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TEMPESTA DI MARE

Nel palazzo di fronte, oltre gli archi traforati di una loggia, qualcuno suonava La tempesta di mare di Vivaldi che, anche eseguita da un unico strumento, aveva una potenza che rapiva i sensi. La musica si spandeva sopra l’acqua del canale sottostante e un gondoliere le fece eco con un fischio armonioso che si smorzò e si spense oltre un ponte in lontananza.

Cordelia Giustinian appoggiò gli avambracci sulla balaustra di marmo e guardò le finestre del palazzo di fronte: in caso di pericolo potevano rappresentare una via di fuga. Nella borsa di seta nascosta dalle gonne voluminose aveva una fune sottile e indistruttibile munita di un rampino, e aveva imparato l’arte di arrampicarsi sulla corda dalla famiglia Bailo di Santa Maria Formosa che da generazioni forniva funamboli al Carnevale della Serenissima. Sapeva come lanciarsi in un canale da un tetto e scalare un muro facendo presa sui mattoni sporgenti; riusciva a restare nascosta sotto il pelo dell’acqua per un tempo che avrebbe ucciso chiunque, tuttavia nessuno intorno a lei lo avrebbe immaginato.

«Vengo a raccontarvi un pettegolezzo divertente.»

Cordelia si costrinse a ricambiare il sorriso gentile di Francesco Valier. «Vi ascolto.»

Non sarebbe stato semplice uscire dal salone senza dare nell’occhio, tanto più che Cassian D’Armer la stava fissando, con una tale intensità da imprimerle un marchio di fuoco sulle spalle nude. I suoi occhi erano bellissimi, il disagio che le procuravano era immenso. Non appena giunto a Palazzo Bolani, Cordelia aveva notato il suo sguardo percorrere le sale dove si teneva il ricevimento per fermarsi su di lei.

I due Indiani che lo scortavano ovunque, guerrieri dell’esercito del Gran Moghul, presidiavano l’ingresso, i volti impassibili, gli occhi color caffè fissi sul loro padrone.

«Spero sia davvero sconveniente» disse lei, ridendo.

Il sorriso di Francesco Valier si allargò. «L’Abate Casanova si è fatto un nemico importante» disse, con una cadenza solenne.

«Qualcuno lo ha segnalato agli Inquisitori?» domandò Cordelia.

«Peggio» disse Francesco. «È andato in giro a dire che Giulietta Preati è sgraziata e poco attraente, che ha i piedi grossi e la bocca troppo grande per essere un’autentica bellezza. Lei gli ha giurato vendetta.»

«Rimpiangerà gli Inquisitori» rispose Cordelia ridendo e, come per caso, si volse a osservare il punto in cui il Rio de Santa Marina piegava verso il Rio de San Lio.

Una gondola scivolò tranquilla sull’acqua e deviò lungo il canale sottostante, fermandosi all’approdo. Dal felze emerse una figura avvolta in un tabarro nero, il volto coperto da una maschera e il tricorno sul capo. L’individuo si allontanò e sparì veloce in una calle laterale. Dalla gondola intanto era discesa una seconda persona: un uomo alto, in una severa toga nera ravvivata da un colletto di vaporoso pizzo.

«Francesco, dovrete scusarmi» disse Cordelia a voce alta. «Ho un messaggio da inviare e ho paura che si tratti di un segreto.»

Accompagnò quel congedo con il più dolce dei sorrisi e chiuse il ventaglio con un gesto civettuolo. Francesco Valier ne afferrò la nappa di seta che pendeva dall’estremità. «Posso tenere il vostro ventaglio in pegno? In modo che siate costretta a tornare a reclamarlo.»

Cordelia pensò alle lancette avvelenate nascoste dove avrebbero dovuto trovarsi le stecche di quel ninnolo all’apparenza innocuo. Incurvò di nuovo le labbra in un sorriso. «Temo di no, dovrete confidare nella vostra buona stella perché io faccia ritorno.»

Valier lasciò la nappa e il suo sguardo si spostò su qualcosa al di sopra della spalla di Cordelia. «Avrei dovuto comunque lasciarvi andare. Nessuno ha detto al vostro promesso sposo che la gelosia è un sentimento riservato al volgo?»

«Sto interrompendo qualcosa?» intervenne infatti una voce maschile fredda e cortese.

Cordelia si voltò. Cassian D’Armer li osservava appoggiato al bordo di un tavolo proprio dietro di loro, nella destra aveva un bicchiere di vetro intagliato, sul volto un’espressione enigmatica mentre aggiungeva: «Valier, debbo provvedere io stesso a trovarvi una compagnia diversa?».

I suoi occhi erano davvero magnifici ma in un modo inquietante, pensò Cordelia. Avevano il blu perfetto del mare di terre lontane ed erano frangiati da ciglia nere folte che li sottolineavano come un tratto di bistro.

«Signor D’Armer» rispose Francesco in tono annoiato che non celava del tutto un certo allarme. «Vi riconsegno questo scrigno di delizie.»

Si accomiatò con un inchino ironico e, prima che Cassian dicesse qualcosa, Cordelia disse: «Scusatemi, torno subito».

Nel passargli accanto però sentì le sue dita trovarle con sicurezza il polso e stringerlo con fermezza. «Dove fuggite, Cassandra?»

