando sensi di colpa mai sopiti. Per alcuni aspetti è inconcepibile che il loro bambino o la loro bambina abbia questi impulsi.

Se riflettiamo su tutto ciò, non possiamo non mettere queste paure in relazione alla paura del futuro: un futuro che non si può pensare, ma solo subire.

Il dopo di noi rimane una paura, non si concretizza, è l’istituzionalizzazione che de-umanizza, è la non tutela dei diritti, sono leggi che non esistono, leggi che ci sono e che non vengono applicate.

Chi si farà carico dei figli diversi? Che vita avranno?

È la spada di Damocle dei genitori, che non possono permettere che venga perpetrato tutto ciò.

Si consumano tragedie, nel quotidiano pesante che non può pensare il futuro, con genitori che uccidono i loro figli “per il loro bene”.

Cristiana sogna il principe azzurro e quando vede i ragazzi per strada li guarda, anche se la madre le porge subito la bambola che porta sempre dietro.

Gianni si innamora delle operatrici, invece, e le abbraccia forte, anche se gli hanno detto che un uomo di cinquant’anni non può comportarsi così.

Maurizio è innamorato di Manuele, che ha paura di lui, perché parla ad alta voce e parla male.

Nadia ama Daniele, che la prende i giro e la chiama “handicappata” con la malvagità che solo un sedicenne bello e spensierato può avere, e ha fatto un macello quando non è andato alla sua festa di compleanno, che ancora lo raccontano gli amici che non si accorgono dello sguardo spento e triste della ragazza innamorata.

Dario vuole tutte, ma nessuna lo vuole, ed è per questo che non esce più di casa.

Solo Rina, con la forza della sua “follia”, riusciva a viversela la sua sessualità, senza pudori, senza consapevolezza. La consapevolezza veniva solo quando la pancia cresceva, ma poi spariva e tutto ricominciava.

Non riesco a immaginare i loro sogni, le loro fantasie, ma la solitudine, il dolore, l’ingiustizia, quelli sì, li ho visti spesso nei loro occhi.

Per l’amore.

Negato.