«Se foste un uomo vi sfiderei a duello in modo da poter sfogare almeno in parte la mia frustrazione.»
Lei si appoggiò all’indietro contro il suo petto solido. «I duelli sono vietati in tutto il territorio della Repubblica e, se non ricordo male, voi e io ci siamo già battuti.»
«Una spada contro un bacio» mormorò lui, le labbra vicino al suo orecchio. «Avrei dovuto sconfiggervi quella notte, quando non sapevo neppure chi foste. Almeno avrei avuto una speranza.»
La sua voce era venata di collera, le sue braccia salde non accennavano ad allentare la stretta, lei gli posò la nuca contro la spalla e sospirò. «Non sarebbe stato leale, io non ne ho mai avuta alcuna.» Gli accarezzò il polso. «Devo scusarmi per avervi lasciato questo pomeriggio?»
«Avete tentato di andarvene per due volte, alla seconda avete avuto ragione di me» replicò lui. «In ogni caso è con il signor Covington che dovete scusarvi.»
Cordelia si divincolò dalle sue braccia e si voltò a guardarlo, sorpresa: alla luce dei fanali appesi sopra il ponte, la mascella di lui si stava illividendo. «Avete combattuto?»
Lui piegò un angolo delle labbra verso l’alto. «Abbiamo raggiunto un accordo.»
Lei scosse leggermente la testa. «Posso sapere perché in tempi illuminati e civilizzati abbiate sentito la necessità di fare a pugni?»
«Perché quando ho aperto gli occhi eravate scomparsa e invece c’era lui» rispose Cassian, gelido, «nel vostro salotto a prendere il tè come se fosse stato a casa sua; inoltre lui sapeva dove voi eravate mentre io lo ignoravo.» Calcò la voce sulle ultime parole. Il resto era prevedibile. «La vostra Kitty ci ha buttati fuori di casa» aggiunse poi.
«È nata in un pub nell’East End a Londra, è abituata a gestire una rissa.»
«Ci ha puntato contro una pistola.»
«Come dicevo, sa gestire i problemi.»
Lei sollevò la testa per guardarlo negli occhi, era talmente alto da doversi chinare per ricambiarle lo sguardo.
«Ero uscita con l’intenzione di andare da Meyer per domandargli le spiegazioni che mi aveva promesso» disse Cordelia, scegliendo con cura le parole. «Voglio sapere perché ho addosso il Merletto del Mago e perché lo ha Cassandra. Non ci sono riuscita, mi sono ritrovata al caffè con gli altri.»
Cassian le racchiuse il viso tra le mani, le sue dita erano calde, dure dove sollecitate dall’esercizio della spada e dal governo di una nave. Le sue labbra erano ferme e gentili sulle sue. «Andiamoci insieme, adesso» disse lui.
Lei gli appoggiò la guancia al braccio e annuì, lasciandosi stringere.
Stava per dirgli di andare quando qualcosa, alla loro sinistra, oltre il ponte, attirò la sua attenzione.
«Aspettate» esclamò a bassa voce. «Credo di aver riconosciuto una persona.»
«Buonasera, Signora Maschera.»
Quando era morto – o lo avevano ucciso – doveva essere di poco più grande del momento in cui lo aveva incontrato.
Era colpa sua.
La consapevolezza la trafisse come una lama, vedere che cosa gli era accaduto le diede un conato di vomito.
Era Angelo, il piccolo servo della dimora doveva avevano ucciso Balanzone e a cui lei aveva imposto di scegliere: le sue monete o il suo pugnale.
«Chi è?» domandò Cassian, sopraggiungendo al suo fianco.
«Un informatore.»
Cordelia non aggiunse che, al momento, Angelo avrebbe dovuto essere un adolescente e non il ragazzino dai capelli biondi e gli occhi ancora più maturi di quanto non fossero cinque anni prima.
