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MEMORIE DAL MARE

Aveva freddo, un gelo che penetrava dentro le ossa e feriva le mani al punto da rendere doloroso anche soltanto distendere le dita. I piedi sembravano sanguinarle trafitti da aghi di ghiaccio e ogni movimento era un’agonia.

Una parte della coscienza avvertiva preghiere in latino e mani gentili che la vestivano di indumenti soffici e le facevano scivolare tra le labbra cucchiai di miele e di latte caldo.

Nelle braccia sentiva ancora l’eco di un dolore che le rimandava alla mente immagini di corde e volti impersonali ogni volta che muoveva le spalle. Allora piangeva e si rifugiava in strati di sonno ancora più profondi.

In quei momenti dita calde e forti le asciugavano le lacrime, accarezzandole le guance e mitigando la disperazione e la paura, mani grandi stringevano le sue fino a che il calore non scaturiva dal suo interno, irradiandosi dal quel tocco per lenire la sofferenza.

A volte, tempo prima, le era accaduto di socchiudere gli occhi e di trovarsi immersa in un oscuro silenzio pieno di pace. Quando la luce filtrava dall’alto, proveniente da un mondo lontano, scorgeva intorno a sé creature fluttuanti in una lentezza infinita e frammenti di città che riposavano del suo stesso sonno – una colonna spezzata e adorna di alghe ondulate, la campana di una chiesa intarsiata di conchiglie, giardini di rocce e di fiori irreali. Spesso erano i fantasmi a farle visita, creature di nuvola immobili nel dolce ondeggiare delle acque, dame e gentiluomini in abiti alla moda che discorrevano tra loro indicandola da dietro i ventagli come fossero a teatro e che, quando si avvedevano del suo sguardo, la salutavano con un inchino e svanivano. C’era il suono di un violino e i rintocchi di una chiesa.

Allora il sonno era dolce e i sogni meravigliosi, una realtà tutta sua dove ridere e danzare, dove ogni sera aveva tè e pane tostato e burro fresco davanti a un camino. Con la logica irrazionale del mondo onirico, il minuetto suonava mentre un giovane uomo bellissimo le porgeva la mano e lo sguardo dei suoi occhi blu le prometteva una passione che avrebbe annullato gli anni e ogni distanza tra loro.

La sua voce, le sue mani l’avevano avvolta in una quieta felicità che si ripeteva ancora e ancora, al ritmo di un sole che sorgeva e si inabissava nel mondo degli altri.

Adesso quella voce la chiamava, doveva ancora trattarsi di un sogno, perché era il suo nome che pronunciava, a metà tra l’imperio e la supplica.

«Cordelia, aprite gli occhi. So che potete sentirmi. Aprite gli occhi e restate con me.»

La luce era talmente intensa che le ferì lo sguardo, obbligandola a richiudere le palpebre con un gemito, conservò però dietro di esse lampi di colore livido e l’immagine di occhi color dei lapislazzuli fissi su di lei.

Riaprì di colpo gli occhi, incurante della fitta di dolore che le trapassò le tempie, lo cercò accanto a sé e ritrovò il suo volto. Troppo sconvolta per parlare, si limitò a fissarlo, mentre il clamore esplodeva intorno a lei.

«Si è svegliata» gridò qualcuno. «Chiamate il Dottor Meyer.»

Al suo fianco, il viso splendido che aveva popolato i suoi sogni si abbassò e lei capì che il giovane era caduto in ginocchio accanto al suo letto. Le mani che tenevano le sue gli appartenevano, le candele accendevano i suoi occhi di pagliuzze dorate. Lo fissò, del tutto incurante del trambusto nella stanza, fino a che una mano affusolata non richiamò la sua attenzione.

«Guardate il mio dito» le ordinò con gentilezza una voce matura. «Riuscite a seguirlo?»

Lei spostò lo sguardo sull’indice che si muoveva da destra a sinistra davanti al suo viso, annuì e socchiuse le palpebre con un lamento.

«Volete smorzare quei lumi, per favore?» esclamò una voce impaziente. «Le danno fastidio!»

«Cassien, calmati. Sentirti urlare come un demonio la turberà» disse qualcuno in francese e le parole di quella lingua le si riversarono in mente, poi qualcun altro rispose, nella medesima lingua, con un ringhio impaziente: «Sono calmo, ma spegnete quella dannata lampada».

Per un momento lei faticò a trovare un senso a quella babele di italiano, veneziano e francese. La luce si affievolì allentando il dolore che le batteva ai lati del capo, e nel suo campo visivo comparve una testa coronata di capelli bianchi.

Conosceva quell’uomo, si disse, e un’espressione le attraversò i pensieri all’improvviso: “Il sogno di Giulietta”.

«Scusate» disse l’uomo con i capelli bianchi tastandole il polso per cercare il battito. Le scrutava gli occhi senza incrociare davvero il suo sguardo, le sue mani erano cortesi ma impersonali. Si chinò per posarle un orecchio sul petto e, risollevandosi, annuì. «Il cuore batte con forza e regolarità» disse, soddisfatto. «Aiutatemi a sollevarla, voglio controllare ancora il respiro.»

