La sorpresa le fece allentare il morso e la maschera cadde al suolo.
Subito dopo Cordelia voltò il capo e affondò i denti nel braccio del suo aggressore, un uomo alto e massiccio con una maschera verde scuro sul volto.
L’uomo grugnì di dolore e allentò la stretta dandole margine sufficiente per sferrargli una gomitata nel ventre e agganciargli una gamba con la propria. Non aspettandosi una reazione esperta, quello si sbilanciò e cadde a peso morto. Cordelia riuscì a recuperare la maschera e indossarla prima dell’attacco successivo ma quella manovra le costò del tempo prezioso: fu in grado a stento di balzare all’indietro evitando che un pugno la centrasse in volto, il colpo la raggiunse di striscio a una spalla intorpidendole il braccio.
Cordelia si abbassò e schivò due pugni, poi fintò inducendo il suo avversario ad abbassarsi a sua volta, ruotò su se stessa con la gamba tesa e lo colpì alla tempia con il collo del piede. L’uomo le sferrò un manrovescio poderoso che la tramortì. Lei cadde all’indietro e batté la nuca contro un gradino. Un’esplosione di luci le saettò dietro le palpebre e una morsa di nausea le strinse lo stomaco.
L’uomo le fu subito addosso schiacciandola col suo peso, l’angolo del gradino contro le costole le provocò un dolore lancinante. «Chi sei?» le disse. «Una puttana o un saltimbanco?»
La voce suonò distorta per via della maschera ma con una nota di soddisfazione inequivocabile e un accento lieve.
Bergamo, pensò Cordelia, aveva l’accento di Bergamo.
Comprese cosa stava per accaderle quando le tirò i polsi sopra la testa con la mano sinistra, mentre la destra scendeva tra i loro corpi per slacciare la cintura dei calzoni.
Lei inghiottì un fiotto di acido mentre il panico le annebbiava la mente, poi l’addestramento prese il sopravvento. Scattò con la testa in avanti e picchiò la fronte contro quella del suo aggressore. Provò un lampo di dolore, ma il verso di sofferenza e l’allentarsi della stretta ai polsi fu ciò che le occorreva. Liberò le mani e con un colpo del palmo schiacciò con violenza la maschera sul volto dell’uomo e riuscì a sgusciare da sotto i suoi fianchi quanto le bastava per afferrare un coltello lungo e sottile dalla cintura.
Con un movimento rapido afferrò l’uomo per i capelli e gli affondò la lama nel collo. In un attimo fu libera e lo spinse via.
Si alzò e lo guardò affogare nel suo sangue, mentre lei si asciugava dalla fronte un rivolo del proprio e indossava di nuovo la maschera.
Il rumore della lotta aveva attirato l’attenzione di un servetto – poco più di un bambino – che osservava, atterrito, da una nicchia del pianerottolo superiore e tentava di sparire dietro una tenda. Il buon senso le suggeriva di ucciderlo ma era abbastanza certa che non avesse avuto modo di vederla in viso, così si limitò ad avvicinarsi e a portare l’indice al naso ordinandogli di fare silenzio.
Lo sguardo terrorizzato del ragazzino si spostò dalla mano insanguinata alla maschera nera e inespressiva. «Non dirò niente, signora Maschera» sussurrò.
Cordelia prese dalla cintura una corda sottile e gli legò i polsi a una delle colonnine di marmo della scalinata. Quello subì, senza fiatare e, anche dopo che lei si fu allontanata, tenne lo sguardo basso evitando con cura di guardarla.
Non le era rimasto molto tempo e avrebbe dovuto pensare a come tornare al ricevimento dei Bolani con il volto tumefatto e le costole ammaccate.
Infilò il pugnale nella guaina sul retro della cintura e cercò la biblioteca. Il suono del violino dilagava lungo il rio, crescendo d’intensità. Non udendo altro rumore, Cordelia socchiuse l’uscio e spinse piano, attenta a non fare cigolare i cardini. Entrò e, girando intorno al tavolo massiccio che occupava il centro della stanza, lo vide.
L’uomo dal vestito nero giaceva su un fianco, immobile, con un pugnale conficcato nel cuore. Per terra vi era una maschera di ottima fattura, modellata con un grosso naso sormontato da un paio di occhiali che fissavano il vuoto, simili a orbite senza occhi.
Cordelia si abbassò e gli premette due dita sulla gola constatando che non c’era pulsazione. Gli prese un polso: la pelle era ancora calda e le giunture flessibili. Voltandosi verso il balcone e vedendo le tende svolazzare nella brezza tra le vetrate spalancate, Cordelia comprese che il suo arrivo aveva disturbato l’assassino.
Si precipitò verso il balcone dall’altro lato della biblioteca e guardò in basso, in Campo Santa Marina. Chiunque fosse stato, era riuscito a fuggire dopo aver ucciso il suo bersaglio.
Aveva l’ordine di rigirargli un coltello nel cuore fino a spappolarlo ma, a quanto sembrava, qualcuno le aveva risparmiato il disturbo, quindi decise di andarsene.