All’improvviso ricordò l’avvertimento di Alain: quando i morti si accorgevano di essere tali, la loro reazione poteva essere una follia devastante.
Frugò nella tasca del mantello cercando di nascondere il tremito della mano. Il volto di Cassian era rilassato, lo sguardo però vigile: non doveva essergli sfuggito il nervosismo di lei, anche se non ne poteva comprendere il motivo.
Due figure alte e scure emersero dal buio, allungando la loro ombra su Angelo che non parve notarle, tuttavia si irrigidì. Cassian fece segno a Indrajit e Manidhar di restare indietro e i guerrieri si ritrassero.
Cordelia mostrò sul palmo guantato una lucida moneta d’argento. «Hai qualcosa per me?» gli domandò con dolcezza, nonostante sapesse che si trattava di un tranello, dal modo in cui l’aveva salutata. Lei non indossava la maschera e Angelo non l’aveva mai vista a volto scoperto. Il senso di colpa era divorante.
Il ragazzino annuì e prese la moneta. La sua mano era tiepida, la parvenza di vita perfetta. «Seguitemi, devo mostrarvi qualcosa.»
Le voltò le spalle e la distanziò di un passo. Prima che lei potesse seguirlo Cassian le posò una mano sul braccio. «Che cosa sta succedendo?» le domandò, sottovoce.
«È una trappola» disse lei. «Prendi la spada e allontanati, non so che cosa potrebbe accadere.»
Lui le afferrò entrambe le spalle e la scrollò. «Se è una trappola perché lo stai seguendo?»
Cordelia chiuse gli occhi. «È colpa mia se è in queste condizioni. Devo fare qualcosa, qualsiasi cosa.»
«Vengo con te.» Cassian la spinse dietro di sé, tenendola per un braccio e, in quel momento, una detonazione mandò in pezzi la finestra sopra le loro teste producendo una pioggia di vetri.
Cassian si gettò per terra, coprendola col suo corpo. Si udirono alcuni ordini secchi in una lingua straniera e i guerrieri Indiani si pararono davanti a loro. Un secondo colpo esplose e qualcuno a gran voce cominciò a chiamare gli sbirri e il Capo Contrada.
«Stai bene?» domandò Cassian, rialzandosi e dandole la mano per aiutarla a fare altrettanto. Lei non rispose, il suo sguardo costernato era fisso sul selciato a pochi passi da loro: Angelo giaceva disteso sul dorso e guardava le stelle, una profonda ferita gli squarciava il petto all’altezza del cuore.
«Da dove è partito il colpo?» domandò Cordelia guardandosi intorno. La sua vista registrò soltanto visi spaventati, un rifugiarsi di gente mascherata nelle calli circostanti, il rumore di imposte serrate e un gruppo di suore ricomporsi in processione dopo che gli spari le avevano sparpagliate come corvi in una tempesta.
«Non ho visto» rispose lui. «Ti sei fatta male?»
«No!» disse lei quasi con rabbia, spostando lo sguardo frustrato dal cadaverino in terra agli occhi sfuggenti intorno a lei. Mentre accorrevano il Capo Contrada e il Capo Sestriere, le suore ripresero il loro sfilare dolente verso Santo Stefano, alcune di loro si voltarono indietro e si fecero il segno della croce.
«Signora, vi prego, sedetevi e bevete qualcosa.»
Marcus Meyer la guardava con aria preoccupata misurare a grandi passi il pavimento della sua biblioteca, tentando di sfogare l’energia repressa e di riordinare i pensieri.
«Cordelia.» La voce profonda di Cassian interruppe il rumore cadenzato dei tacchi sull’assito. «Per favore, un sorso di cognac ti aiuterà a distenderti.»
I passi deviarono verso il tavolo al centro della stanza dove erano seduti i due uomini, Cordelia afferrò il bicchiere e lo vuotò in un solo sorso sbattendolo infine sul ripiano di legno con un rumore che suonò secco in un silenzio sbigottito. Poi ricominciò a camminare.
