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IL MERLETTO DEL MAGO

Il laboratorio di Marcus Meyer si trovava in un pianterreno in Contrada San Salvador. Le finestre protette da grate davano su una piccola corte interna dove si apriva una porta appartata, che usarono per trasportare all’interno il cadavere senza attirare l’attenzione.

Il laboratorio era costituito da un ambiente invaso di scaffali, vetrine e credenze. Alcuni sportelli erano chiusi da lucchetti e chiavistelli, il lampadario e le lanterne gettavano luce su alambicchi, ampolle e serpentine di vetro; c’erano libri ovunque e su ogni ripiano era disposto l’occorrente per scrivere.

Sul lato sinistro, da una porta si accedeva alla stanza attigua, un luogo ampio ma di molto più fresco, con travi a vista da cui pendevano mazzi di piante aromatiche. Il tavolo al centro della stanza era scrupolosamente pulito, ma tracce brune indicavano dove era defluito il sangue. Tavole anatomiche disegnate con grande cura erano montate su alcuni cavalletti, in un angolo una mano scheletrita era percorsa da fili che ricreavano la mappa delle vene.

«Mettetelo qui.» Meyer indicò il tavolo grande, accanto al quale era pronto un ripiano più piccolo su cui erano disposti gli strumenti chirurgici.

James e Cassian deposero il corpo avvolto in un lenzuolo, che Meyer tagliò con un paio di forbici.

Cordelia gettò a Contarini uno sguardo carico di livore mentre si liberava del mantello ormai rovinato e del cappello recuperato dalla gondola di Cassian.

«Devo togliergli gli abiti» annunciò Meyer, rivolgendole uno sguardo di scuse.

Lei fece un gesto con la mano. «Non curatevi di turbarmi. Il corpo umano per me non ha molti misteri.» Incrociò lo sguardo limpido e divertito di Monsieur al di sopra del cadavere e ignorò il ringhio sordo proveniente da Cassian. «Per uccidere bisogna sapere dove mirare.»

Giacomo Casanova la guardava sorpreso e Don Manuel invece si faceva il segno della croce. «Dovessi sentire la mia Jimena parlare così, morirei sul colpo.»

Meyer tagliò i vestiti di Contarini: la giacca finì sul pavimento seguita dal panciotto; poi le forbici attaccarono la camicia scoprendo il petto e le braccia.

«Che cos’è quel segno?» domandò Casanova, piegandosi in avanti, interessato. «Sembra un merletto di Murano.»

Cordelia invece non riuscì a nascondere la sua amarezza. «Tanta pena per nascondergli la mia identità e non compromettere mia sorella» disse sprezzante, «quando con ogni probabilità era in combutta con loro sin dal primo momento.»

Il braccio destro di Contarini era più muscoloso del sinistro, la pelle giovane e tonica rispetto al resto del corpo in linea invece con un uomo sulla sessantina. La carnagione era più chiara, la peluria bionda in contrasto con quella scura e grigia sul petto. Proprio sotto la spalla, un disegno simile a un merletto cingeva l’arto per tutta la sua circonferenza, come un bracciale molto elaborato. Il motivo era fatto di linee sinuose, punti e complicati riccioli che si susseguivano con una regolarità perfetta.

Cordelia sapeva che al tatto avrebbe avuto un rilievo impercettibile e indistinguibile dalla pelle circostante al punto da dimenticarsene.

«Di cosa si tratta?»

Sentì James porre quella domanda di cui, in fondo, non avrebbe voluto conoscere la risposta precisa, pur avendola intuita da tempo.

«Utilizzando come base l’Elisir alchemico si possono ottenere molteplici risultati» spiegò Meyer. «In una determinata quantità garantisce giovinezza e longevità; una dose diversa induce un sonno simile alla morte che preserva perfettamente il corpo.»

«Il Sogno di Giulietta» mormorò Cordelia.

«È corretto, Milady» rispose Meyer. «In quantità massiccia invece può riportare in vita un cadavere purché il cuore sia in una qualche misura conservato. La funzione di mantenere in vita e preservare non si limita al corpo nel suo intero ma può applicarsi anche a una sola parte di esso. Per questo motivo, con un po’ di presunzione, Artemius lo chiamò il Soffio di Dio.»

Prese un lungo spillone col quale punse il braccio del cadavere poco al di sotto del segno nero. Il gomito si piegò, le dita fremettero. Manuel si ritrasse, con un’espressione inorridita, mormorando una litania di parole in spagnolo a metà tra l’imprecazione e lo scongiuro.

