Fu evidente fin da subito che non si trattava di sepolture normali. Anzitutto la terra era smossa di fresco, inoltre i fiori e le piante aromatiche disposte sopra le fosse seguivano uno schema particolare. Le lapidi di marmo non mostravano alcuna patina del tempo, come gli altri tributi funerari dell’isola. Anzi, scintillavano in modo innaturale, come ghiaccio al sole, e recavano parole in una lingua sconosciuta.
«Ebraico» mormorò Meyer, alla domanda di Giacomo, riportando con cura i simboli e le parole sopra un blocco di fogli col quale stava girando tutta l’isola. «Io ne uso di diversi, ma questi sono di indubbia efficacia.»
Cordelia osservò il volto dell’alchimista, i capelli bianchi e le rughe tenui. Le mani erano nervose e dalle dita lunghe, forse troppo lisce per un uomo che dimostrava almeno una cinquantina d’anni. Ripensò alla pelle dura e giovane di Von Heimmel e rabbrividì.
«Voi e Artemius avete mai sperimentato su voi stessi le vostre scoperte?» domandò, prima di riuscire a trattenersi.
Il carboncino si arrestò sul foglio e gli occhi di Meyer si oscurarono di cupa ironia. «Conoscete già la risposta. Non abbastanza da saggiare una sepoltura alchemica, se è questo che volevate intendere.»
Si chinò e aggiunse qualche simbolo alla prima lapide con un tratto deciso. Dopo disse: «Ora potete scavare».
Oltre ai Mori di Manuel, li aveva accompagnati un equipaggio di fiducia dei D’Armer, così gli uomini si volsero all’unisono verso Cassian, che fece cenno di procedere.
Lo strato di terra era sottile – anche quello simbolico, pensò Cordelia –, sotto c’erano due corpi abbracciati. Un uomo si ritrasse e si fece il segno della croce, Manuel mormorava il Requiem Aeternam.
«Le preghiere servono anche a tenere i morti sottoterra» disse, nervoso, davanti al leggero sorriso di Alain.
«Questi non si muoveranno» disse Meyer, calmo. «Le lapidi e i filtri utilizzati per trattare la terra servono a non permettere loro di uscire dalle tombe. I segni che ho aggiunto io li mantengono immersi in una specie di sonno.»
Morti, pensò Cordelia.
Visto che i marinai esitavano, Meyer si accovacciò e ripulì il volto di uno dei due. Sotto il velo di terriccio apparvero i lineamenti intatti di un giovane uomo e, riconoscendolo, Cordelia serrò le labbra.
«Lo conosci.» Cassian la stava guardando con attenzione e la sua non era una domanda.
«Ernesto Romualdi» disse lei, chinandosi per vedere meglio. «Uno studente del Teatro Anatomico. È identico al giorno in cui l’ho visto cinque anni fa. La sera in cui mi catturarono stavo per venire su quest’isola coi suoi compagni di studi.»
Un’ombra oscurò il volto di Cassian mentre i loro sguardi si trovavano di nuovo. Il ricordo di quella notte era ancora vivo in entrambi. Il loro primo bacio, il primo odio.
Il rumoroso sospiro di Giacomo Casanova interruppe l’intensità dell’istante. «Mia cara» disse, rammaricato, «è terribile quello che avete dovuto sopportare. Io avevo ideato un ottimo piano per la vostra evasione dai Piombi.»
«Ti abbiamo ripetuto mille volte che era rinchiusa nei Pozzi» intervenne Manuel.
«Era un piano geniale» disse Casanova, quasi commosso dal proprio ingegno. «Lo terrò a mente, sia mai che possa tornarmi utile.»
Nessuno gli badò. Meyer stava pulendo il volto dell’altra persona che giaceva nella tomba. Si trattava di una donna bionda molto giovane e bella. Anche prima di sentire l’esclamazione stupita di Giacomo, Cordelia aveva capito chi fosse.
«Claire Gautier, la cortigiana» disse il giovane. «È scomparsa qualche anno fa senza lasciare traccia. Tutti credevano che fosse annegata, anche se qualcuno di tanto in tanto giurava di averla vista in giro.»