«Dottore» esordì in tono sbrigativo, «sappiamo entrambi che non ho nessuna voglia di sapere quanto avete da dirmi, quindi facciamo in fretta.»
«Ciò che dovete sapere è alquanto semplice, anche se, mi rendo conto, non sarà altrettanto facile da accettare. Avrebbe dovuto essere vostro padre a dirvelo, oppure vostra madre, ma Charlotte non mi è mai sembrata tipo da discorsi di questo tenore.»
«Dottore, vi prego» lo interruppe Cassian, interpretando in modo corretto il lampo di furia e impazienza sul volto di Cordelia.
«Artemius Von Heimmel aveva un assistente» disse Meyer, con calma. «Un apprendista che aveva portato con sé da Praga e che gli era ancora più vicino di quanto non fossi io. Karel. Lo stava istruendo e con lui condivideva segreti di suoi esperimenti a cui neppure io ho mai assistito. Il loro rapporto aveva tutte le implicazioni di quello tra mentore e allievo e io non mi sono mai intromesso. In realtà, avevo il forte sospetto che fosse un suo figlio illegittimo.»
Guardò Cordelia, che ricambiò il suo sguardo con un’espressione indescrivibile.
«C’è un pezzo di lui, dentro di me» disse lei, in tono piatto. «È Praga la città che mi è apparsa tante volte davanti agli occhi. Non ci sono mai stata. C’è un grande ponte, con statue di santi su entrambi i lati?»
Meyer annuì. «Il ponte di pietra che collega la Città Vecchia al Piccolo Quartiere» rispose.
«Perché lo avete fatto?»
Gli occhi azzurri di Meyer sostennero i suoi. «La formula dell’Elisir di Artemius, quella che usò su se stesso, doveva contenere il suo sangue. Lo stesso sangue, se assunto in seguito, ne avrebbe costituito l’unico antidoto. Ne avevamo parlato molte volte, l’eternità può spaventare quanto la morte ed è necessario avere una via d’uscita. Sognavamo che un giorno – un giorno molto lontano – avremmo potuto dire addio al mondo procurandoci il sangue di un nostro discendente e brindando con esso alla fine di una lunghissima vita al servizio dell’alchimia. Poi però Artemius uccise Karel.»
I lineamenti antichi di Meyer si indurirono e ancora una volta Cordelia si chiese quale fosse la sua età reale. Anche lui conosceva i misteri dell’alchimia, impossibile sapere quali avesse sperimentato su di sé.
«È questo che mi fa pensare che fosse suo figlio. Artemius non aveva nessuno al mondo: i suoi genitori erano morti da anni e, che io sapessi, non aveva fratelli né altri parenti. Se Karel condivideva il suo sangue, era l’unico antagonista vivente al suo Elisir. Sicuramente lo ha ucciso anche perché era al corrente dei suoi segreti più importanti: come rendere reversibile il Merletto del Mago, per esempio. O magari Karel aveva avuto dei ripensamenti, Artemius ha sempre liquidato con grande velocità chi si è discostato dai suoi metodi. L’ultimo, circa cinque anni fa, fu Damiano Stefaneschi.»
«Il Dottor Balanzone» disse Cordelia.
Meyer annuì. «Quando vostro padre decise che la Compagnia delle Larve andava sterminata, arrivarono prima di voi. Nessuno l’ha più rivisto, quindi devono avergli distrutto il cuore.»
«È stato Morosini» disse Cordelia. «L’ho incontrato sulle scale, quel giorno. All’inizio pensai che l’assassino fosse fuggito dal balcone, ma mi sbagliavo: dopo aver eliminato Balanzone tentò di usarmi violenza e uccidere anche me.»
Cassian si lasciò sfuggire un’esclamazione soffocata.
«L’ho pugnalato ed è sopravvissuto» disse lei. «La seconda volta che me lo trovai davanti sapevo cosa fare.»