Lei voltò la testa sul cuscino per cercare ancora quegli occhi blu e quando li trovò il sorriso che ricevette le arrestò il respiro. «Cassian?» articolò, esitante. Il suono delle sue parole era rauco, fragile, di uno strumento ancora da accordare dopo aver taciuto a lungo, ma provocò un’espressione radiosa e un sorriso ancora più ampio e dolce.

«Tenetevi a me.» Se possibile la voce dell’uomo era più tenera che in sogno. Le prese i polsi con delicatezza estrema, mettendosi le sue mani intorno al collo, dita forti si allargarono alla base della sua schiena, aiutandola a sedersi. Era ancora debolissima, così si accasciò in avanti come una bambola di stracci contro un torace ampio e muscoloso che la sostenne senza farle male.

Ci fu un momento di silenzio.

«Cassian, dovete permettermi di visitarla.»

Le braccia che la stringevano si sciolsero con evidente riluttanza, lei nascose il viso contro la spalla di lui mentre i capelli del dottore le solleticavano la schiena attraverso il tessuto sottile della veste da notte. «Fate qualche respiro profondo.»

Cordelia obbedì, inspirò a fondo e il profumo dell’uomo che la teneva tra le braccia le strappò un sospiro. Avvampò e per un momento fu certa che anche il dottore avesse sentito il battito furioso del suo cuore, quello però si limitò a pronunciare qualche parola d’assenso, rialzandosi.

Cassian la stava fissando e sembrava sconcertato e compiaciuto insieme: lei sapeva di essere arrossita, era aggrappata alla sua camicia che lasciò, fissandosi le mani, inorridita, come se avessero agito senza il suo consenso. Abbassò il capo, consapevole solo delle braccia che la sorreggevano senza imporsi e dello sguardo che invece cercava il suo con insistenza. Si scostò con il pretesto di sdraiarsi, cercò a tentoni i cuscini dietro di sé, meravigliandosi di non avvertire alcun dolore alle spalle.

«Cassian, concedile un po’ di riposo» disse una voce dall’accento francese in tono divertito. Un volto affilato e beffardi occhi azzurri entrarono nel suo campo visivo. «Bentornata, Madame.»

Il suo nome le balenò con nitidezza nella mente.

Alain-Jean de la Rochechouart de Mortemart.

«Grazie, signore» disse, in francese. «I vostri fantasmi mi hanno tenuto compagnia.»

«Alain» esclamò Cassian e, ai margini della sua voce cortese, seppur fredda, premeva una minaccia tangibile.

«Non vi hanno spaventata, spero» rispose Alain, gentile. «Ho chiesto loro di darvi un’occhiata di tanto in tanto. Potevano solo riferirmi ciò che vedevano e abbiamo dovuto accontentarci.»

«Riprenderemo il discorso più tardi» disse Cassian. Nessuno si lasciò ingannare dal suo garbo ma de Mortemart non parve affatto preoccupato.

Cominciarono a discutere in francese ma lei non vi badò, un pensiero istantaneo e angoscioso le invase gli occhi.

«Cassandra» esclamò. «Dov’è mia sorella?»

Subito si fece silenzio poi il Dottor Meyer rispose con la consueta cortesia. «Per quanto ne sappiamo sta bene ed è ben protetta. Trovare voi in queste ottime condizioni ci fa ben sperare sulle sue.»

Cordelia chiuse gli occhi, sopraffatta dal sollievo. Per un poco si era sentita in grado di sostenere una conversazione, in breve però le immagini cominciarono a sfuocarsi e le voci si confusero. Rimase quieta nella semioscurità, al caldo sotto le coperte, cullata dal suono di un violino lontano.

Il sonno era dunque una prigione?

Si era risvegliata per tornare tra le sbarre impalpabili di un mondo irreale che l’avrebbe tenuta avvinta ancora una volta senza possibilità di sapere quando le sarebbe stato concesso di tornare al mondo.

Il rumore era ancora quello profondo e sordo degli abissi? Aveva intorno a sé vestigia di civiltà in rovina tra le quali avrebbe dimorato per sempre, né viva né morta?

Lottò per emergere dal groviglio, ma il sopore la teneva avvinta, simile a una ragnatela pesante e appiccicosa. Mosse le braccia e si accorse di essere rimasta immobile, voleva correre ma le gambe erano come morte.

Si levò a sedere gridando e annaspò nell’oscurità, cercando alla cieca sagome familiari. Toccò dei cuscini, lino soffice e merletti, coperte spesse e la sagoma di un tavolo. Urtò qualcosa con la mano e udì un rumore di vetri infranti.

