Cesenatico è un fiume di ricordi.
È la città di Marco.
È l’inizio e la fine.
In quel luogo ogni pietra, ogni sguardo, ogni onda del mare ti parla di lui. E quando vai lì ti senti inevitabilmente orfano di qualcosa, di qualcuno, mentre quel fiume di sensazioni e di ricordi ti inonda l’anima e ti toglie il respiro.
Per le vie di Cesenatico, a ogni passo, ti sembra di scorgere la sagoma di Marco: da solo, a piedi, davanti a un chiosco di piadine oppure mentre in sella alla sua bici ti sfreccia a fianco sorridente.
Ti aspetti di vederlo spuntare da qualche parte da un momento all’altro, salvo poi rimanere come un fesso a guardare nel vuoto. A osservare il dissolversi lento di quell’immagine, di quell’illusione, di quel qualcosa che non tornerà mai più.
A Cesenatico, anche l’aria parla di Pantani.
Fu lì che incontrai Vittorio Savini: era il direttore sportivo di Marco quando il “piccolo pirata” aveva solo quattordici anni e le speranze di diventare un giorno un corridore vero accompagnavano ogni suo colpo di pedale, ogni suo respiro, ogni suo sguardo verso il futuro.
Vittorio, che è stato il fondatore del Club Magico Pantani, era il vicesindaco di Cesenatico, un ruolo che lo assorbiva totalmente, insieme all’attività frenetica di quella sua officina che tante volte avevo visitato, per andarlo semplicemente a trovare o quando la mia macchina faceva le bizze e in pochi minuti le sue mani riuscivano sempre a sistemare tutto. Sì, perché Vittorio è un meccanico straordinario, oltre che una persona di cuore.
Ci incontrammo al capanno di Claudio Ceredi, un caro amico comune, che ci ospitò volentieri tra un sorriso e una buona birra fresca. Seduto tranquillamente in poltrona, immerso in quell’atmosfera rilassata e amichevole, Vittorio non ebbe problemi a raccontarmi, una volta ancora, la vecchia storia di quel maledetto giorno a Campiglio e di quella strana telefonata ricevuta circa 24 ore dopo.
«La sera di Campiglio, il 4 giugno del 1999, io ero andato a mangiare nell’albergo del Panta. Il giorno dopo ci sarebbe stato il Mortirolo e io lo sapevo che Marco ci teneva a far bene su quella salita.
Nel mio Club c’erano 3.500 iscritti (20.000 simpatizzanti) e qualche “spia” a zonzo per le località del Giro si era già accorta della presenza dei controllori dell’UCI. Quei miei emissari mi avevano informato subito, perciò avevamo la certezza assoluta che il giorno dopo ci sarebbe stato il controllo sul sangue.
Quella sera lo confidai personalmente al Panta, che con calma e serenità mi comunicò che lo sapeva perfettamente anche lui. Era logico che venissero a fare quel controllo, lui era in maglia rosa e ormai il Giro era alla penultima tappa. Mi disse di star tranquillo, che da parte sua motivi per preoccuparsi non ce n’erano.
La mattina seguente, quando esplose il putiferio, io mi trovavo esattamente sotto la scala dell’hotel.
Guardai Marco mentre mi passava vicino e anche in mezzo a quella bolgia riuscii a scambiare una parola con lui.
“Marco!” gli urlai. “Ma cosa è successo?”
E lui, guardandomi negli occhi mentre lo strattonavano via – me lo ricordo come fosse ieri – mi sussurrò: “Me l’avevano promesso…”.
Io, lì per lì, rimasi un po’ sorpreso da quella frase.
Non capivo. Cosa significa “me l’avevano promesso”? E che cosa, poi?
Restai con quel dubbio in sospeso fino al giorno seguente, la domenica, quando verso le sei di sera ricevetti una telefonata molto dura e molto difficile per me.
Mi squilla il telefono e la voce all’altro capo del filo mi domanda: “Lei è Savini? Il presidente del Club Magico Pantani?”.
“Certo!” gli faccio io.
Quello riprende subito e, con voce ferma e con un accento smaccatamente del Sud, mi fa: “Lei, signor Savini, e tutti i suoi uomini, state calmi e tranquilli. State al vostro posto. Che tanto Pantani a Milano non ci sarebbe mai arrivato. In nessun modo”.
E riattaccò.
Questa telefonata e il tono dell’interlocutore mi fecero gelare il sangue nelle vene.
Cosa c’era sotto? Io non lo potevo sapere.
Sapevo solo che quel Giro Pantani l’aveva stravinto e qualcuno gliel’aveva strappato con la forza.
Mi ritornarono allora in mente le parole pronunciate da Marco il giorno prima, quel suo “Me l’avevano promesso…”.
Lo so che tanti pensavano che Marco potesse fare quello che voleva, in quel Giro. “Ha la dispensa papale!” dicevano. Ma io che lo conosco bene fin da quando era solo un ragazzino ti assicuro che non è così. Il Panta era a posto, la sera di Campiglio.
Il significato di quella sua frase quindi è un altro.
E nessuno mi toglierà mai dalla mente che quando Marco mi parlò, a Campiglio, prima di andarsene via, si riferisse a qualche discorso che gli avevano fatto in precedenza.
Si riferiva a qualcuno che gli aveva promesso di fargliela pagare!
E quel qualcuno ci è riuscito.»