Paola

Paola vuol fare l’attrice.

È per via dei capelli biondi.

Da piccola si vedeva bella, con i riccioli d’oro che ogni volta strappavano qualche complimento alla gente.

Adesso invece non sempre le piacciono e va dal parrucchiere per stirarseli, anche se sua nonna urla che le stanno male, e nessuno più si ferma, per la strada.

Ha un viso bambino, rotondo con le fossette, e due occhi azzurri che si sciolgono nell’aria. Sua madre le dà solo botte quando la vede vagare con lo sguardo; non le chiede che cosa le passa per la testa, tanto lo sa già, e fa finta di non sapere.

Come sempre.

All’intervallo, tra gruppi di ragazze che parlano di San Valentino, Paola si sente sola. In classe, al primo banco, senza nessuna compagna seduta vicino, Paola si sente sola.

A casa si sente sola.

Ha due fratelli, uno grande e uno piccolo.

Quello piccolo parla male come lei, come sua madre, che tutti trattano come se non capisse niente per via della voce nasale delle parole che inciampano nella gola assieme alle lacrime che affiorano ogni volta e le gonfiano gli occhi.

Quello grande preferisce non vederlo.

È la vergogna a dividerla dalle compagne, le compagne che non hanno una madre come la sua, che hanno un padre.

Lei non ce l’ha un padre, o meglio ce l’aveva, una volta, e ricorda le sue bestemmie e le sue cinghiate che facevano male.

Poi è sparito, da un giorno all’altro, senza un gesto, una parola e forse è stato meglio così.

Vuole dormire, Paola, perché così non pensa, non ricorda.

È un periodo che le accadono cose strane: si guarda allo specchio e vede, oltre al suo, un viso che sogghigna beffardo, che la giudica così impietosamente da farla arrossire.

Allora sente salirle addosso una tensione insostenibile e vorrebbe spaccare il mondo o picchiare qualcuno, ma poiché non può farlo, distrugge se stessa.

Non può più vedersi con il sedere che le scoppia dentro i pantaloni.

Nessuno se ne è accorto, ma sta attuando tutto con cura meticolosa: ogni giorno arriva a scuola con un graffio, o con un’unghia spezzata, i capelli tagliati, morsi sulle labbra, poi ha cominciato a farsi male davvero, piccole ferite, tagli, lividi.

Per sentire il suo corpo dolorante, niente altro.

Per stordirsi dal dolore fisico, che è sopportabile.

È il dolore mentale che non è sopportabile e se lo deve scorticare dalla pelle.

Il desiderio di farsi male diventa ogni giorno sempre più impellente, sempre più aggressivo verso frammenti di vita che le saltano addosso invadendole il cuore.

E allora ha cominciato a tagliarsi, e non può smettere e poi maschera le violenze che si infligge. È brava a inventare scuse, tutti le credono quando dice che si è fatta male in cucina.

Per mesi è andata avanti non sapendo in realtà contro cosa stava combattendo fino a quando alcuni discorsi sussurrati tra le mura di casa hanno fatto emergere dal buio pezzi di ricordi.

Non riusciva a capire come avesse potuto dimenticare ciò che era successo, e si era ritrovata in quella stanza, bambina, che piangeva, ed era suo fratello che le faceva male e lei era sporca.

Non va più a scuola, Paola, da quel giorno, perché tutta l’acqua del mondo non può cancellare quello sporco, deve riposare e pensare.

Vuole morire, iniettarsi dentro il veleno che sente, e chiudere gli occhi, ma non sa come procurarsi quello che le serve.

L’unica cosa che è riuscita a trovare sono le pasticche per l’ansia di sua madre, e dei detersivi.

Non sa se questo basterà; ciò che sa con certezza è che, una volta deciso, ci proverà di nuovo, se dovesse andare male.

È uscita per andare a scuola.

È andata in bagno

Ha ingoiato le pillole.

E poi è tornata in classe ridendo.

Aggredire il suo corpo per sottrarsi a idee intollerabili.

Ultimo tentativo di cambiare le cose, rivendicando se stessa e punendo gli altri.

Tutto quello che vuole è che la sua sofferenza sia riconosciuta.

Vuole anche far male a chi le ha fatto male, soprattutto con il silenzio.

Non ricorda come è arrivata in quella stanza.

Sapeva che sarebbe accaduto qualcosa ingoiando quelle pillole, ma non si aspettava di sentirsi quasi distaccata da quanto sta succedendo.

Intorno a lei si affacciano volti di compagni e insegnanti, anche quelli che durante l’anno non le rivolgevano mai la parola, poi i medici, dovevano essere quelli con il camice e c’è solo un cerchio attorno, e lei in mezzo, tutti a chiedere in un fracasso assordante.

Gli occhi vacui si perdono sul soffitto, bianco come la sua faccia e il lenzuolo, che stringe forte.

L’ospedale, una nicchia nella sua sofferenza, le ha ridato la dignità. Almeno quella, e la possibilità di sapere che al mondo ci sono altre persone che stanno male come lei.

E poi se ne sono andati tutti: la madre, la psicologa, le compagne, gli insegnanti, e lei si è sentita considerata, anche se in fondo a nessuno interessa davvero come sta, soprattutto non interessa a sua madre, nei cui occhi legge solo una rabbiosa disperazione per il suo fottuto destino.

Dopo un settimana Paola è tornata a scuola, fra baci e festeggiamenti.

Scoppi di riso lasciano il posto repentinamente alle lacrime.

Instabile, e il petto pieno di angoscia.

Fino al sabato ce la farà, poi sarà tutto come sempre, e lei sola.

Si gode il tepore che le arriva dagli altri, condizione transitoria di una vita solitaria.

Ci sono cose che non si possono condividere, cose che non si possono capire.

Ci vuole provare, Paola, a vivere senza ricordare, ma sa che non ce la farà.

Sa che nelle sere d’inverno poserà lo sguardo sulla tenda della cucina e sentirà l’angoscia aumentare, vedrà sua madre girare per la casa e sentirà la rabbia salirle dentro, mangiarla, e poi pensando a suo fratello un dolore insopportabile le lacererà le tempie.

E sarà meglio sparire

e spargere i resti

e non esistere.

Tanto nessuno ci crederà quando questo accadrà.

In fondo lei è già andata via.