Marco da piccolo giocava a pallone, il calcio gli piaceva da matti, ma era molto attratto anche dalle biciclette e dai ragazzi che facevano le gare.

Un giorno alcuni suoi amici, vedendolo per strada, lo chiamarono e lo invitarono a unirsi a un gruppetto di giovani ciclisti che stava andando a fare un giro d’allenamento.

Marco non ci pensò due volte: si buttò subito e con entusiasmo in mezzo a tutte quelle ruote.

Ma gli altri possedevano delle bici da corsa, mentre Marco pedalava su una bici normale, oltretutto da donna, pesante, con le ruote larghe e fuori misura per lui. Tuttavia non esitò un istante.

Come spesso accade tra ragazzini, non ci volle molto perché quell’invito si trasformasse in una sfida, in un gioco di cui il piccolo Pantani doveva essere l’inconsapevole vittima.

I suoi amici, infatti, cominciarono un po’ per volta ad aumentare l’andatura, a forzare il ritmo con l’evidente intento di staccarlo e di lasciarlo solo per strada. Era una gara impari, eppure non ci fu nulla da fare per i suoi agguerriti sfidanti. Per quanto scattassero e attaccassero, non ce la facevano a togliersi di ruota quel ragazzino indiavolato sulla bici da donna.

Marco pedalava come un matto su quel cancello travestito da bicicletta, mentre gli altri, sulle loro fiammanti bici da corsa, gli scattavano in faccia senza pietà. Lui su un macigno scricchiolante e pesantissimo, gli altri sulle bici da corsa leggere che filavano frusciando sull’asfalto.

Tornando a casa Marco vide suo padre.

Quel campioncino in erba era tutto sudato per la fatica e per quelle corse a perdifiato con gli amici.

Con la dolcezza e l’entusiasmo che solo un bambino può avere, gli urlò con tutta la voce che aveva in corpo: «Babbo! Babbo! Sono stato con quei ragazzi che vanno sempre in bicicletta, le hanno provate tutte per staccarmi, ma non ce l’hanno fatta!».

Questo era Pantani.