Monsieur inclinò il foglio verso la fiamma della candela e le parole comparvero per un istante prima che l’orlo prendesse fuoco.
«Lo hai distrutto?» domandò El Cid, entrando nella stanza.
Monsieur si limitò ad annuire senza staccare lo sguardo dalla fiamma che arricciava un angolo della carta e poi divampava in un piatto d’argento. «Dov’è Ermes?»
«È tra le gambe della moglie del diavolo, per quanto ne so» rispose El Cid, l’accento spagnolo suonò duro e secco. «Ho mandato Zanino a cercarlo al Ridotto di San Moisè, ma dubito che si trovi lì. È un posto troppo rispettabile.»
Monsieur non commentò. «A cena ha parlato di una tale Cristina.»
El Cid sogghignò. «Sposata, naturalmente.»
«Era un abate, il Padreterno ha un occhio di riguardo anche per i Suoi disertori.»
«Nadir sta arrivando. Lui sono riuscito a trovarlo con una certa facilità. Era a scommettersi l’anima nella casa da gioco di Canea, alle Procuratie Vecchie, l’abbiamo salvato dall’essere di nuovo accoltellato e poi gettato in un canale.»
«Sei di cattivo umore» osservò Monsieur.
«Ero dalla mia amante» si lamentò El Cid.
Monsieur abbassò lo sguardo su Elementi della filosofia di Newton che giaceva abbandonato su un tavolo. «Anche io, mon ami. Attendiamo Nadir e poi andiamo a prendere Ermes.»
Si scambiarono uno sguardo poi El Cid scrollò le spalle e andò a servirsi un cognac dal mobile dei liquori.
Entrambi alti, sui ventisette anni, non avrebbero potuto essere fisicamente più diversi: dalla figura di Monsieur, dritta e affilata come una lama, emanava un gelo del tutto estraneo alla furia a malapena nascosta di El Cid.
Il giovane spagnolo cominciò a percorrere a larghe falcate la stanza mentre l’altro riprese a leggere ignorandolo con ostentazione.
«Non so come fai a essere così calmo» disse El Cid piantandogli addosso due ardenti occhi neri.
«Non so come tu faccia ad agitarti tanto» ribatté Monsieur.
Prima che El Cid potesse rispondere, la porta si spalancò e Nadir entrò con una servetta preoccupata alle calcagna.
«Signore, lasciate che vi asciughi quel sangue.»
«Grazie, no.»
Nadir respinse con fermezza la bambina e le sbatté la porta in faccia. «Spero sia per una buona ragione» disse.
La voce glaciale mostrava che aveva bevuto, gli abiti erano in ordine ma un vistoso taglio sopra lo zigomo accentuava la luce minacciosa degli occhi blu.
Nadir oltrepassò il ghigno divertito di El Cid per incrociare lo sguardo tranquillo di Monsieur. «Che succede?»
«Hai bisogno di un medico?» domandò Monsieur.
Nadir fece un secco cenno di diniego. Si asciugò il sangue con una mano e la traccia rossa che lasciò sulla guancia diede alla sua cupa bellezza un’ombra sinistra. «Dove siamo diretti?»
«A prendere Ermes.» Il francese chiuse il libro senza mettere alcun segno.
«Che non sappiamo dove sia» specificò El Cid.
«Tu non lo sai, io lo immagino perfettamente» disse Monsieur.
«E dopo?» domandò Nadir.
«A Torcello.»
«Di nuovo la suora con le visioni?»
«Esatto. Tendono a rivelarsi concrete.»
«Il che ci fa pensare che non sia una coincidenza.»
«Le soffiate non lo sono mai, anche quando arrivano dall’altro mondo.»
«Dove andiamo, di preciso?»
«Al Ponte del Diavolo.»
Nadir fece una smorfia. «Dove ha perso le scarpe Cristo.»
«Chiunque abbia perso qualcosa, dubito che abbia natura divina» disse Monsieur alzandosi.
La gondola con cui era arrivato Nadir era pronta alla riva privata del palazzo. Gli uomini scesero velocemente i gradini e uno dei quattro rematori con la livrea della famiglia D’Armer si staccò dall’argine quando Nadir, l’ultimo a salire a bordo, gli impartì l’ordine con un cenno del mento.
Si diressero verso il Sestriere Castello, dove abitava quella tal Cristina presso la quale speravano di trovare Ermes.
«È da queste parti, ne sono certo» disse El Cid scandagliando i palazzi che racchiudevano il rio buio. «Ecco, dovrebbe essere questo.»
A conferma della sua affermazione una finestra al secondo piano, proprio al di sopra di un loggiato che sporgeva sull’acqua, si spalancò all’improvviso mostrando una coppia avvinta in un tenero abbraccio.
