Un momento prima i suoi occhi erano chiusi e dormiva di un sonno così profondo che lei doveva tenergli l’orecchio sul cuore per non morire d’ansia; quello successivo, un movimento leggero la indusse a piegare il capo all’indietro per incontrare uno sguardo profondo fisso su di lei.
Cordelia si sollevò a sedere. «Come vi sentite?»
«Bene, credo» rispose Cassian, passandosi una mano sul volto. «Dove sono?»
«A casa mia. Abbiamo ritenuto fosse meglio mantenere un poco di riserbo.»
«Che cosa mi è successo?»
«Siete stato avvelenato. Per fortuna sono arrivata in tempo con l’antidoto.»
L’espressione di lui si fece distante, come se tentasse di ricordare. «Ero sul balcone con Elena quando mi sono sentito molto strano. Ero euforico e il cuore mi batteva così forte, avevo la bocca secca e le vertigini, mi sembrava di essere ubriaco. Però avevo bevuto e… le stavo parlando dei miei sentimenti per voi, per cui ho ritenuto fosse normale stare così.»
Le sue parole erano basse, piene di pudore. Gli occhi di Cordelia si riempirono di lacrime che caddero sopra il suo petto nudo.
«Vi ha avvelenato con la belladonna, maledetto» disse, la voce che tremava.
Sul volto di lui balenò la comprensione. «Capisco. Belladonna è il vostro nome in codice.» Protese un braccio e l’attirò sopra di sé. «Non è stata colpa vostra. Vi prego, non pensatelo» disse.
Dopo la lunga separazione che si era inflitta e la paura di averlo perduto, la sua vicinanza fu troppo. Cordelia si rannicchiò contro di lui e con la testa sul suo petto diede sfogo a tutto il suo dolore e il suo sollievo.
«Mi dispiace» mormorò. «Mi dispiace così tanto.»
Cassian le accarezzò i capelli. «Non farlo mai più, per favore» disse, piano, abbandonando il tono formale. «Oppure dimmi adesso che è finita. Non credo riuscirei a sopportarlo di nuovo.»
Lei scosse la testa, strofinando il viso contro la sua pelle, e strinse la sua mano con tutta la forza che aveva. «Nemmeno io. Non avrei dovuto allontanarmi di un solo passo da te ma non riuscivo a sopportare di stare accanto a nessuno. Volevo dimenticare il mio corpo e la tua vicinanza non me lo avrebbe permesso.»
Si guardarono, lei si passò il polso sugli occhi. Lui si limitò a scostare le coperte in un invito silenzioso. Non separarono lo sguardo per un solo istante, mentre il vestito ingombrante e le sottogonne si afflosciavano sul pavimento e lei, in bustino e calze, si infilava nel letto stringendosi al suo fianco.
«Bragadin voleva chiamare il dottor Ferro, ma Giacomo si è rifiutato e gli ha ricordato quella volta in cui per i buoni servigi del dottore proprio sua Eccellenza ha rischiato di andare all’altro mondo.»
Cassian rise, la dolcezza di quel suono la cullò in una felicità quasi insostenibile.
«Sono andata a chiamare Meyer. È un Maestro dei Veleni, nessuno meglio di lui conosce le tecniche di Von Heimmel. Ha detto che stavi bene: questo bastava.»
Nel silenzio le sue dita la sfioravano piano. «Sei stata tu ad andare da lui?»
Cordelia annuì contro il suo collo. «Devo lasciarmi alle spalle ciò che mi hanno fatto, altrimenti non sarò in grado di portare a termine questa missione. Dopotutto avevano una guerra da combattere e poca scelta.»
«E la guerra è qualcosa che puoi capire» disse lui con una vena d’acciaio nella voce. «Non era sufficiente il signor Covington per avere ragione della mia pazienza. Hai dovuto gettarti tra le braccia del peggiore assassino che abbia messo piede a Venezia.»
«Non avevo idea di chi fosse» rispose lei.
«Se anche lo avessi saputo non avrebbe fatto alcuna differenza» replicò Cassian. «Quando ti abbiamo vista con quel vestito, il primo pensiero è stato che fossi impazzita. Giacomo lo ha trovato geniale, ma sappiamo che non può dare lezioni di assennatezza.»