Cordelia alzò lo sguardo su Cassian, sui suoi occhi pieni di dolore e la sua espressione tormentata. «Accadde il giorno del ricevimento di Madame Bolani» disse, ironica. «Quando pensaste che Francesco Valier e il suo maldestro corteggiamento fossero le uniche cose da cui difendermi.»
Cordelia ricominciò a camminare su e giù per la stanza. Aveva la netta impressione che le gambe non l’avrebbero sostenuta a lungo, eppure non riusciva a fermarsi, né a guardare Cassian.
«Cosa successe quando Von Heimmel uccise Karel?» domandò, dopo un po’. Una parte di lei voleva voltare le spalle a tutto, infilare la porta e continuare a convivere col suo corpo senza sapere nulla. Non avere alternativa la riempì di una rabbia quasi incontenibile.
«Artemius distrusse il suo corpo con il fuoco, forse prevedendo ciò che avremmo potuto fare» rispose Meyer, la sua voce non aveva alcuna emozione. «Riuscimmo a recuperare soltanto un pezzo di cuore e un pezzo dei suoi polmoni. Erano danneggiati al punto che non sapevamo quanto avremmo potuto attendere prima di impiantarli, e talmente minuscoli che pensammo avrebbero fatto presa solo su due creature appena nate. L’idea fu di vostro padre, lo ordinò all’insaputa di Charlotte perché sapeva si sarebbe opposta. Quando lei si accorse che non eravate nelle vostre culle, era ormai troppo tardi. Dovete capire che, allora come adesso, distruggere Artemius Von Heimmel era la priorità.»
Il volto di Cordelia era una maschera di pietra, Cassian protese una mano per toccarle il braccio, forse nell’intento di tranquillizzarla. Lei trasalì e lo respinse. Senza staccare lo sguardo da Meyer disse: «Continuate».
«Salvando ciò che restava di Karel, se tutto fosse andato secondo i nostri piani, avremmo potuto recuperare attraverso le sue memorie molte informazioni preziose: i rifugi di Artemius, alcune delle sue formule» disse Meyer. «Ha funzionato, vero?»
Ingaggiare la mia stessa figlia non sarebbe stata neppure un’opzione se non fosse stata l’unica. Voi avete il potere di ucciderlo per ragioni che ancora non potete comprendere.
Le parole di Enrico Giustinian le risuonarono in mente, nitide come se suo padre fosse stato al suo fianco.
«Avete i ricordi di Karel» insisté Meyer. «Senza contare che, per quanto ne sappiamo, un coltello con una goccia del vostro sangue potrebbe essere efficace più di cento pistole contro quel mostro.»
«E avete il coraggio di definire lui un mostro?» disse lei sbattendo entrambe le mani sul tavolo.
Non credeva di avere urlato, né di avere un aspetto stravolto fino a quando non lo vide riflesso nello sguardo dei suoi interlocutori.
«C’è altro» esclamò, fredda, riprendendo a stento il controllo. «Cosa non mi state dicendo?»
«I polmoni di Karel erano malati» disse Meyer. «Ce ne siamo accorti quando vostra sorella ha cominciato a manifestare i primi sintomi. Mi dispiace.»
È reversibile?
Non ancora, mi dispiace.
«Vi dispiace» ripeté lei, in tono meccanico.
Vide il proprio pallore negli occhi di Cassian, il suo viso sconvolto. Si accorse di avere le sue mani sopra le spalle, un peso che avrebbe dovuto essere confortante e che invece le provocò una reazione di panico. Lo spinse via con rabbia e si girò per andarsene, una volta per tutte.
Sbattersi alle spalle la porta del laboratorio le diede un sollievo di breve durata, vagò senza meta per un tempo indefinito fino a trovarsi in una calle che terminava con alcuni gradini immersi nella laguna. Fissò a lungo l’acqua, poi si chinò in avanti e vomitò.