Cordelia aveva imparato a reagire a quel nome come se fosse stato il proprio, pronta ad appiattirsi e sparire nell’ombra di Cassandra Giustinian.

Represse l’impulso di scrollarsi di dosso la sua mano e senza perdere il sorriso domandò: «Non potete attendermi un momento? Voglio solo mandare un servitore dalla mia madrina per rassicurarla sulle mie condizioni. Avevo mal di capo stamattina».

Lui la scrutò. «Avete un bel colorito.»

«Belletto» disse lei. «Per favore, non fatevi beffe della mia salute cagionevole.»

Cassian socchiuse gli occhi. «Ieri quando sono venuto a trovarvi non avevate nemmeno le forze per alzarvi dal letto.»

«È quanto vi sto dicendo, lasciate che tranquillizzi la mia famiglia. Dopo tornerò da voi.»

«Siete talmente risoluta» commentò lui. «A volte mi sembrate una persona che non conosco affatto.»

Cordelia non riuscì a impedirsi di rivolgergli uno sguardo indomito; subito dopo però si costrinse ad abbassarlo.

«Parlate per arcani, mio signore» rispose. «Se desiderate giocare e fingere che io sia un’altra, sono disposta ad accontentarvi. Tutto per amor vostro.»

La stretta sul suo polso si accentuò, poi si sciolse lasciandola andare. Cassian piegò un angolo delle labbra verso l’alto. Il sorriso di un assassino, pensò lei.

Cassian D’Armer era pericoloso, si disse. Lo era ancora di più quando, a tratti, era il suo fidanzato.

Nei giorni precedenti aveva imparato a memoria la pianta di Palazzo Bolani e anche quella dell’edificio attiguo. Una squadra di operai inviati da suo padre si era mescolata alla servitù per eseguire un piccolo accorgimento che le avrebbe permesso di muoversi con più efficacia.

Uscì dal salone e discese verso il piano sottostante, nella destra aveva una maschera sorretta da un bastone d’avorio che, all’occorrenza, le avrebbe permesso di nascondere il volto.

Le cucine erano a pianterreno, locali angusti dove un cuoco francese e un’infinità di attendenti erano troppo presi dai preparativi del banchetto per fare caso a lei. Cordelia individuò la dispensa dei vini ma, prima di riuscire a entrare, udì un rumore di passi provenire dal lato delle cucine.

La porta immediatamente alla sua destra era sbarrata; per fortuna, quella dal lato opposto era aperta. Fece appena in tempo a infilarcisi all’interno che giunse un maggiordomo in livrea. L’uomo aveva le chiavi della cantina legate a una lunga catena e, quando uscì con alcune bottiglie di champagne, si assicurò di chiudere bene.

Non appena il maggiordomo si fu allontanato, Cordelia uscì dal suo nascondiglio e si accostò alla porta della cantina. Al collo indossava una splendida croce di rubini e diamanti che, sul retro, rivelò un gancio ben mimetizzato tra i fregi d’oro.

Il braccio inferiore della croce si staccò rivelando una serie di grimaldelli. Attenta a ogni suono proveniente dalle cucine, inserì nella toppa una lancetta piatta e lunga e poi una più sottile e appuntita. Poco dopo udì il rumore soddisfacente della serratura che scattava e, in un momento, fu all’interno.

La cantina dei Bolani era umida, poco illuminata. In un angolo un nastro azzurro di raso testimoniava che i vini non erano gli unici ad avervi trovato riparo.

Cordelia superò rastrelliere e scaffali fino a raggiungere la parte opposta della stanza dove dei pannelli di legno rinforzavano il muro al lato di alcune botti. Percorse le assi con le dita e infine trovò la scanalatura che cercava. Smosse appena il pannello poi, annuendo tra sé, indietreggiò di qualche passo.

Prima di passare all’azione c’era un’ultima cosa che doveva fare. Allentò i fiocchi sulle spalle e i lacci nascosti dalle gale del corpino. Il sontuoso abito, cucito col preciso scopo di essere tolto con facilità, scivolò al suolo afflosciandosi sulle sottogonne e il panier di stecche di balena, sopra vi gettò la maschera rigida sorretta da un bastone d’avorio. Cordelia rimase in aderenti calze maschili e corsetto, nella cintura di cuoio stretta in vita aveva una serie di pugnali e una piccola, sottile cerbottana d’osso. Infine frugò tra le pieghe del vestito abbandonato e ne trasse una maschera moretta. La maschera ovale le aderì al volto alla perfezione, il morso che la teneva ferma le avrebbe evitato di emettere suoni involontari.

Allentò due assi e le staccò con cautela dalla parete, poi scivolò attraverso la fessura nel palazzo attiguo.

I magazzini in cui entrò erano in penombra, la luce, proveniente da piccole grate sul muro, illuminava una serie di casse polverose e un felze decorato alla moda del secolo precedente. Dall’esterno giungeva un debole rumore di passi e sciabordio di acque.

La porta del magazzino si aprì con facilità sui corridoi a pianterreno e Cordelia salì in silenzio i gradini verso il piano nobile.

All’altezza del pianerottolo avvertì una corrente d’aria toccarle la nuca. Non fece nemmeno in tempo a voltarsi che un braccio l’abbrancò per i fianchi mentre una mano le afferrava la gola.