Lei gli accarezzò il petto, sotto il palmo sentiva la vibrazione della sua collera. «Non intendevo sortire questo effetto.»
«Non rimproverarti.»
La mano maschile che coprì la sua era calda e forte. Cordelia ricordò il momento in cui l’aveva sentita intrisa del gelo della morte.
Dei passi si arrestarono davanti alla porta, poi risuonò un lieve bussare, due colpi brevi, silenzio e infine un terzo colpo. Cordelia allungò una mano distratta e rispose limitandosi a battere tre volte le nocche contro il muro. I passi si allontanarono.
«Fammi indovinare di chi si tratta» disse Cassian, glaciale.
«Hai intenzione di batterti di nuovo con il mio James?» domandò invece lei, scacciando il ricordo della paura dietro il sarcasmo.
«Definirlo così non contribuirà a salvargli le ossa» brontolò lui contro il suo orecchio.
«Attaccarlo non aiuterà a preservare le tue.»
«Me ne sono accorto, si batte come un demonio.» Il brontolio sordo di Cassian la fece sorridere. «Non credere però che fossi l’unico a cercare lo scontro. Ogni volta che ci vede insieme immagino pensi a quando ero fidanzato con tua sorella. Apprezza l’idea quanto io la vostra vicinanza.»
Cordelia si sollevò su un gomito e lo guardò, lui distolse con deliberata lentezza lo sguardo dal seno che traboccava dal corsetto per fissarlo nel suo. «So benissimo che tra voi c’è una solida amicizia, ciò non mi impedisce di odiarlo ogni volta che il tuo istinto ti porta a cercare lui e non me. Comunicate così bene, con due colpi alla parete, quando a me rivolgi a stento la parola» terminò con un ringhio.
Lei gli ravviò una ciocca di capelli neri sopra la fronte, sfiorandogli la tempia e la guancia. La ricrescita della barba le grattò le dita, si chinò per appoggiare le labbra sulle sue in un bacio lungo e lento che, sebbene tenero, dopo un poco li lasciò entrambi senza fiato.
Cordelia si scostò, aveva le dita di lui ancora sulla nuca e se c’era ancora veleno nelle sue parole, sopra le sue labbra il sapore era irresistibile.
«Mi dispiace» disse.
Lo guardò avvolgere un dito intorno al laccio di seta che le chiudeva il corsetto e tirare, piano, sciogliendo dentro di lei nodi che non sapeva di possedere.
«Devi riposare» gli sussurrò.
«Devo stare con te.»
La baciò ancora, le dita impigliate tra i suoi capelli, i suoi nastri di seta e i suoi lacci. Il corsetto cadde sul pavimento, nella notte un gondoliere cantava, la romanza risuonava nel silenzio, perdendosi tra i rii e i canali.
Cassian si piegò per sfiorare la fronte con la sua, le candele rendevano la sua pelle lucida di sudore, la fronte madida di gocce scintillanti. Chiuse gli occhi per un momento, prendendo un lungo respiro, le braccia puntellate sulle lenzuola ai lati del volto di lei erano percorse da un lieve tremito.
«Per favore» disse lei, spingendolo dolcemente sulla schiena, «non devi stancarti.»
«Devo averti.»
Gli prese la mano, se l’avvicinò alle labbra per baciarla e gli appoggiò la guancia sopra la spalla.
«Mi hai» disse semplicemente.
Il sorriso con cui le rispose le fermò il cuore, poi lui abbassò le palpebre, le folte ciglia brune erano ali d’ombra sui suoi zigomi. Poco dopo si era addormentato e anche durante il sonno continuò a tenerla stretta a sé, una gamba gettata sopra le sue e il braccio che le cingeva i fianchi. Lei non dormì, si limitò a vegliare il suo respiro per ciò che restava della notte.
Qualche giorno dopo, nel medesimo letto, la svegliò un mormorio di voci maschili. Erano suoni familiari che non avrebbero potuto allarmarla.
«Non ha l’aria pericolosa mentre dorme, vero?»
«Sembra un gatto.»