Cordelia trattenne un conato di disgusto. Avrebbe desiderato soltanto andarsene e non ascoltare. Era riuscita a convivere con alcune qualità del suo corpo che non desiderava affatto approfondire, e sapeva che presto sarebbe stata costretta a farlo. Evitò lo sguardo di Cassian e, per caso, si accorse che James invece fissava il braccio di Contarini con strana intensità, senza dire nulla né mostrare reazioni.

«In effetti questo è l’incontro fra due tecniche diverse.» Un piccolo, fugace sorriso fece la comparsa sul volto di Meyer spianando qualche ruga. Per la prima volta, Cordelia si chiese quanti anni avesse. «In effetti» continuò lo studioso, «il metodo per impiantare parti del corpo umano è una mia idea. Unendo l’Elisir di Artemius e l’ago che è la sua personale creazione abbiamo raggiunto un risultato che non ci saremmo aspettati.»

Seguì con la punta di una bacchetta il disegno sulla pelle del morto. «Perfezionare il metodo ha richiesto anni. Salda la carne, la pelle e le ossa alla perfezione. Una scrupolosa successione numerica di simboli; la lega con cui è composto l’ago e i simboli che vi sono incisi, le sostanze di cui è intriso il filo di seta; il disegno: ogni cosa concorre a creare questo risultato. La parte impiantata conserva la sua personalità e le abilità proprie che aveva nel suo corpo di origine.» Fece una pausa. «Non di rado mi hanno riferito ricordi che potevano appartenere soltanto a chi possedeva in origine la parte del corpo impiantata.»

Cordelia sentì le ginocchia diventare di stoppa e una subitanea ondata di nausea.

Ripensò a quel ponte al tramonto, il fiume d’argento, le torri irte di pinnacoli che si levavano in fondo a una galleria di statue sotto il cielo incendiato di rosa e oro. C’era forse qualcosa dentro di lei a cui apparteneva il ricordo di quel luogo che era sicura di non avere mai visitato?

«Certo, avevo concepito questa idea per aiutare le persone. Non so che cosa ne abbia fatto Artemius» commentò Meyer.

«Merce di scambio.» Cordelia ascoltò la propria voce come proveniente da una grandissima distanza. «Donà voleva la gamba persa in guerra, Morosini una mano veloce per barare a carte. Sono sicura che facendo qualche ricerca verremmo a sapere che anche quest’uomo ha perso il braccio per qualche motivo. Immagino avrà potuto scegliere con quale sostituirlo.»

Meyer le rivolse una strana occhiata comprensiva.

James, che non aveva mai distolto lo sguardo dal braccio di Contarini, protese una mano e l’arrestò a brevissima distanza dal disegno nero, girò lo sguardo su Meyer per chiedere il permesso e quello acconsentì con un cenno.

«Che nome gli avete dato?» domandò James. Nella sua voce c’era una nota melodiosa, quasi malinconica. La domanda era indecifrabile, ma Meyer parve comprendere.

«Il Merletto del Mago» rispose. «L’ho chiamato così.»

James annuì. «Lady Cassandra ha un segno simile sulla schiena.»

Dieci occhi stupefatti si spostarono all’istante su di lui, anche i prodigi operati sul cadavere di Contarini avevano perso ogni interesse. James incrociò lo sguardo con quello di Cordelia, poi con un lieve rossore sulle guance lo abbassò. Lei lo guardava con gli occhi sbarrati, Casanova invece rivolgeva un sorriso sornione al soffitto. Meyer approfittò della disattenzione generale per avvicinarsi a Cordelia e mormorarle: «Quando Madame sarà pronta e vorrà spiegazioni, la mia porta è sempre aperta».

Cordelia non rispose, non riuscì nemmeno a fare un cenno con la testa.

«È reversibile?» domandò, a fatica. Aveva difficoltà a parlare, come se labbra e lingua fossero troppo grosse per articolare le parole.

«Non ancora, mi dispiace, sto mettendo a punto una tecnica» rispose Meyer. «Ma l’unico ago che fabbricai da me andò distrutto durante l’ultimo impianto che eseguii, molti anni fa.»

Lei continuò a guardare dritto davanti a sé senza sapere come reagire. Chi invece sembrava sapere esattamente cosa fare era Cassian D’Armer: quando spostò gli occhi su di lui a Cordelia parve, dalla sua espressione, che la stesse osservando da ore.