«Forse sono vere entrambe le cose» disse Monsieur. «Come siete arrivata a Romualdi?» domandò, rivolto a Cordelia.
«Ascoltando storie del terrore» rispose lei, «che alla fine si sono rivelate indizi.» Ricordò quanto gli aveva detto lo studente: giardini di ossa, dove le rose crescevano in mezzo agli scheletri.
«Devono morire» disse Meyer, quasi con dolcezza. «In maniera definitiva.»
«Lo so» rispose lei. «Almeno resteranno insieme.»
Trasse un pugnale dalla cintura e si inginocchiò accanto alla tomba. Passò l’arma da una mano all’altra, esitando fino a che Cassian non si chinò al suo fianco e gliela tolse gentilmente dalle mani.
«Faccio io» disse, con noncuranza.
Lei guardò i suoi occhi tranquilli e non riuscì a reprimere un brivido.
La sepoltura successiva conteneva il corpo di Marco Corner, il parente acquisito di Canziana Soranzo Corner e che ne aveva causato lo svenimento al ricevimento di Villa Allegri. Cordelia lo riconobbe dal neo sulla guancia. Trovarono altre tombe, alcune vuote, altre no. I corpi erano intatti, a tutti distrussero il cuore e dopo li avvolsero in lenzuola per trasportarli verso una nave che li avrebbe condotti a Venezia, al laboratorio di Meyer.
«Da queste parti dovrebbero essere stati bruciati i corpi di coloro che vi aggredirono a San Moisè» disse Cordelia poco dopo, mentre perlustravano un altro lato dell’isola. «È da allora che sono sulle tracce di quest’isola maledetta. Non credevo avrei impiegato tanto tempo per vederla con i miei occhi.»
Si guardò intorno, frustrata, cercando di ritrovare l’isola che aveva visto in sogno. Il tratto dell’orizzonte, il profilo che i resti di un campanile disegnavano contro il cielo erano sconosciuti. Non avevano la familiarità del ricordo condiviso con il ragazzo scomparso che abitava in una parte di lei.
Il gesto pensoso con cui si toccò il petto dalla parte sinistra, quasi interpellando il frammento di Karel che abitava nel suo cuore, la calmò un poco e le diede quasi un senso di familiarità.
«Non è qui» disse, contrariata ma sicura.
Cassian protese una mano verso di lei, aveva del sangue sul palmo e, quando se ne accorse, bloccò il gesto a metà. Fu lei a completarlo, intrecciando le dita alle sue.
«Troveremo una soluzione» disse lui. «Adesso torniamo alla Persefone, è quasi buio e tra poco non ci sarà molto che potremo fare qui.»
La Persefone era una nave di modeste dimensioni, concepita per la navigazione di breve corso, tuttavia era molto confortevole. I D’Armer erano armatori e navigatori secondo una tradizione che si perdeva nei secoli ed erano abituati a fare delle loro navi le loro case.
Dopo un lungo bagno caldo in acqua salata e sapone profumato, e una cena a base di pesce fresco nella cambusa, tutti si ritirarono per la notte. Ore dopo, dalla cabina del capitano, Cordelia stava guardando la scia della luna sul mare notturno, fioca per via della foschia che copriva il cielo.
«Non riesci a dormire?» Il respiro caldo e il lieve graffiare della barba sulla sua spalla le tolsero un sospiro.
«No.»
«È evidente che non ti ho stancata abbastanza.»
Leggero, arrogante, il suo commento le si depositò sulla pelle insieme a un bacio carico di promesse.
Cassian si mise seduto e, poco dopo, una luce dorata si diffuse sul caldo legno istoriato che ricopriva le pareti. Senza una parola la fece sedere tra le proprie gambe e le posò entrambe le mani sulle spalle cominciando a premere con fermezza per sciogliere i muscoli contratti. «Possiamo provare in questo modo» aggiunse lui, passando alla base della schiena. «E in quest’altro.»
