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IL SOGNO DI GIULIETTA

Lei non rispose subito e, in effetti, davanti alla sicurezza con cui il Maestro dei veleni aveva pronunciato il suo nome, non c’era nulla da replicare. Così si limitò a sciogliere i lacci della maschera e a posarla sul tavolo, tra le fiale di veleno e gli strumenti da alchimista.

Quando lo guardò, sul volto di Meyer si era disegnato un leggero sorriso. «Non temete, con me il vostro segreto è al sicuro. Sono una vecchissima conoscenza di vostro padre ed ero presente il giorno della vostra nascita. Ho parlato varie volte anche con vostra madre, Lady Charlotte.»

Cordelia si irrigidì. «Di recente?»

«No, mi dispiace.»

Dal tono trapelava un sincero rammarico ma Cordelia non aveva alcuna intenzione di subire la compassione di nessuno. «Di che cosa si tratta?» domandò invece accennando al liquido rosa nella fiala.

«Avete letto le opere del Bardo, immagino. Romeo e Giulietta. Non sospirate per un Romeo che muoia per voi?»

Lei inarcò un sopracciglio. «Romeo, che stupida creatura. Ho sempre trovato il suo amore inconsistente quanto la sua personalità. Vi prego quindi di soprassedere sulle mie letture e spiegarmi che cosa intendete.»

«Giulietta, per sfuggire a un matrimonio indesiderato, ricorse a una pozione che le causò un sonno simile alla morte. Quando arriverà il momento vostra sorella si addormenterà in attesa che scopriamo una cura adeguata per il suo male.»

Cordelia non era preparata alla ridda di emozioni che la travolse. Aveva tentato di non affezionarsi a quella fanciulla fragile, sapendo che avrebbe potuto perderla da un momento all’altro.

«Pensate ci sia una possibilità?» domandò, sorpresa dal tremito nella propria voce, ed ebbe in risposta uno sguardo di compassione.

«Stiamo studiando e lavorando perché la speranza divenga realtà.»

Lo sguardo che le rivolse era pieno di gentilezza. «Vostro padre ha già preso accordi riservati con i Provveditori sopra la Sanità e con il Consiglio dei Dieci: Cassandra dormirà in una bara in fondo al mare fino a che non sarà possibile risvegliarla.»

L’orrore doveva essere evidente sul volto di Cordelia perché lui si affrettò a continuare con un sorriso mesto: «Non c’è altro modo: in nessun luogo la temperatura è fresca e costante come nel mare a quella profondità, tale da permettere la perfetta conservazione del corpo e l’agire migliore di questa droga alchemica. Abbiamo considerato con cura che luogo scegliere, adoperando la scala dell’insigne studioso Gabriel Fahrenheit. Ne avrete sentito parlare».

Lei ebbe un gesto meccanico di assenso.

«Non si sveglierà e non avrà paura, siate tranquilla. La sua anima si schiuderà nel sonno donandole sogni lunghi e bellissimi.»

Cordelia annuì e con uno sforzo controllò la propria espressione. «Devo rifornire la mia stessa scorta di rimedi e veleni» disse, cambiando discorso, la voce piatta. «Avete qualcosa che possa fare al caso mio?»

«Ho qualsiasi cosa possiate desiderare, per una morte misericordiosa o per una che lo sia molto meno. Per addormentare senza sogni o ridurre al delirio.»

Dai minuscoli sportelli all’interno della valigetta trasse orpimento e realgar, l’Acqua di Perugia e l’Acqua di Napoli. «Un mio fornitore ha trovato anche dell’Acqua di Tofana. Sapete quanto sia rara. La ricetta è morta sul rogo con la figlia della sua creatrice.»

Cordelia conosceva la storia. La palermitana Teofania di Adamo aveva trasmesso il segreto del suo celebre veleno alla figlia Giulia, arsa a Campo de’ Fiori nell’estate di quasi un secolo prima. Lo speziale la rifornì anche di elleboro, aconito e mandragora e dopo le mostrò una fiala di vetro profilata d’oro piena di una sostanza luminosa che irradiava meravigliosi barbagli. «Il veleno preferito della Serenissima, la polvere di diamante. Deve essere ingerita col cibo e agisce con sicura efficacia. Produce minuscole ferite nelle viscere che portano a una morte lenta, simile a una malattia interna. È irrintracciabile e priva di alcun sapore.»