Nel momento in cui si accomiatarono, lasciando il laboratorio di Meyer, Cassian le posò una mano sul braccio. Il gesto era educato e pieno di rispetto, nondimeno non ammetteva ribellione. «Prego, signora. Gaspare ci aspetta da questa parte.»

Cordelia lanciò un’occhiata a James e vide che stava parlando sottovoce con Alain. Dallo scintillio negli occhi del francese, dal modo in cui si chinava verso l’altro intuì che ne era attratto. Lei lo aveva visto parecchie volte stringere Giacomo Casanova negli angoli, tra il serio e il faceto, e ne aveva dedotto che Monsieur avesse un debole per i biondi.

L’accentuarsi della stretta sopra il gomito distolse la sua attenzione per spostarla sul volto del giovane che incombeva su di lei. Gli occhi di Cassian erano gelidi quanto una notte invernale.

«Mi è permesso distrarre i vostri pensieri dal vostro amico per un momento?» La seppur garbata enfasi sul termine “amico” lo riempiva di sottintesi e lei inarcò un sopracciglio.

«È una gioia inaspettata rivedere Mister Covington così presto» rispose, con rigida cortesia. «Ma se è importante, sono qui per voi.»

Era complicato, in quel momento, ricordare che solo una distanza di ore la separava da quando si era data alle sue braccia con un totale abbandono di cui ancora si stupiva.

Cassian le lasciò il braccio mentre si avvicinavano alla riva. «Forse non c’è nulla di cui parlare, dopotutto» aggiunse brusco, come ripensandoci, mentre la gondola si avvicinava.

Disorientata da quei repentini cambiamenti d’umore, lei scosse il capo e rispose: «Come desiderate». Cercò di non sembrare delusa, ma qualcosa dovette trapelare dalla sua voce perché lui la fissò attento.

«Cosa c’è tra voi e James Covington?»

Lei sostenne il suo sguardo, un principio d’ira le indurì il volto. «Un’amicizia lunga e forte. Sua madre era una nobile napoletana che, poco più che ragazzina, conobbe suo padre in viaggio per il Grand Tour. Quando la donna morì, i suoi zii portarono James in Inghilterra per affidarlo a suo padre, un duca che pensò bene, piuttosto, di abbandonarlo per le strade di Londra. Mia madre lo ha raccolto e adottato, gli ha insegnato come ha fatto con me. Siamo cresciuti insieme, è il migliore amico che ho al mondo e da sempre il mio compagno d’armi.»

Gaspare arrestò la gondola e con intuito infallibile si fermò a poca distanza dalla riva, consentendo loro di avere un poco di riservatezza.

«Non siete innamorata di lui?»

L’assoluto sbalordimento sulla faccia di Cordelia gli strappò un sorriso riluttante.

«Per me è come un fratello» disse con un filo di voce.

Cassian non commentò, tuttavia il suo sguardo saettò verso Manuel Pérez de Guzmán che, poco distante, stava salendo a bordo della sua gondola.

«Non sono il primo uomo che avete baciato o che avete toccato» continuò, la voce piatta. Non vi era accenno di giudizio o biasimo, la sua era una mera constatazione. «Vi prego di non fraintendere. Non ho trascorso la mia vita in castità né mi arrogherei il diritto di fare considerazioni su quella altrui. Volevo soltanto sapere.»

Lei prese un profondo respiro. «Avreste potuto esserlo» disse a bassa voce scegliendo con cura le parole. «Coloro che vi hanno preceduto erano parte di una missione, risorse per un fine, e la mia era una recita. A volte è stato… non completamente sgradevole. Ma non ha niente a che vedere con ciò che è accaduto con voi.»

Dirlo le era costato ogni frammento di coraggio e onestà. «Inoltre ho l’impressione che, piuttosto, sia mia sorella ad avere sentimenti più profondi nei confronti di James.»

Una ruga lieve solcò la fronte di Cassian, come se si fosse ricordato in quel momento di qualcosa di molto importante. Cordelia voltò il capo, fissando le luci dei palazzi allungare ombre sulle acque placide del rio.

Quell’uomo era un rompicapo, un codice che non sarebbe mai riuscita a decifrare.

Quando aveva ormai deciso di cercare James per rientrare insieme a lui, la mano di Cassian tornò sul suo braccio e Gaspare spinse la gondola verso di loro.

