Erano giornate cruciali per la ricerca della verità su quel giorno a Campiglio.

La testimonianza del dottor Rempi e le rivelazioni di Vallanzasca ridisegnavano completamente lo scenario di quella mattina.

Il medico della Mercatone Uno ci aveva fornito un dato fondamentale: Pantani aveva 48 di ematocrito a poche ore dal controllo.

Consideravo la testimonianza del dottore molto attendibile. Lo conoscevo da tanto tempo e sapevo che non avrebbe mai mentito su Marco.

E poi l’avevo osservato attentamente mentre mi parlava: quell’uomo diceva la verità.

L’aveva anche raccontata ai magistrati che lo avevano interrogato molti anni prima, rimanendo però inspiegabilmente inascoltato.

Il suo lungo silenzio, durato più di un decennio, era stato scandito dal dolore di sapere che un campione, un ragazzo a cui voleva bene, era stato punito e umiliato ingiustamente, e che in quel frangente lui non era stato in grado di trovare i mezzi per opporsi a quello scempio.

Ripensando alle sue parole, ritenevo assai improbabile che in una sola notte, dopo una bella e sana dormita, Pantani potesse ritrovarsi con un valore del sangue improvvisamente schizzato alle stelle.

Quel 53 di ematocrito risultato al controllo di Campiglio puzzava di marcio lontano un chilometro.

Più di un esperto mi aveva assicurato che fisiologicamente era pressoché impossibile fare un salto del 10 per cento di ematocrito in un lasso di tempo così breve: circa 9 ore.

Le parole di Vallanzasca, poi, contribuivano ad alimentare il sospetto che il sangue di Marco avesse subito una manipolazione e che ai suoi danni fosse stata ordita una terribile trappola. Com’era possibile che, con una settimana d’anticipo, quel detenuto sapesse con precisione che Pantani sarebbe stato estromesso dalla corsa? Che non sarebbe mai arrivato a Milano?

Vallanzasca è uno che non ha mai chiesto perdono a nessuno, che nella sua vita non ha mai voluto diventare un collaboratore di giustizia. Perché mai avrebbe dovuto mentire su Pantani?

Il suo libro era già condito da una tale sequenza di episodi cruenti e sanguinosi che non sarebbe certo stato un capitolo in più, legato a una sporca menzogna, a fargli moltiplicare le vendite.

Vallanzasca – in una parte di intervista che non andò in onda – ci aveva poi rivelato che quel suo amico in carcere si era addirittura offerto di effettuare la scommessa al posto suo, senza vincolarlo all’obbligo di restituzione del denaro. «Se vinci, mi ridai la quota della scommessa» gli aveva detto «e se perdi non mi devi nulla!» Concludendo poi con un perentorio: «Tanto lo sai che se dico una cosa quella avviene…».

In pratica quel detenuto, legato al mondo delle scommesse, gli regalava i soldi della puntata. Tanto era sicuro che l’operazione sarebbe andata in porto.

Ma c’è di più.

Con quelle sue parole e nel suo libro, Vallanzasca forniva indicazioni importanti sul suo misterioso interlocutore. Era sufficiente ascoltarlo e confrontare ciò che aveva detto con quanto aveva già raccontato ne Il fiore del male per restringere la cerchia dei sospettati a pochi soggetti. Quelle indicazioni, qualche mese dopo, sarebbero risultate molto preziose e utili agli investigatori per individuare il “Mister X” delle scommesse clandestine.

Tra tanti dubbi, l’unica certezza, chiara e incontrovertibile, è questa: un piccolo balzo in alto dei valori del sangue di Pantani, in quel Giro del 1999, valeva miliardi.

Le puntate già effettuate su di lui – ed erano una vera montagna di soldi – non sarebbero state riscosse. E una cascata di miliardi di lire sarebbe rimasta nelle casse di chi aveva accettato scommesse sulla sua vittoria, generando un guadagno immenso. E nello stesso tempo le quote altissime assegnate agli avversari di Marco avrebbero fruttato altre somme stratosferiche. E a colpo sicuro!

Perciò Marco doveva essere fermato.

Non doveva arrivare a Milano.