Infine spinse verso di lei una scatolina di cristallo piena di una polvere chiara. Cordelia la riconobbe al primo sguardo. «Questo è un omaggio per voi» disse Meyer. «In soluzione renderà il vostro sguardo ancora più bello. Oppure conservatela per chi vi farà del male.» Tornò a osservarla con gentile insistenza. «Un veleno interessante: provoca batticuore, allucinazioni, rossore e vertigini, dilata le pupille e accorcia il respiro. È simile ai sintomi dell’amore, non trovate? Uccide in maniera lenta e dolorosa. È anche il nome con cui vi fate chiamare, Belladonna.»

Cordelia dopo un momento annuì.

Aveva mille nomi e soltanto al suo non aveva alcun diritto. Cordelia di Clarick, Cordelia Sheffield, Cordelia Farnese. Nell’ambiente delle spie, semplicemente Belladonna.

«Consigliate a vostro padre di tenere ogni cosa sottochiave. Non è semplice reperire questi rimedi. Le formule sono delicate, gli ingredienti complicati, è molto facile sbagliare.»

«Sua Eccellenza Enrico saprà cosa farne. È mio compito solo fare da tramite.»

«Non abbiategliene, Madame» disse, inaspettatamente Meyer. «Vostro padre si trova a fronteggiare un nemico che credeva debellato da anni. Scoprire che alcune teste dell’Idra erano ancora in vita è stato un duro colpo per lui.»

Lei scosse il capo. «Non vi comprendo.»

«Non è un racconto che sta a me fare, ma forse sarete la mano che taglierà l’ultima testa prima che il mostro si rigeneri. A Dio piacendo, o forse al Diavolo.» Un cenno definitivo, seppure cortese, comunicò che il discorso era concluso.

Erano tessere di un mosaico che non avrebbero mai trovato una collocazione soddisfacente, pensò lei, frustrata. I contorni dei tasselli rivelavano angoli inaspettati, le figure non erano mai quelle che aveva previsto. Mentre usciva dalla chiesa dell’Anzolo Rafael, addentrandosi nell’omonima contrada, Cordelia riuscì a stento a contenere la collera.

Di Don Manuel Pérez de Guzmán y Benavides si sapeva che era uno dei nipoti del Duca di Medina Sidonia, Grande di Spagna e vicino al re. Le sue fortune provenivano dalle colonie del Nuovo Mondo sotto forma di oro, pietre preziose, spezie. La sua prodigalità e la sua generosità erano diventate in breve famose in tutta Venezia, ma soltanto in pochi sapevano delle misteriose circostanze del suo allontanamento dalla corte di Spagna. Secondo i dispacci che Cordelia riceveva dai suoi informatori, i motivi del suo esilio, mascherato dai viaggi di un giovane dissoluto, riguardavano un forte sospetto di colpevolezza nella morte violenta di suo cognato. Si diceva anche che avesse combattuto contro i pirati al largo di Tortuga e di Santo Domingo; secondo un’altra versione aveva solcato i mari a bordo delle navi corsare. Qualunque ne fosse l’origine, la sua ricchezza era incalcolabile. Aveva palazzi nel Regno di Napoli, a Roma, a Parigi e a Londra e si diceva che si potesse cavalcare senza sosta per ben tre giorni in una sola direzione e non uscire mai dai suoi possedimenti nelle Antille, tuttavia aveva eletto Venezia a dimora attuale delle sue stravaganze. Le tre ali del palazzo che aveva preso in affitto nel Sestriere di San Polo si riflettevano trapunte da una miriade di lucerne nelle acque scure del Canal Grande. A ogni bifora era appesa una lampada d’oro che bruciava l’olio più fine, sopra ogni davanzale brillava una candela e, contrariamente alla moda che allestiva i balli nei grandi saloni del piano nobile, Don Manuel aveva deciso di tenere il proprio sotto le stelle nella limpida notte di primavera, calda in modo straordinario per quel periodo dell’anno.