«Portiamo a casa Madame» disse Cassian. La voce era gentile ma il suo atteggiamento distaccato le provocò un malessere che, per fortuna, riuscì a nascondere bene.

Giunti davanti alla porta d’acqua di Ca’ Giustinian Santa Croce, lei si aspettava che l’avrebbe accompagnata all’interno per congedarsi in fretta. Cassian scese e le porse la mano per aiutarla a salire i gradini spazzati dalle onde. Alla luce delle torce il riflesso faceva sembrare che scendessero oltre la superficie dell’acqua, fino al fondo del Canale e a una città sottomarina che esisteva solo nelle leggende.

Quando però furono oltre la soglia, lui congedò Gaspare con un gesto e il cuore di lei cominciò a battere più rapido mentre in silenzio salivano le scale. Cassian accettò un candelabro da un valletto, ma non si fermò davanti al salotto né alla biblioteca, e a Cordelia mancarono le ginocchia quando lo vide fermarsi davanti alla stanza da letto padronale. Una volta all’interno, chiuse piano la porta e, senza guardarla, accese tutte le candele e ravvivò il fuoco nel camino.

Lei si sentiva paralizzata. Kitty le aveva tolto il mantello senza fare alcun commento davanti alla pelliccia sporca di sangue. Le macchie sul seno però c’erano ancora e non aveva neppure pensato a pulirsi. Adesso le parve che fossero ancora più evidenti, specialmente quando lui vi posò lo sguardo, dandole un brivido che le increspò la pelle.

Cassian si tolse la giacca e la drappeggiò con calma sopra la spalliera di una sedia, senza guardarla, come se fosse nella solitudine della propria stanza e si stesse spogliando per la notte. Sbottonò il panciotto che gli modellava la vita stretta e i fianchi facendo sembrare le spalle ancora più larghe, lo appoggiò sopra la sedia e dopo vi gettò la cravatta bianca.

Lei lo osservava, respirando più piano possibile, intimamente certa che, accorgendosi dei suoi occhi rapiti, del profondo struggimento che dovevano lasciar trasparire, sarebbe svanito come un sogno all’alba o come una di quelle creature leggendarie dalla bellezza inumana destinate a sciogliersi nel vento o nella spuma nel mare non appena profanati da uno sguardo.

I merletti dei polsini cadevano sulle dita mentre apriva la camicia sul petto muscoloso spruzzato di peluria scura, sulla pelle abbronzata che le candele accendevano di bagliori dorati sopra le cicatrici sui pettorali e sull’addome.

Quando abbassò l’indumento sulle spalle, apparve una macchia di liscio tessuto cicatriziale all’estremità della clavicola sinistra. Infine gettò la camicia per terra e si girò.

Lei trattenne il fiato con un ansito brusco.

Un taglio frastagliato partiva dalla spalla sinistra fino a incurvarsi sul fianco opposto, sulla scapola destra c’era una traccia bruna simile a un simbolo – una cornice e un ramo dalle foglie stilizzate.

«Una sciabola di un guerriero di Nadir-Shah» mormorò lui e la sua voce parve fondersi col buio, emergere dalle tenebre intrise di fumo del camino e del profumo dei fiori nei vasi. La colpì alla bocca dello stomaco, una stretta calda simile a un contatto fisico. Una carezza dentro il suo corpo, sotto la carne e le ossa.

Lui voltò la testa e si toccò il disegno scuro sotto la spalla destra. A quel gesto, i muscoli della schiena si contrassero sotto la pelle vellutata.

Sfregi divini, pensò Cordelia.

Le cicatrici erano incantevoli, sui semidei.

«Una rissa nella bottega di un decoratore» spiegò lui. «Il mio avversario aveva individuato dei marchi arroventati ancora sulle braci. Mi ha fatto un male d’inferno.»

Si voltò di nuovo, guardò il sangue sul suo seno e la vulnerabilità nei suoi occhi.

«Adesso mostrami ciò che ti ha impedito di darti a me. L’ho capito al laboratorio. Qualsiasi segno tu abbia sul tuo corpo non potrà mai diminuire il mio desiderio di amarlo.»

Le porse una mano, un gesto così semplice e allo stesso tempo intriso di significato, e ogni paura cadde ai loro piedi simile a un vestito troppo largo. Quando mosse un passo verso di lui vide il suo volto rilassarsi e, nel momento in cui posò le dita su quelle di lui, il sorriso che gli fiorì in volto le parve quasi troppo luminoso per guardarlo senza ferirsi gli occhi.