Le sue mani scivolarono in avanti, strisciando lungo i fianchi per accarezzarle il ventre. Cordelia si abbandonò all’indietro, contro il suo petto, e sospirò godendosi il contatto e le lunghe, pigre carezze che le percorrevano tutto il corpo facendola fremere e accendendole lentamente il sangue. Reclinò la testa contro la sua spalla e gli cercò la bocca per un bacio languido che in lui aveva ancora la pigrizia del sonno e dentro di lei un’urgenza sempre crescente.
Da qualche parte sul ponte qualcuno stava suonando una chitarra spagnola, pizzicando le corde in una nenia malinconica e piena di sentimento. Basse voci di marinai intonarono un ritornello che parlava di paesi lontani e della voglia di tornare a casa; qualcuno rise e una voce rispose in veneziano, in tono oltraggiato.
«Va meglio?» La domanda sommessa le scivolò sopra un braccio, seguita da un bacio leggero, dita lievi si spostarono verso il suo seno indugiando come se avessero tutto il tempo del mondo fino a che lei non gli coprì la mano con la propria premendola contro di sé. Cassian rise e ricominciò con il suo tocco leggerissimo che le lasciava addosso scie brucianti di desiderio insoddisfatto. Quando le sfiorò l’interno della coscia, lei trattenne il fiato aspettando e allargò di più le gambe. Lui le appoggiò le labbra sul collo e morse, piano; allo stesso tempo spostò la mano sul suo fianco strappandole un lamento di protesta.
Cordelia si voltò gettandosi con impazienza tra le sue braccia e lo spinse contro le lenzuola. Sotto di lei, il suo corpo grande e forte sembrava in grado di sopportare l’assalto violento di qualsiasi delle sue passioni. I bagni potevano lavare il sangue dalla sua pelle, ma non lo avrebbero mai tolto dal suo sguardo, occhi blu che non si staccarono da lei nemmeno per un momento mentre disegnava con le labbra la traccia di ogni taglio e di ogni cicatrice, dei lividi sopra le costole.
«Curate ferite che voi stessa mi avete inflitto, signora» mormorò Cassian, ironico, infilandole una mano tra i capelli.
Lei staccò la bocca dal suo banchetto, la folta scia di peli scuri che dall’ombelico scendeva verso l’inguine. «Avete provveduto da solo a procurarvele» gli rispose, prima di blandire con un lungo bacio l’alone ambrato di un ematoma che andava sbiadendo sul fianco.
«Ero furioso con voi» disse lui. «Credo di aver fatto a pugni con ogni singolo volontario di Venezia.» Un leggero morso sulla pelle lesionata gli strappò un mugolio, affondò entrambe le mani tra i folti capelli neri attorcigliandoli intorno alle dita. Le spinse la testa verso il basso. «Ti adoro» sospirò. «Ti supplico.»
Un momento dopo Cassian affondò i talloni nel materasso e rovesciò la testa all’indietro, inarcando la gola e chiudendo gli occhi. Strinse ciocche dei suoi capelli nei pugni, i muscoli delle braccia si gonfiarono e dalle labbra scaturì un rivolo incoerente di preghiere e passione.
«Voltati» gli ordinò lei, con dolcezza, mentre la mano si sostituiva alla bocca. «Voglio guardarti.»
Cassian si sdraiò sul fianco, offrendo al calore del suo sguardo segni e cicatrici. Lei baciò la sua spalla, la bruciatura che sbocciava in un accenno di rami e di un’ala spezzata e incompleta; la sua mano gli toglieva ancora gemiti e sospiri fino a che lui non si voltò di nuovo sulla schiena e l’attirò sopra di sé. L’afferrò per i fianchi e la tirò in avanti con una forza controllata. Lei chiuse gli occhi e gli appoggiò entrambe le mani sul torace, premendo coi palmi i muscoli sodi. «Ancora.»
Lui le obbedì, guidandole i movimenti in un modo che riempì le loro labbra di baci appassionati e parole irripetibili al di fuori della loro alcova, i loro corpi si coprirono di una pellicola di sudore scintillante, finché infine giacquero abbracciati e placati. Sul ponte qualcuno cantava una romanza in spagnolo.