«Attento, Giacomo: ha unghie che potrebbero cavarti gli occhi.»
«Allontanatevi da lei, non è divertente.» La voce di Cassian, il suo evidente malcontento, la spinsero verso la superficie del sonno.
«Non essere geloso, sai che è molto di moda assistere alla levée di una signora.»
«Assisti a quella delle tue, Casanova.»
«Già fatto stamattina.» Il tono di Giacomo suonava sognante. «Due volte.»
«Non avvicinarti in questo modo, mon ami, è evidente che Nadir non gradisce.»
«Secondo me si arrabbierà.» La voce dall’accento spagnolo era divertita e troppo vicina. Un momento dopo vide gli occhi neri di Manuel Pérez de Guzmán spalancarsi mentre si ritraeva lentamente, con le mani alzate in segno di resa, lo sguardo fisso sul pugnale vicino alla sua gola.
«Infatti si è arrabbiata, mon cher.»
Cordelia rotolò sulla schiena felice di avere indossato la camicia da notte, dopo che Cassian l’aveva salutata con un lungo bacio qualche ora prima dell’alba.
«Ho rischiato di uccidervi» disse, la voce rauca. «E non è escluso che lo faccia.»
Si tirò a sedere e vide tre giovani sorridenti e un quarto che si teneva un poco in disparte vicino alla finestra ma che, quando la guardò, le scatenò dentro un’ondata di ricordi ed emozioni. Cordelia si costrinse a distogliere lo sguardo o tutti, in quella stanza, le avrebbero letto in volto dei sentimenti troppo intimi per essere mostrati ad altri.
«Cosa ci fate qui?»
«Non è un modo molto cortese per accogliere degli ospiti.» Il lieve sorriso di Alain de Mortemart le chiarì che nessuno le aveva serbato rancore per il suo brusco allontanamento.
Per tutta risposta, Cordelia allungò una mano per tirare un cordone di nappa di fianco al letto. Ai piani inferiori, da qualche parte, suonò un campanello e poco dopo arrivò Kitty insieme a un valletto e a due enormi vassoi di caffè, cioccolata e dolci.
«Milady mi perdonerà, ma gli assedianti erano troppi» disse la cameriera spingendo via Casanova con un colpo sinuoso dell’anca. Le servì una tazza di caffè mentre il cameriere si occupava degli uomini. «Uno dei vostri completi maschili è pronto nello spogliatoio, questa mattina finalmente sembra che potrete recarvi a Sant’Arian.»
Partirono con uno dei vascelli dei D’Armer e gli onnipresenti Mori di Manuel appresso, carichi di misteriose ceste e bauli.
L’Isola di Sant’Arian si trovava a nord-ovest rispetto a Torcello. Cordelia ne aveva sentito parlare spesso a proposito di un suo antenato, il monaco Nicolò Giustiniani, che aveva avuto la dispensa papale dal celibato affinché la sua stirpe non si estinguesse con lui. Aveva quindi sposato Anna, la figlia del Doge Michiel, che dopo avergli dato ben tredici figli aveva fondato su quell’isola un convento di Benedettine, subito imitata dal marito che, a sua volta, se ne era tornato tra le braccia di Dio.
Una volta Alain del Mortemart le aveva detto che interi tratti di Venezia erano costruiti sui cimiteri: quando quelli parrocchiali erano saturi, le ossa venivano trasferite a Sant’Arian, ormai da circa due secoli adibita a ossario.
La giornata era fredda e il vento sferzava le vele accorciando il tragitto, lievi merletti di schiuma increspavano la superficie del mare. Sotto il cielo grigio, le barene intorno a Sant’Arian si estendevano con la loro vegetazione uniforme e il cupo silenzio, piatte distese di terra ramificate di corsi d’acqua che ne accentuavano l’aspetto deserto e abbandonato.
Tra i ruderi di antiche chiese e conventi, la vegetazione selvaggia dell’isola ricopriva cataste di ossa, visibili anche a occhio nudo da chi si trovasse a navigare in quella zona della laguna. Per questo motivo, il Consiglio dei Dieci aveva disposto che tutto intorno all’isola sorgesse un muro con il duplice scopo di celare il quadro macabro e di scoraggiare chi volesse sottrarre qualcosa. L’espediente era servito soltanto ad aumentare la fama sinistra dell’isola e arricchire il già vasto patrimonio di storie di spettri e spiriti in pena che a dire dei veneziani infestavano ogni palmo della laguna.