Le ombre si allungarono sulla soglia e nel cerchio di luce di un candeliere apparve un uomo dai capelli neri arruffati, con lo sguardo vigile di chi non varca mai l’ultima soglia del sonno. Aveva un aspetto minaccioso e conturbante, il volto era in penombra e la camicia bianca aperta fino alla cintola mostrava un torace muscoloso cosparso di peluria scura. Quando si avvicinò le candele bagnarono di luce un taglio sul sopracciglio e al lato del labbro, e un livido sullo zigomo. Aveva la bellezza di un dipinto e l’aria del poco di buono, quando fu al suo fianco il vacillare delle fiammelle le nascose la sua espressione.

«È stato un incubo. Non era mia intenzione svegliarvi» disse lei, a disagio. «Mi dispiace.»

Cassian appoggiò il candeliere sul tavolino da notte e si chinò per raccogliere con attenzione i cocci di una tazza. «Non dovete scusarvi» rispose, rialzandosi. «Avete paura di dormire, è comprensibile.»

«Non ho…» esordì lei, subito si interruppe e scosse il capo. «Tornate a riposare, non ha senso vegliare in due. Soltanto, potete lasciare accesa una candela, per favore?»

Senza rispondere lui avvicinò una poltrona e sedette accanto a lei, i gomiti sulle ginocchia, proteso in avanti. «Non dormo bene da anni, quindi non preoccupatevi per me» disse.

Lei lo guardò mentre alcune frasi le affioravano alla mente insieme all’immagine del Canal Grande e alla sagoma scura di un gondoliere. «Delhi» disse piano. «È da allora che non riuscite a riposare.»

Sul volto di lui si disegnò una strana espressione che la costrinse a distogliere lo sguardo. «Mi devo scusare ancora, sono stata invadente. I ricordi ritornano senza preavviso e non sono riuscita a controllarmi.»

«Non mi è parsa invadente.»

«Era una confidenza destinata a un’altra persona.»

«Vi ricordate di me» disse Cassian, semplicemente.

«Come potrebbe essere altrimenti?» proruppe lei, d’impulso.

«Certo» disse lui, la voce inasprita. «Mi rimproverate quanto vi è accaduto e avete ragione. Se non potrete perdonarmi nessuno potrà biasimarvi, ma vi prego di credere che mai per un momento ho desiderato nuocervi.»

La guardò, i suoi occhi erano seri ed esprimevano un tormento reale, senza possibilità di pace. Lei desiderò poter allungare una mano e mitigarlo.

«Ammetto che per un istante, un singolo istante ho desiderato vendetta» aggiunse lui in modo appena percettibile.

Che siate maledetta. Vi consegnerò io stesso alle autorità della Repubblica perché non debba più vedervi per il resto della mia vita.

Il ricordo aleggiò tra loro per un istante che parve prolungarsi all’infinito, se lo lessero nello sguardo a vicenda, e subito dopo emerse la memoria di quanto era accaduto prima che lui pronunciasse quelle parole.

Un bacio puro come un giglio, torbido come il sangue versato a tradimento. Il suo tocco che le aveva fatto tremare l’anima e le aveva allungato un’ombra di fuoco sulla pelle.

Lui era stato l’inizio di un viaggio misterioso che l’aveva gettata in una tomba fredda in fondo al mare, sotto una lapide d’acqua e di menzogne.

Con un bacio l’aveva condannata, con un bacio l’aveva risvegliata.

«Non sono stato io a denunciarvi.»

«Lo so.»

La ferma dolcezza nella sua voce sembrò togliergli le parole, poi Cassian aggiunse, con amarezza: «Se però non vi avessi trattenuta, forse non sarebbero riusciti a scovarvi».

«Non è così.» Cordelia lo fissò, decisa. «Sono un agente segreto. Non sono mai stata altro né ho mai pensato di poter essere qualcosa di diverso. Conoscevo i rischi. Se mi hanno presa è perché non sono stata abbastanza brava.»

Lo sguardo di Cassian era intenso, il suo silenzio rivelava dubbi che era troppo cortese per esprimere a voce alta. Cordelia piegò il capo verso la spalla e socchiuse gli occhi. «Vi prego di non mancarmi di rispetto attribuendovi responsabilità che non vi appartengono. Ho imparato quando ero appena una bambina a essere l’unica padrona delle mie azioni e delle loro conseguenze.»

Lui si ritrasse appena, sorpreso da una replica tanto energica; la carezza fredda del suo sguardo le sfiorò il viso e si soffermò sulle labbra. Poteva essere l’impressione dettata dalle viscere oscure di quella notte interminabile, ma le parve di scorgergli ancora nello sguardo il ricordo del bacio che si erano scambiati.

Non avrebbe mai potuto raccontargli che il sogno della sua passione l’aveva seguita nella morte, che il suo volto le era apparso circonfuso di fiamme mentre le sue labbra le sussurravano oscure parole d’amore.

«Dunque non esiste questo debito tra noi, signore» disse in tono tranquillo, mettendo a tacere quei pensieri. «Non avete nulla di cui rimproverarvi.»

Cassian annuì, lentamente, incassando un’assoluzione di cui non parve del tutto convinto.

«Adesso» aggiunse lei. «Spiegatemi perché sono ancora viva.»