La donna, le spalle nude e un lenzuolo stretto a coprirle il seno, era tra le braccia di un giovane che, nonostante l’evidente trasporto, aveva già una gamba fuori dal davanzale.
Le luci ai piani inferiori andavano accendendosi con rapidità e la voce di una serva risuonò per il rio altrimenti silenzioso. «Signora. Signora, c’è il Cavalier Vassalli che chiede di voi.»
«Un amante geloso che lo butterà nella dannata laguna con una pietra al piede.» El Cid scosse il capo. «Prepariamoci a ripescarlo.»
«Non sarà necessario» rispose Monsieur agitando una mano guantata. «Guardate.»
L’uomo che come nome di battaglia aveva scelto “Ermes” si districò con perizia dalle mani che lo trattenevano e scavalcò il davanzale. Da ultimo staccò le labbra da quelle della donna e strisciò lungo il cornicione per poi atterrare con un salto sul tetto del loggiato sottostante.
Una parrucca argentata completa di fiocco cadde nel vuoto. Uno dei rematori la prese al volo e la consegnò a Monsieur.
Donna Cristina si sporgeva dalla finestra, protendendo le braccia splendide verso il fuggitivo. «Non dimenticatemi, vi prego!»
«Non potrei mai» rispose lui, la voce melodiosa e dolce non recava traccia d’affanno, nonostante l’uomo si stesse calando lungo una delle colonne del loggiato.
Nadir fece un gesto ai rematori, che si accostarono alla base del palazzo.
Ermes lasciò dondolare le gambe nel vuoto poi mollò la presa e atterrò al centro della gondola, assorbendo l’urto con le ginocchia. L’imbarcazione vacillò, El Cid imprecò in spagnolo.
La donna continuò a sbracciarsi dalla finestra pronunciando parole appassionate, Ermes dal canto suo, con un ginocchio piegato sopra la prua e i capelli biondi accesi dalla luce delle lanterne, si portò entrambe le mani alle labbra e le soffiò un bacio accompagnato dal più tenero dei sorrisi.
Donna Cristina ruppe in lacrime e il suo ultimo saluto echeggiò per le calli e i canali circostanti, senza riguardo alcuno per la posizione del Cavalier Vassalli.
«Vi amerò per sempre, Casanova!»
«Anch’io» rispose Ermes, ma quasi tra sé. «Per sempre.»
Incurante del dramma, Nadir ordinò ai rematori di dirigersi verso San Marco.
«Credi che un fidanzato oltraggiato ci inseguirà come l’ultima volta?» domandò in tono pratico. «In tal caso tengo pronte le pistole.»
«Non c’è alcuna necessità.» Ermes sembrava vagamente dispiaciuto dall’insinuazione. «La bella Cristina e il Cavalier Vassalli non sono in disaccordo per causa mia: sono stato io a presentarli e ho benedetto le loro future nozze.»
«Non ho intenzione di sapere come» disse Monsieur.
«Io sì, invece» ribatté El Cid.
«Prendiamo la rotta per Torcello» concluse Nadir.
«È lì che stiamo andando?» domandò Ermes, dopo che si fu stancato di salutare il buio.
«Esatto» disse Monsieur. «Non vuoi sapere perché?»
L’altro scosse il capo, poi si tolse il soprabito di damasco ricamato che ripose da un lato e si avvolse nel mantello. «Lo scoprirò una volta sul posto e non voglio rovinarmi la sorpresa. Svegliatemi quando arriviamo» disse, sdraiandosi sul fondo della gondola. «Non dormo da due giorni.»
Il capo dei rematori urlò un richiamo mentre svoltavano in un rio particolarmente stretto. Finirono comunque quasi addosso a un’altra gondola coperta da un felze da cui spuntavano stivali maschili e una lunga gonna ricamata. A poppa, accanto al gondoliere, un musico suonava una romanza d’amore.
«Almeno non ci hanno sparato addosso.» Nadir si sdraiò a sua volta e chiuse gli occhi, abbassandosi il tricorno sul viso. «Anche per me due volte nella stessa sera sono troppe.»
Si ritrovarono al largo dell’Isola di Torcello quando la notte era ancora fonda e la luna piena in un cielo straordinariamente chiaro. I gondolieri ruppero all’unisono in un’esclamazione di meraviglia e i remi si arrestarono.
«Guardate» disse qualcuno, indicando i flutti. Qualcun altro si fece il segno della croce e mormorò una preghiera.