«Pensi che riuscirai a dormire, adesso?» domandò lui. «Oppure dovrò ricominciare fino a che non ce la farai più e mi supplicherai di smettere?»
Cordelia si stiracchiò, godendosi il leggero indolenzimento degli arti e del cuore. «Fallo» gli accarezzò il petto e vi depose un bacio leggero. «Voglio stare ancora con te.»
Stava per assopirsi quando alcuni mormorii sparsi si unirono in un coro di grida che li fece balzare entrambi a sedere. Si scambiarono un solo sguardo e gettarono di lato le coperte. Cordelia raccolse dal pavimento i suoi calzoni e la camicia e, senza prendersi la briga di mettere le scarpe, infilò due pistole cariche nella cintura e ne tenne in mano una terza mentre correvano sul ponte.
«Che cosa sta succedendo?» La voce autorevole di Cassian provocò un repentino silenzio.
«Guardate, signore. È incredibile» disse uno degli ufficiali.
Cordelia corse verso il parapetto, affascinata, guardando nella direzione che l’uomo stava indicando. Profili pallidi simili a miraggi emergevano dal buio affiancandosi a Sant’Arian e formando bassi rilievi. Dapprima simili a nebbia, rapidamente si addensarono prendendo consistenza.
«Le Isole Fantasma» spiegò l’ufficiale al moro Mousqueton che le fissava con gli occhi sgranati. «Le isole sprofondate nella laguna secoli fa, che appaiono quando la notte è molto limpida.»
«Forse al largo di Torcello si può vedere la principessa che dorme sotto il mare» mormorò uno dei marinai facendosi il segno della croce. Cassian abbassò la pistola e prese la mano di Cordelia. Senza dire una parola osservarono le Isole Fantasma prendere forma nel luogo dove si trovavano secoli prima.
«Si può sapere che cos’è tutto questo trambusto?» Giacomo Casanova comparve dal buio. Aveva le labbra gonfie e i capelli biondi scarmigliati, come se qualcuno vi avesse passato ripetutamente le dita. Dietro di lui, Monsieur emerse da sottocoperta con la camicia aperta e i capelli neri sciolti sulle spalle. A ogni gradino che Alain de Mortemart saliva verso il ponte della nave, gli spettri delle isole assumevano solidità, mostrando, alla luce della luna, il tratteggio di edifici e i profili dei giardini, ponti fragili sopra canali scomparsi.
Manuel li guardò e scoppiò a ridere e Giacomo, accigliato, gli scoccò un’occhiataccia. «Di questo passo mi rinchiuderanno di nuovo al forte di Sant’Andrea» borbottò, respingendo la mano di Alain che gli scompigliava i capelli.
«Che cos’è quello?» domandò poi, curioso. «Oltre il muro intorno a Sant’Arian.»
Nel buio si disegnò una traccia di luce, poi un’altra. Dall’isola dell’ossario qualcuno stava facendo dei segnali con una torcia.
«Cassian» disse Cordelia, improvvisamente all’erta.
Lui annuì. «Preparate delle lance» ordinò. «Scendiamo a terra.»
Mancava poco all’alba quando raggiunsero la riva e già il sole scolorava la notte sulla linea d’oriente. Mentre le barche toccavano le sponde di Sant’Arian, gli uomini a bordo erano pronti a balzare nella sabbia della battigia per spingerle a secco.
Le lanterne fugavano le ultime tracce di buio, i marinai si passavano fiaschette di cordiale per combattere l’ora più gelida della giornata, i Mori di Don Manuel distribuivano caffè bollente in tazze di stagno.
«Sono sicuro che fosse da questa parte» disse Casanova, girando pensieroso intorno ad alcune tracce di carbone sulla sabbia. «Era un uomo alto, con una torcia in mano.»
«Secondo me te lo sei immaginato» disse El Cid, ridendo. «Eri preso da altro.»
