Tutti ricordano le immagini di Marco Pantani scortato dai carabinieri a Madonna di Campiglio il 5 giugno 1999. Un numero, 53, il valore del suo ematocrito al controllo, gli costa un Giro d’Italia condotto trionfalmente. Per qualcuno, quel giorno crolla un mito. Per Pantani è il mondo stesso a crollare. Insieme alla maglia rosa gli sfilano l’onore, e un gran pezzo di vita. È una discesa agli inferi, che il Pirata compie scalino dopo scalino e si consuma il 14 febbraio di cinque anni dopo nel residence di Rimini dove viene trovato morto. Overdose è il verdetto del giudice. Qualcosa di molto simile a un suicidio per il resto del mondo.

Qualcuno continua a nutrire dubbi su quella conclusione ma servono nuovi elementi e molto coraggio per spingere la magistratura a riaprire il caso.

Tre persone non hanno mai smesso di lottare per restituire l’onore a Marco Pantani e trovare finalmente la verità. Tonina, la mamma, che ha sempre rifiutato la versione ufficiale. Antonio De Rensis, l’avvocato della famiglia, che ha messo testa e cuore in questa battaglia. E Davide De Zan, un giornalista ostinato, che di Marco era amico.

Grazie a un lavoro d’inchiesta puntiglioso e serrato, dettagli, fatti e clamorose dichiarazioni si accumulano sotto gli occhi dell’autore e qui vengono documentati e analizzati nella loro sconvolgente evidenza. È così che hanno preso corpo due parole: complotto e criminalità organizzata. Due parole che gettano la loro lunga ombra fino al tragico epilogo, e impongono di evocarne una terza, ancora più terribile: omicidio. A Campiglio hanno ucciso il campione, a Rimini l’uomo. Un solo uomo ucciso due volte.

«Tutti i ragazzi che mi credevano devono parlare» esortava Marco Pantani in un messaggio ritrovato dopo la sua morte. Finalmente i ragazzi hanno parlato. Pantani è tornato. Adesso, fate giustizia.