Era un Ballo delle Lucerne, come si usava in Spagna, illuminato soltanto dalle fiammelle e dai bracieri che gettavano ombre luminose sopra le spalle delle dame. Un’orchestra in livrea suonava sotto le volte dell’altana; fastose cortine di damasco di seta e frange dorate coprivano tavoli colmi di prelibatezze provenienti dall’altra parte del mondo.

«Sono convinto» disse qualcuno alle spalle di Cordelia. «Sono sicuro di avervi già veduta da qualche parte.»

Il suono di quella voce aveva una dolcezza unica e lei non fu stupita quando, girandosi, incontrò lo sguardo soave e diabolico dell’Abate Casanova, con tutta la sua grazia maliziosa.

Cordelia aveva assunto informazioni sul suo conto perché era rimasta colpita dal freddo coraggio con cui si batteva a dispetto della propensione alla mondanità e dell’appartenenza al clero.

«Ci siamo sicuramente incontrati nel corso di numerose feste e ricevimenti» rispose Cordelia.

Un lieve broncio di dissenso increspò le labbra di Giacomo Casanova. Era irresistibile, pensò lei.

«Non ne sono convinto.» Giacomo socchiuse gli occhi, pensieroso.

«Avete un’acconciatura incantevole» commentò lei e subito vide un lampo divertito rischiarargli lo sguardo.

«Frutto di una malefatta, Madame. Il curato Josello era indispettito dalla mia vanità così una mattina me lo sono ritrovato addosso con un paio di forbici in mano a blaterare in latino sui doveri di un religioso.» Cordelia scoppiò a ridere e l’altro continuò: «Per mia somma fortuna il parrucchiere di sua Eccellenza la signora Contarini mi ha sistemato i capelli e ora stanno ricrescendo».

«Quella è la signora Contarini» indicò Giacomo, prendendola sottobraccio. «La mia cara salvatrice. Al suo fianco c’è la signora Manzoni, una mia buona amica, insieme al Conte di Monreale che mi onora di pranzare spesso con me.»

«Chi è quella bellezza al suo fianco?»

«Teresa Imer» rispose Giacomo con prontezza. «Cantante e attrice che, ahimè, non è ancora riuscita a farsi cacciare da Vienna.» Di quei tempi farsi bandire dalla capitale austriaca era indice di grande successo e c’era di che compatire la povera Teresa. «Quella laggiù è la Cavamacchie che invece vi è riuscita fin troppo bene.» Alzò gli occhi al cielo. «Non appena mi vedrà farà una scena delle sue. L’ultima volta che l’ho incontrata al ridotto di San Moisè mi ha strappato la giacca per dispetto.»

Cordelia rise ancora.

«Ora che ci penso, è accaduto poco prima che ci trovassimo a combattere fianco a fianco per difendere i nostri ospiti da un rapimento.»

La risata s’interruppe di colpo e Cordelia fissò il suo compagno con un sorriso freddo. «Signore, non vi comprendo.»

«Sì, mi comprendete, signora Cassandra» rispose lui, in tono tranquillo. «Non sbaglio mai quando si tratta di una donna, anche se travestita da uomo. Suppongo che in qualche modo abbiate saputo che il vostro amato era in pericolo e siete intervenuta per difenderlo.»

Si posò un dito sul mento, rivolgendole ancora quello sguardo placido e pensieroso. «Vi prometto discrezione, se me lo chiederete.»

«La imploro, signore» disse lei. «Mio padre è talmente severo riguardo la mia condotta, mi chiuderebbe in convento impedendomi di sposare l’uomo per cui tanto ho rischiato.»

Casanova le rivolse un sorriso, innocente ed esperto insieme. «Avete la mia parola. Sigillate le mie labbra con un bacio e non sveleranno mai i vostri segreti.»

Cordelia sfiorò con un bacio le trine del ventaglio e glielo porse; il ragazzo fece il gesto di prendere con delicatezza il bacio e avvicinarlo alle labbra.

Dopo accaddero due cose: oltre la spalla dell’abatino, Cordelia vide Cassian con gli occhi fissi su di lei. Il cuore le si arrestò, non soltanto per il gelo che emanava ma anche perché dietro di lui vide una donna con una mezza maschera nera. Per un istante incrociò lo sguardo di Colombina, poi la donna si voltò e scomparve tra le coppie che ballavano il minuetto.