«Potrebbe essere accaduto di tutto.» Cordelia si alzò la tesa del tricorno con il polso e si guardò intorno. «Dio solo sa che cosa debba essere questo posto di notte.»
La cappella era deserta, in giro non c’era nessuno, soltanto gli uccelli lanciavano lunghi richiami nella luce fredda del primo sole. Resti umani biancheggiavano tra i rovi, curiosi mazzi di sterpi e ossa.
«Qui non c’è nulla» disse Manuel reprimendo uno sbadiglio. «Torniamo a Venezia.»
Un’esclamazione di stupore e raccapriccio alle loro spalle li indusse a voltarsi tutti insieme: svariate pistole e spade nel giro di un istante erano puntate contro una figura che usciva lentamente da dietro una macchia di arbusti.
«Dio santo» disse uno dei marinai, sconvolto. «Che cosa è accaduto a quel poveretto?»
«State fermi.» La voce di Giacomo Casanova era autoritaria, la sua espressione compassionevole e dura allo stesso tempo. «Non avvicinatevi a lui, per nessuna ragione al mondo.»
Il giorno nascente illuminava un uomo con indosso solo calzoni laceri, che lasciavano in piena vista vesciche, ulcere e piaghe aperte. Un rivolo di sangue scuro fuoriusciva dal naso e sotto l’ascella era evidente un rigonfiamento nerastro e infiammato.
Uno dei Mori, Mousqueton, si tolse la giacca scarlatta della livrea e fece per avvicinarsi.
«Fermo» esclamò Giacomo. «Se ti avvicini a lui morirai, in modo lento e doloroso, e non so quante persone porterai con te.»
Mousqueton indietreggiò, mentre Casanova aggiungeva in fretta: «Non indossa vestiti perché la sua pelle non li sopporta».
«Sapete che cos’ha?» domandò Cordelia, senza smettere di tenere sotto tiro la testa dell’uomo, quel volto devastato dalla sofferenza e gli occhi febbricitanti che li guardavano.
Giacomo Casanova annuì, un unico gesto secco. «Un veneziano riconosce immediatamente il flagello della sua città. La Morte Nera.»
Cordelia sgranò gli occhi riuscendo finalmente a dare un senso a ciò che vedeva. «Ma com’è possibile? Ha la peste?»
Vide che intorno a lei i marinai di Cassian avevano assunto un’aria diffidente e restavano immobili, al loro posto. «Signore» disse un ufficiale, rivolto a Cassian, «dobbiamo chiamare qualcuno dal Lazzaretto?»
Fu in quel momento che l’uomo decise di parlare: socchiuse le labbra aride e piagate e lasciò fuoriuscire un lungo lamento che, con molta fatica, addomesticò in parole. «Sono un messaggero e per questa volta da solo, ma presto saremo un esercito e trasformeremo Venezia in un cimitero.»
«Sparate!» L’ordine perentorio proveniva da Cassian e, prima che Cordelia potesse rendersene conto, una mezza dozzina di armi fecero fuoco. L’appestato crollò in avanti ma, dopo nemmeno un minuto, si rimise in piedi, a fatica.
«Non potete uccidere chi è già morto» disse. Nel suo sguardo, oltre alla febbre, brillava la follia.
Un proiettile lo colpì dritto al cuore, poi un secondo. L’uomo tacque e vacillò, cadde sulle ginocchia e subito un’altra scarica di proiettili gli aprì uno squarcio di sangue scuro sul petto.
«Passatemi una torcia.» Il tono di Cassian era freddo, i suoi occhi calmi mentre porgeva le pistole scariche a uno dei suoi ufficiali e avvicinava la torcia a una balestra. La punta della freccia prese fuoco e lui, con la medesima espressione tranquilla, imbracciò l’arma e la scoccò contro il cadavere immobile sulla spiaggia. Alla seconda freccia infuocata si sprigionò una fiamma che in breve avvolse il corpo.
Se ne andarono lasciandolo bruciare e, mentre la Persefone si allontanava dall’ossario della laguna, ancora era visibile oltre le mura un rivolo di fumo nell’azzurro sbiadito del cielo.