Il confidente degli spiriti, Alain de Mortemart, era quieto e pensoso quando scesero sulla spiaggia. Si guardava intorno, sulla sabbia sferzata dai venti e punteggiata di vegetazione contorta.
«Da queste parti sorgeva il convento di Sant’Adriano» spiegò Casanova, mentre si facevano largo in mezzo alla vegetazione muniti di lunghi bastoni. «Era frequentato dalle donne della migliore nobiltà veneziana e a un certo punto lo chiusero. Ufficialmente per via del clima insalubre, ma per la verità era in odore di scandalo.»
Disse che se Dio solo sapeva che cosa accadesse laggiù, a Venezia lo immaginavano comunque benissimo.
«Signore, il vostro caffè.» La voce solerte di Grimaud che, vestito di scarlatto, accorreva dietro Manuel, creava un bizzarro contrappunto con la desolazione circostante.
«Qui una volta c’erano almeno quattro isole» disse Casanova, frugando in un mucchio di rovi tra i quali biancheggiavano le ossa di un costato. Un serpentello, disturbato dai suoi movimenti, strisciò via. «Quattro isole e sette chiese. Adesso non rimane più nulla, ogni tanto i pescatori trovano monete antiche o frammenti di anfore impigliati nella vegetazione delle barene e tornano a Venezia per venderli ai collezionisti.»
Cordelia sapeva che le mappe di epoche remote disegnavano nella Laguna Nord isole ormai scomparse. In quella zona si trovava l’arcipelago di Costanziaca di cui poco restava. Con l’avanzare delle paludi e i maremoti, si erano inabissate nel corso dei secoli insieme a ville, palazzi e giardini. Le ultime vestigia erano pochi brandelli di terra tra cui Sant’Arian. Ormai i resti umani si accumulavano tra le rovine del monastero di San Maffio, la vegetazione copriva cumuli di ossa visitate di tanto in tanto solo da guardiani, studenti e nobili annoiati in cerca di bravate.
Cassian la raggiunse su un dolce pendio e rimasero a contemplare la cappella che sorgeva a un’estremità dell’isola.
«Ti vedo pensierosa» le disse. Si chinò per sfiorarle le labbra con le sue, spingendo da parte la tesa del tricorno nero, e le sorrise. «In questo posto dimenticato da Dio posso mostrarmi in pubblico mentre bacio un bel giovanotto.»
Ai loro piedi c’era una distesa di rovi e sterpaglie, una selva inospitale e impenetrabile da cui spuntavano lapidi nascoste nella foschia umida.
«Impiegheremo ore a perlustrare tutto. Probabilmente dovremo fermarci per la notte» disse lui. «Dormiremo sulla nave, è più sicuro che montare delle tende. Ci sono troppi serpenti.»
Un sorriso gli rischiarò il volto mentre guardava al largo una delle sue navi, la Persefone, alla fonda emergere all’orizzonte. Sembrava essersi del tutto ripreso dal tentativo di avvelenamento, ma lei non riusciva a perderlo di vista troppo a lungo senza avvertire un principio d’ansia.
«Hai paura dei fantasmi?» le domandò.
Cordelia scosse il capo e guardò Alain de Mortemart, solo al centro di un campo, voltarsi per sorridere a qualcuno che nessuno di loro poteva vedere. «Niente affatto, abbiamo amici influenti che intercedono per noi» rispose e, di nuovo, una profonda ruga le solcò la fronte.
«Non vuoi dirmi che cosa ti preoccupa?»
«Non è qui» rispose lei. «Non è questo il posto che vedo nei miei sogni.»
«Ne sei sicura?»
Cassian stava per aggiungere qualcosa quando un lungo fischio risuonò nel silenzio. «Signori» disse Casanova a voce alta, incurante di disturbare i morti, «forse abbiamo trovato qualcosa.»