Il cadavere dell’uomo mascherato giaceva ancora sui gradini, il servetto invece era riuscito a liberarsi e con ogni probabilità era corso a dare l’allarme. Una ragione in più per scappare.
Cordelia tornò nella zona dei magazzini e passò nella cantina dei Bolani attraverso le assi smosse. Con le mani che tremavano riuscì a rimetterle a posto. In un momento di panico si guardò intorno senza riuscire a trovare i propri vestiti, poi li individuò dove li aveva lasciati dietro la fila delle botti.
Un coro di urla proveniente dai piani superiori la fece sussultare e i nastri con cui stava legando il panier in vita quasi le sfuggirono dalle dita. Infilò in fretta il vestito e rassettò le gonne gonfiandole bene sui lati.
I capelli erano molto diversi da quando il parrucchiere li aveva acconciati, pensò. Li ravviò con una mano sopra la fronte e quando si guardò le dita le scoprì sporche di sangue. Inorridita, si tamponò con un fazzoletto, ficcò in una tasca la maschera moretta e prese da terra quella rigida fissata sul bastone d’avorio, l’unica cosa che l’avrebbe protetta fino a quando non fosse riuscita a salire sulla gondola per andarsene.
Uscì dalla cantina e finalmente ebbe fortuna perché non incontrò nessuno a parte un cameriere avviato in direzione del piano nobile con un vassoio di frutta e confetture. Le urla che l’avevano allarmata si erano trasformate in risa, tuttavia lei non aveva intenzione di restare un minuto ancora.
«La mia gondola» disse, nascondendo il nervosismo dietro un tono distaccato. «Nel più breve tempo possibile, per favore.»
Il cameriere fece cenno a un valletto, il quale si inchinò e scomparve verso i quartieri della servitù.
Cordelia colse di sfuggita la propria immagine in uno degli alti specchi incorniciati nella splendida anticamera dei Bolani. Era abbastanza in ordine per andare a salutare.
Trovò subito Elena Bolani all’entrata del salone, sfortunatamente al suo fianco c’era Cassian D’Armer che la fissava con un’intensità tale da farle desiderare di indossare ancora la maschera. Maria Elena era incantevole e, accanto a lei, Cassian creava un contrappunto prezioso. Alto e bruno, sembrava un giovane Marte ritratto accanto al canone perfetto della Venere di Venezia. Che Maria Elena avesse delle mire su di lui non era un mistero per nessuno: era anche piuttosto evidente dal sorriso con cui accolse il congedo di Cordelia e la riluttanza con cui la pregò di fermarsi ancora un poco.
«Perdonatemi, ma sento le forze abbandonarmi» disse Cordelia con il garbo con cui avrebbe parlato Cassandra.
«Cara Cassandra» rispose infatti la padrona di casa, con malcelato sollievo. «Andate a riposare. Mi dispiace che non possiate assistere al concerto.»
«Vi sarà un’altra occasione.»
Cordelia evitò con cura di guardare Cassian quando gli rivolse un piccolo inchino.
«Faccio preparare la gondola» disse lui. «Appoggiatevi al mio braccio.»
«Non è necessario, signore» rispose lei, pronta. «Sarebbe deplorevole abbandonare la nostra ospite.»
Elena fece un sorriso e posò le dita bianche sopra la manica di Cassian. «Dovete obbedire a un ordine così grazioso.»
Cordelia stava per varcare la soglia del salone quando accaddero due cose: il taglio sulla fronte ricominciò a sanguinare e qualcuno, alle sue spalle, le afferrò il gomito.
«Cassandra, aspettate. Lasciate che vi accompagni.»
Per la prima volta, sentire sulle labbra di Cassian il nome della sua gemella le provocò una reazione di stizza. Con un movimento abile, liberò il braccio destro dalla sua presa e, mentre si voltava, sollevò il bastone d’avorio coprendosi il volto con la maschera.
Lui la fissò per un lungo momento. «Come se ci fosse differenza rispetto a quando non indossate una maschera.» La sua voce era carica di frustrazione.
«La mia gondola sta attendendo» rispose lei, senza dar segno di aver compreso l’osservazione. «Volete accordarmi i vostri saluti, signore?»
«Non posso guardare ancora una volta il vostro viso prima di lasciarvi andare?»
Cordelia cercava una risposta adatta senza trovare neppure una parola, lui indietreggiò di un passo mentre un’espressione incredula gli balenava in faccia. Scosse appena il capo come se non riuscisse a credere al proprio comportamento.
«Perdonatemi» aggiunse infatti, con un inchino formale. «Sto trattenendovi a scapito del vostro benessere. Verrò a farvi visita in serata. Spero di trovarvi abbastanza in forze.»
Cordelia inclinò il capo in segno di assenso e, con sollievo, si diresse verso lo scalone.
Nel momento in cui la gondola si staccò dall’imbarcadero, quando pensava di essere finalmente al sicuro, un grido risuonò per il Rio di Santa Marina e d’istinto seppe da dove proveniva. Mentre la gondola si dirigeva verso il Canal Grande, Cordelia scorse una donna affacciata al balcone del palazzo a fianco di Casa Bolani; era una serva che gridava all’assassinio con tutta la forza che aveva in corpo.