Era possibile vederla soltanto nelle notti più limpide, quando la luna era alta in cielo e le correnti della laguna si combinavano in una magica armonia trasformando l’acqua in vetro. Allora si mostravano dal fondo del mare rovine di palazzi e resti di statue candide tra le incrostature di conchiglie e le chiome delle alghe. I riverberi della luna correvano lungo catene alle quali era assicurata una bara di cristallo e, tra i fregi e le nervature d’oro, appariva un volto di fanciulla che pareva immersa nel sonno.
Alcuni giuravano che fosse viva, di averne sorpreso impercettibili movimenti nelle ore trascorse a contemplarla o di averla scorta in una posa diversa, vedendola la volta successiva. Altri invece erano sicuri che fosse morta, una creatura antica che riposava, intatta, tra le rovine delle isole inabissate della laguna.
Sembrava una delle mille leggende che accompagnavano gli uomini di mare ma, a prestarvi attenzione, si era diffusa soltanto da qualche anno.
«Si è mossa!» esclamò uno dei rematori, il più giovane. «L’ho vista.»
Nadir trasalì con violenza e la sua mano si contrasse con uno spasmo intorno alla sponda dell’imbarcazione.
«Impossibile, è sicuramente morta» disse un vecchio gondoliere dalla voce rauca. «Nessuno può sopravvivere in fondo al mare.»
«Andiamo» disse Nadir in tono duro.
Sulla gondola scese il silenzio, i remi si immersero nell’acqua rompendo l’incanto. La fanciulla sul fondo del mare scomparve tra i flutti.
Toccarono la spiaggia all’alba. La luce del sole dissipava appena le foschie adagiate sopra la laguna e le acque del mare avevano un colore grigio e compatto, simile a metallo. Il vento portò il rintocco di un campanile poi il silenzio li riavvolse, interrotto soltanto dal suono dell’acqua contro la chiglia.
Ermes si svegliò e si alzò a sedere come se non avesse mai dormito. Gli occhi azzurri catturavano l’esatta sfumatura del mare in quell’ora piena di pace.
«Questa mattina non faremo la consueta passeggiata all’Erberia prima di andare a dormire» disse, con rammarico. «È mai possibile che Venezia sia così vicina e mi manchi di già?»
Monsieur gli rivolse un leggero sorriso. «Giacomo, a volte penso che tu non riesca a legarti a nessuna donna perché sei innamorato soltanto di Venezia.»
«Potremo andarci domattina, per gareggiare a chi si mostri più sgualcito dopo una nottata di piaceri» disse Nadir. «Concludiamo questa missione e torniamocene a casa. Ho in sospeso una questione con due tizi padovani che non può aspettare stasera.»
El Cid sollevò un dito. «Una faccenda che comprende l’uso di una spada?»
Nadir annuì. «E di un paio di pistole.»
«Sono della partita, se vuoi una mano» disse El Cid.
«Voi due vi farete ammazzare obbligandomi a parlare al vostro funerale.» La voce di Monsieur aveva un’eco d’acciaio. «Ma vi avverto che non avrei nulla di piacevole da dire.»
Attraccarono sulla riva, nei pressi del Ponte del Diavolo e guadarono l’erba alta fino al ciglio della strada.
Il ponte era una costruzione in antico stile veneziano, senza parapetti. In giro non c’era nessuno e il sole era ancora basso a oriente, così i marinai sollevarono le lanterne mentre gli uomini frugavano tra l’erba con lunghi bastoni più adatti a una serata a teatro che a un sopralluogo. Alla fine fu Nadir ad avvistare una forma indistinta oltre gli sterpi, dall’altro lato del canale.
Il ponte emise un suono cupo sotto i passi affrettati. Il vento salmastro piegava i fiori di achillea; da qualche parte una campanella chiamava a raccolta monache e contadini.
Un rematore, uno dei primi a raggiungere il prato, non seppe trattenere un’esclamazione inorridita. Indietreggiò, mormorando una sfilza di preghiere miste a maledizioni in dialetto stretto, poi scivolò sulle ginocchia, rantolando e tenendosi il petto in preda a un malore. Nadir gli fu subito accanto; un altro rematore corse verso gli alberi e rigettò, nel silenzio attonito si udivano solo rantoli e conati di vomito.
«Dobbiamo circoscrivere la zona.» Monsieur fu il primo a ritrovare la voce. «Nessuno deve vedere o si scatenerà il panico.»
Ermes annuì. «Dio solo sa che cosa potrebbe accadere se si dovesse spargere la voce.»
«Serve un prete» disse El Cid. «E un chirurgo che sappia tenere la bocca chiusa.»
«Mandiamo un messaggio a Messer Bragadin» disse Ermes. «Gli Inquisitori di Stato devono immediatamente essere messi al corrente.»
«E quando accadrà» mormorò Nadir, «potremo dire addio alla nostra libertà.»